Voci dalla rete
Perlungavita.it diventa grande, si fa nuovi amici, li accoglie in casa propria, li ringrazia per aver accettato l’ invito a costruire una preziosa rete di persone che guardano alla vecchiaia in modo positivo. Tutte le persone che fanno parte di queste “Voci” hanno già scritto per PLV dalla loro finestra aperta.
- Ivano Baldini, presidente dell’Associazione AlzheimER Emilia Romagna, ha già raccontato, oltre alla sua vita, cosa è, cosa fa questa organizzazione. Su PLV ci farà conoscere esperienze nuove promosse dai familiari.
- Diana Catellani ha accettato di aprire un altro suo blog, oltre a quello personale “nonnaonline” per raccontare il suo percorso con gli strumenti digitali, tra ostacoli e soddisfazioni.
- Rita Rambelli è stata l’apripista, per testimoniare che gli anni sono una convenzione anagrafica, ma che si può andare “ Oltre l’età” per continuare ad essere curiosi del mondo.
- Rosanna Vagge, anche lei già collaboratrice, medico e amante della scrittura , racconta le sue esperienze e la sua vita accanto ai vecchi delle residenze protette, ma non solo. In questa piacevole compagnia continuo le mie riflessioni sulla qualità della cura nei servizi, parlando di assistenza domiciliare.
- Lisa Orlando, architetto, con una tesi sulla casa idonea per gli anziani con l'Alzheimer, amante della lettura della montagna, ma anche della gioia dello scrivere: poesie, articoli, libri.Nel frattempo ha ottenuto un master in Comunicazione.
- Ida Accorsi, insegnante di asilo nido in pensione, appassionata di Gianni Rodari e di confronti intergenerazionali coltiva i suoi interessi con l'aiuto del web.
- Autore/rice Rita Rambelli
- Categoria: Voci dalla rete
In questi giorni è partita un’iniziativa denominata IMMAGINA
https://immagina.eu/di-la-tua/ , uno spazio aperto dove elaborare, proporre, condividere idee e progetti per una società nuova, che sia in grado affrontare le molteplici sfide della contemporaneità. Si partecipa al dibattito compilando il modulo che appare cliccando il tasto “partecipa” che compare nella pagina.
Io credo che ci sia molto da dire e da proporre sul tema del futuro degli anziani, e quindi sul nostro futuro, e quindi invito tutti a scrivere e contribuire a questa raccolta di idee seguendo l’invito: Immagina il tuo domani, insieme a noi
Io ho scritto e questo è stato il mio contributo.
Essere “vecchi” in Italia oggi
Prima delle tragiche morti a migliaia degli anziani nelle strutture piccole e grandi per COVID-19, la situazione non era sicuramente migliore, avevamo tantissime segnalazioni alle Procure per soprusi nei confronti degli anziani ospiti di case famiglia o di case di riposo in tutta Italia.
Certo i maltrattamenti nei confronti di inermi anziani o disabili nelle strutture che dovrebbero proteggerli e tutelarli suscitano un'indignazione particolare nell'opinione pubblica, ma l'allarme sociale che ne traiamo è ancora basso, quasi che non si volesse scoperchiare un vaso di pandora mentre si dovrebbe aprire una riflessione seria sul fatto che l'istituzionalizzazione non è sinonimo di protezione, e tanto meno di benessere. Per non parlare poi dei costi sociali che impone e che risultano sempre più insostenibili in una società che invecchia. Oltre all’istituzionalizzazione, il modello di assistenza agli anziani non autosufficienti prevalente in Italia è ancora “restare nella propria casa, accuditi dai familiari o da una badante”.
Le badanti in Italia sono circa un milione di cui solo 1/3 regolarmente registrate presso l’Inps con almeno un contributo versato nell’anno e costano alle famiglie circa 10 miliardi di euro all’anno, che vanno tutti all’estero, in quanto le badanti sono tutte straniere, prevalentemente dei paesi dell’est (Romania, Polonia, Ucraina, ecc.) e mandano a casa tutti i guadagni perché non spendono niente in Italia.
Già questo fatto ci dovrebbe far pensare…in quanto da alcune ricerche risulta anche che a livello nazionale sono 120.000 le famiglie di persone non autosufficienti che hanno dovuto rinunciare alla badante per motivi economici. Infatti per molti, l’impegno economico è diventato insostenibile.
Migliaia di famiglie hanno utilizzato tutti i risparmi per pagare l’assistenza a un anziano non autosufficiente, alcune famiglie hanno dovuto vendere l’abitazione (spesso la nuda proprietà) per trovare le risorse necessarie, altre famiglie si sono indebitate per pagare l’assistenza e sono molte migliaia le reti familiari che si “autotassano” per pagare l’assistenza del familiare non autosufficiente. A tutto questo si aggiunge che anche quando si ricorre alla badante, l’85% degli italiani sottolinea che è comunque necessario un massiccio impegno dei familiari per coprire giorni di riposo, festivi, ferie, ecc.
In Italia c'è un esercito di alcuni milioni di persone che assiste volontariamente una persona cara non autosufficiente. Un lavoro a tutti gli effetti, estremamente importante per la società, ma i caregiver in Italia sono lasciati soli, invece di essere protetti da leggi e servizi, come avviene in molti altri paesi europei.
Non ci sono posti sufficienti nelle strutture pubbliche, e quelle private risultano spesso troppo costose, con una costo medio mensile di € 2.500.
Riflessioni finali e proposte
Da questo quadro emerge la necessità di cambiare le politiche nei confronti degli anziani e delle loro famiglie, trasformando gli attuali problemi in opportunità e soprattutto in lavoro per le aziende del settore e per i giovani diplomati e laureati in materie infermieristiche e sociali.
Sono consapevole che sarebbero necessarie risorse finanziarie consistenti e crescenti, in considerazione del costante aumento dell’invecchiamento della popolazione, ma occorre trovare il modo per reperire tali risorse perché effettivamente il peso economico per gli anziani e per le loro famiglie è ormai troppo alto rispetto ai redditi e alle pensioni e per molti sarà difficilmente sostenibile in futuro, quindi non si può restare fermi, perché non è sufficiente stupirsi e indignarsi, ma occorre lavorare per diffondere nuove idee e sviluppare nuovi progetti.
Non ci sono ricette miracolose, ma io credo che si possa partire da alcune idee e suggerimenti su quello che è stato fatto in altri paesi europei come la Danimarca.
Il percorso da intraprendere con una nuova legge è di avviare un processo di cambiamento globale in cui coinvolgere Enti pubblici e privati, Fondazioni bancarie, Università, Terzo settore, Ordini professionali (medici, ingegneri, architetti, ecc.), informatici e specialisti della domotica, per creare un futuro diverso e più dignitoso per chi ha lavorato una vita e ha diritto ad una vecchiaia ed una morte dignitosa.
Dalla Danimarca nuove idee per il futuro
La Danimarca è riconosciuta a livello internazionale e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come uno dei paesi più all’avanguardia nel campo dell’umanizzazione dell’assistenza e libera scelta degli anziani. La normativa danese sull’assistenza socio sanitaria fa riferimento alla “carta dei valori danese” che interessa tutti i servizi e tutti i cittadini. Dice sostanzialmente che:
“Tu hai diritto ad avere:
• cure personalizzate;
• aiuto e supporto per le attività quotidiane (pulizia, cibo e altre attività…);
• aiuto per mantenere e/o recuperare le abilità fisiche, sociali e mentali;
• la riabilitazione dopo la malattia;
• due colloqui l’anno dopo i 75 anni (per pianificare il tuo futuro..);
• l’assistenza infermieristica a domicilio;
• l’home care o di vivere in una nursing home;
• scegliere la tipologia di servizio che più ti si addice e se deve essere pubblico o privato…
In caso di non autosufficienza e disabilità, hai il diritto di avere:
• presidi e personale dedicato;
• l’assistenza sempre ad ogni ora (anche la notte, durante le festività e le vacanze estive ecc.);
• l’assistenza dev’essere personalizzata sui tuoi bisogni, confezionata su misura per te …”
La Danimarca non registra evasione fiscale e la loro pensione minima è di circa 800 Euro. La popolazione è costituita da circa 5. 250.000 abitanti di cui 1.5 mil. sono gli over60enni.
I loro servizi di eccellenza sono l’home care (assistenza domiciliare) che raggiunge il 20 % degli anziani (in Italia il 2%), le nursing home ed i centri diurni.
La finalità dei servizi danesi è di pensare all’anziano innanzitutto come risorsa che concorre alla programmazione, gestione ed erogazione dei servizi. La logistica, l’organizzazione dei servizi e le pratiche quotidiane sono finalizzate a mantenere più a lungo possibile vitali le abilità residue degli anziani a livello cognitivo, di relazione e fisico.
Per comprendere appieno gli elevati standard di qualità dei servizi socio sanitari integrati offerti ai danesi, anziani e disabili, è necessario soffermarsi brevemente su alcuni aspetti e sui livelli organizzativi del Paese.
Le politiche sull’assistenza socio sanitaria danese agli anziani sono orientate dal Consiglio degli Anziani del Comune, si tratta di un organo elettivo che affianca il Consiglio comunale e la Giunta.
Ogni danese che ha compiuto sessanta anni è elettore del Consiglio degli anziani (da rilevare che l’età pensionabile è sessantasette anni).
Le nursing home, che assicurano anche l’home care, non hanno nulla a che vedere con le nostre tradizionali case di riposo e le strutture protette per non autosufficienti.
Oggi sono 1.200 di cui 150 gestite dal no profit. Sono strutture costituite in media da ottanta miniappartamenti realizzati con domotica per persone di ogni età disabili o affette da demenza. Sono attrezzati con servizi di riabilitazione, laboratori e attività ludico ricreative rivolte anche all’esterno.
Ogni miniappartamento, di circa 55-60mq, è fornito di angolo cottura, letto ortopedico e bagno per disabili, il mobilio e le suppellettili sono invece dell’anziano o del disabile. In ogni punto dell’abitazione è possibile non solo chiamare il personale con un apposito campanello ma, in caso di necessità, trasportarlo con un sollevatore elettrico agganciato al soffitto.
Fuori la porta del miniappartamento c’è il campanello e una targa personalizzata con nome e cognome dell’abitante, nessuno può entrare senza che l’anziano o il disabile lo desideri.
L’anziano o il disabile:
• sostiene l’affitto del miniappartamento la cui cifra è costituita da una percentuale fissa sul reddito/pensione stabilita dal Comune;
• decide il livello ed il ritmo delle pulizie del suo alloggio, quali servizi “acquistare” (il corso di addestramento al personal computer, il corso di ginnastica, quello di pittura o cucina ecc.);
• può uscire all’esterno sempre e comunque (se necessario utilizzando la sedia a rotelle elettrica e la navetta della struttura):
• se è in grado può fare la spesa e provvedere ai pasti per proprio conto e usufruire della lavanderia interna con macchine a gettone, ecc.
La sala da pranzo della nursing home è aperta tutto il giorno e fornisce pasti a buffet secondo gli orari che ciascun anziano o disabile decide autonomamente e se necessario, anche nel suo miniappartamento.
Il familiare può essere ospitato della nursing home per quindici giorni in miniappartamenti riservati.
I prezzi dei pasti, della lavanderia o di altri servizi sono estremamente accessibili e stabiliti dal Comune anche nel caso in cui la nursing home sia gestita dal no profit. Gli arredi e la logistica sono funzionali ma anche accoglienti con la presenza di voliere, acquari e numerose piante. Tutte le strutture sono dotate di giardini e terrazze.
Dagli anni Ottanta in poi le nursing home si sono trasformate in centri polivalenti aperti alla popolazione, con palestre per la riabilitazione, per l’ergoterapia, laboratori di bricolage, musica, computer, tessuti, falegnameria, biliardo, biblioteche, arte ecc.
Responsabili delle nursing home sono infermieri, fisioterapisti o ergoterapisti ed educatori.
I centri diurni comunali sono invece finalizzati a rimettere in gioco l’anziano come risorsa, sono aperti alla popolazione di ogni età, fungono infatti anche da doposcuola e sono gestiti proprio grazie all’aiuto dei pensionati. Dedicano particolare attenzione allo studio della cultura locale, alla pratica dei mestieri tradizionali, alla creatività e al mantenimento delle abilità residue di anziani e disabili.
Il centro diurno danese è attrezzato di falegnameria, scuola e laboratorio di musica dove i giovani possono incidere compact disk, laboratorio artistico e di tessitura, sala biliardo, teatro, aula con postazioni informatiche per l’addestramento all’utilizzo della posta elettronica e di internet, zona didattica, sala pranzo a buffet aperta ai cittadini, bar.
I centri privati sono soggetti agli stessi standard dei servizi pubblici in merito a qualità, efficienza e all’adeguamento dei prezzi dei servizi che utilizza la popolazione. Solo una piccola percentuale di danesi comunque sceglie i servizi privati. Notevole ruolo hanno a livello nazionale e locale le federazioni degli anziani (club locali per pensionati). Due sono quelle con maggior peso politico, ciascuna ha circa 450.000 soci e svolge funzioni di indirizzo delle politiche socio sanitarie e nella tutela degli anziani e disabili.
- Autore/rice Rosanna Vagge
- Categoria: Voci dalla rete
Mi frullano in testa mille pensieri, intrecciati e confusi, vorrei dirvi tante cose riguardo all’esperienza che sto vivendo in questo drammatico periodo pandemico, ma non trovo le parole per esprimere ciò che provo, un misto di avvilimento, rabbia, impotenza, ma anche soddisfazione, fiducia e speranza che mi rende orgogliosa di quello che sto facendo nella RSA post acuti Covid di cui mi è stata affidata la direzione sanitaria.
Al di là del nome, che può apparire persino altisonante, si tratta di un Centro capace di accogliere persone anziane, con diversi gradi di disabilità, che, per aver contratto infezione da Covid, richiedono un periodo di assistenza sanitaria definita di basso e medio grado prima di poter rientrare al proprio domicilio o, se in precedenza istituzionalizzate, nella comunità dove risiedevano.
In genere vengono accolti ultraottantenni affetti da qualche malattia cronica, come il diabete, l’ipertensione arteriosa, le cardiopatie, le patologie neurologiche alle quali si associano inevitabilmente decadimento cognitivo e disturbi comportamentali più o meno gravi.
Vecchie e vecchi afferiti al Pronto Soccorso per vari motivi, chi per un trauma, chi per sintomi respiratori, chi per altre malattie a esordio acuto che sono poi smistati nei vari reparti specialistici a diversa intensità di cure e, accertata la positività del tampone naso-faringeo per Coronavirus, distribuiti nelle aree di crisi costruite ad hoc dove permangono per un periodo più o meno lungo, a volte superiore al mese, per essere poi nuovamente trasferiti nei centri post acuti Covid, anch’essi studiati ad hoc fino alla negativizzazione di due tamponi successivi. Il tutto senza preavviso, con prelevamenti a sorpresa da parte di personaggi travestiti da astronauti e in assenza della rassicurazione dei loro cari.
È stato, infatti, stabilito che solo a queste condizioni l’individuo può entrare nel pool dei guariti e non essere più minaccioso per la diffusione del contagio nell’intera società.
Peccato che a questo punto, per molti di loro, debilitati dal prolungato allettamento e isolamento, nonché dai farmaci somministrati generosamente per lenire le loro sofferenze, il rientro al domicilio è addirittura improponibile e i servizi sociali e i familiari, se esistono, devono attivarsi per sistemarli in qualche altra struttura “pulita”, quelle che si definiscono più elegantemente “Covid free”.
Ma non è tutto perché i criteri di ammissione nelle strutture socio-sanitarie del territorio richiedono dei requisiti stringenti, cioè la negatività del doppio tampone non oltre le 72 ore precedenti, un tempo troppo breve per ottenere i risultati dal laboratorio. E come se non bastasse le RSA accoglienti devono organizzare al loro interno delle aree cosiddette “buffer”, una sorta di cuscinetto dove “porre”, dice proprio così l’algoritmo riassuntivo della regione, cioè sistemare, mettere, alla stregua di un qualunque oggetto, il vecchietto non ancora “pulito”. Lì dovrà stazionare, per altri 8 giorni, fino alla ripetizione del tampone il cui esito sarà determinante per definire il successivo percorso: se negativo potrà finalmente accedere nelle zone “non focolaio” definitive o no, secondo le situazioni; se positivo dovrà essere “posto” in un Centro Covid e il circolo vizioso si completa per riprendere la sua corsa contro il tempo.
Sì, è proprio così, l’espressione calza a pennello: un inseguimento senza tregua di un risultato il cui significato, a detta degli scienziati, è ancora tutto da definire.
“E adesso dove mi portate! Voglio camminare con le mie gambe!” Gridava Gilda, agitandosi nella lettiga mentre era ancora sull’autoambulanza. Avrei voluto abbracciarla, stringerle le mani, rassicurarla con il contatto fisico, ma non mi restava che ricorrere alle parole: “Buongiorno! Da dove viene?” Le domandai a bruciapelo “Io sono di Santa Brigida” mi rispose pronta ed io ancora, mentendo “So, dove è Santa Brigida, un gran bel posto!” Poi le chiesi quanti anni aveva e lei rispose che avrebbe compiuto 81 anni il 5 dicembre prossimo. Appariva più rilassata, dopo questo breve scambio di parole, ma, a un tratto, sollevò il collo alla ricerca del mio volto seminascosto dalla mascherina chirurgica e mi fissò con sguardo incredulo per il tempo che le fu concesso prima di sparire nell’ascensore. I suoi occhi invocavano aiuto! Chissà da quanto tempo non vedeva una persona vestita normalmente! E senza visiera!
Dalla documentazione clinica dell’Ospedale presso il quale era stata ricoverata sono venuta a conoscenza che avrebbe compiuto 89 anni e non 81 alla data enunciata con tanto orgoglio e che il marito con il quale conviveva era morto per infezione da Covid ma nessuno aveva avuto il coraggio di comunicarglielo. Era rimasta sola al mondo e le avevano nominato d’ufficio un amministratore di sostegno, un’avvocatessa affinché le trovasse una sistemazione in qualche Istituto, quando e se avesse avuto il privilegio di finire nell’elenco dei guariti.
Che tristezza!
In questo breve tempo sono venuta a conoscere altre storie, tutte diverse tra loro ma analoghe per solitudine, disperazione, privazione di ogni libertà. Ho potuto inoltre constatare che l’infezione da Covid, sancita dalla positività del tampone naso-faringeo, in molti casi, anche nei grandi vecchi, era caratterizzata da sintomi lievi che regredivano in pochi giorni mentre le conseguenze più devastanti avvenivano a seguito delle misure da intraprendere per evitare la diffusione del contagio.
Come possono le persone anziane, tanto più se ammalate, sopportare tutto ciò?
Distaccate dai loro affetti, isolate, private di ogni riferimento ambientale e umano, sballottate a destra e a manca, non sulla base dei loro bisogni clinico-assistenziali, ma sulla base del risultato di un’indagine laboratoristica.
I quotidiani locali riportano che dal 20 febbraio al 5 aprile nelle RSA Ligure si sono registrati 800 decessi, dei quali solo 240 imputati al Covid. Una sperequazione grossolana, in linea con quanto avvenuto nelle altre regioni più colpite dalla diffusione del virus, che impone senza dubbio un’ampia riflessione sulle procedure imposte per affrontare l’emergenza pandemica e sull’organizzazione dell’intero sistema sanitario.
Siamo proprio sicuri che sia il virus a uccidere? O piuttosto giochino un ruolo importante anche la mancanza di tempestività ed essenzialità che si è verificata in un contesto emergenziale così farraginoso?
Soprattutto nelle RSA di grandi dimensioni, quelle dove tutto è omogeneizzato e l’individualità della persona finisce nel calderone collettivo fino a scomparire del tutto.
Che sia necessario ripensare il mondo dell’assistenza alla terza età, lo sostiene a gran forza anche l’assessore regionale alla sanità, nonché vicepresidente della regione Liguria, Sonia Viale, come si legge in un’intervista dal titolo “Urge la riforma delle RSA. Viale vuole voltare pagina” a firma Corrado Ricci, pubblicata in data 15 maggio sul sito www.opigenova.it.
Il concetto è chiaro e non per niente nuovo anche se viene rilanciato alla luce delle criticità riscontrate nelle RSA durante l’emergenza coronavirus e soprattutto allo stillicidio dei decessi degli anziani .
“Occorre avviare la progressiva riconversione di quelle residenze che, per limiti strutturali e organizzativi, non possono garantire adeguati standard di qualità“ Dice testualmente, ponendo l’accento su due temi: la formazione del personale, che deve essere preparato per affrontare situazioni complesse e le dimensioni delle strutture, che devono essere grandi, se non proprio come Il Pio Albergo Trivulzio, che in Liguria non ci starebbe, almeno superiori ai 100 letti, per garantire equilibrio tra qualità e sostenibilità economica. Precisa inoltre che ”È ormai indispensabile la presenza di personale preparato sulle infezioni ospedaliere, anche con corsi mirati come avviene in ambito ospedaliero […] occorre traguardare l’obiettivo di strutture sicure, anche solo per bloccare la diffusione di una banale influenza”.
Pur comprendendo il contesto in cui tali parole sono state pronunciate e la necessità dei media di dare messaggi forti e sensazionali, mi risulta difficile da accettare come il concetto dell’assistenza e cura dei vecchi nelle strutture socio sanitarie possa essere ricondotto in modo così semplicistico al controllo della diffusione delle infezioni. Suggerirei all’assessore di considerare, oltre la “banale influenza”, anche la qualità della vita in tutti i suoi aspetti, quell’essenza della vita, così diversa per ognuno di noi, che non può né deve essere banalizzata, mai, nemmeno in emergenza.
Mi chiedo poi, con una punta di avvilimento, se blindare le persone più vulnerabili in luoghi sicuri, sia l’unica soluzione per salvaguardare la loro salute e la loro vita, tanto più che i vecchi sono spesso del tutto inconsapevoli di quanto sta avvenendo e soffrono pesantemente della perdita dei punti di riferimento.
Un triste pensiero mi frulla nella mente: nel quattordicesimo secolo, quando la peste falcidiò un terzo della popolazione dell’intera Europa, la paura della morte rivelò nel più terribile dei modi i limiti della capacità umana di sopportazione e tolleranza generando comportamenti spietati verso coloro che erano stati colpiti dalla malattia.
I tempi sono cambiati, le conoscenze di oggi non sono affatto paragonabili a quelle di allora, ma l’animo umano è sempre lo stesso e, in questo mondo in cui il mercato della salute in nome della qualità dei servizi ha spesso la meglio su tutto il resto, credo che occorra fare molta attenzione affinché non emergano comportamenti speculativi e interessi economici a favore di pochi e a danno di molti.
Indubbiamente è necessario voltare pagina, ma c’è modo e modo di farlo. Io le pagine le volterei all’indietro, ad una ad una, pensando ai vecchi che hanno perso la vita senza una carezza, senza avere accanto un volto conosciuto, agli stessi quando erano bambini, adolescenti, giovani uomini e donne in tempo di guerra, alle loro lotte per la libertà, per la ricostruzione del paese. Pagina dopo pagina, mi soffermerei all’inizio di ogni capitolo e ringrazierei i vecchi per quello che ci hanno insegnato, in nome della dignità di ogni individuo.
Abbiamo perso una generazione di persone oneste, determinate, coraggiose, capaci di sopportare e tollerare quanto di più ingiusto c’era al mondo, persino il distacco dal loro ambiente di vita e dall’affetto dei loro cari. Ed ora vogliamo rinchiudere i sopravvissuti e i vecchi che verranno in recinti sempre più ampi e lussuosi, separati da mura che solo personale esperto in pandemia può superare?
Politici, decisori, amministratori, riflettete bene sulle vostre proposte!
Al punto in cui siamo arrivati, io credo che non sia più possibile andare avanti sulla stessa strada nella convinzione che tutte le tendenze antiche e/o attuali debbano necessariamente prolungarsi nell’avvenire, dilatandosi e amplificandosi.
Sono parole del Prof. Antonio Guerci, pronunciate durante un intervento sul tema della vecchiaia e sul concetto di “Arco della vita” ed io prendo spunto da lui per esprimere quello che è anche il mio pensiero.
“Oggi non è possibile parlare della vecchiaia senza parlare della società intera. È inquietante osservare che le conoscenze attorno all’invecchiamento evolvono assai più rapidamente sul versante delle scienze medico-biologiche e tecnologiche rispetto a quelle delle scienze umane e sociali. Arriveremo tra breve alla contraddizione che vedrà la medicina e l’ingegneria genetica capaci di ritardare la senescenza, quando le scienze sociali saranno incapaci di proporre dei modelli d’organizzazione collettiva che permettano di accogliere degnamente gli anziani, di offrire loro un ruolo e una utilità sociale”.
Sono passati quasi 10 anni dal convegno promosso a favore dell’invecchiamento attivo proprio nella città di Genova, ma al di là di qualche iniziativa locale sparsa sul territorio, ben poco si è pensato e nulla si è fatto di quanto l’antropologo proponeva: un esercizio di prospettiva tanto più difficile da realizzare in quanto deve coinvolgere il lungo termine e bisogna rifuggire dalla doppia tentazione di ricreare un passato fossile e di anticipare un futuro morto.
Avrei preferito che l’emergenza pandemica potesse aprire un varco nelle menti dei decisori e indurli, unendo forze ed esperienza in un’ottica interdisciplinare, a ripensare a modelli diversi dall’istituzionalizzazione per offrire assistenza e cure ai nostri vecchi.
Non è successo e nel mirino sono cadute le case di riposo e RSA considerate prive dei requisiti organizzativi e strutturali, nonché di personale adeguatamente formato.
Ci sarà un’altra occasione?
Nel mio inveterato ottimismo, spero proprio di sì, perché questa svolta, non mi soddisfa affatto e mi lascia con l’amaro in bocca.
- Autore/rice Diana Catellani
- Categoria: Io e il computer di Diana Catellani
I giornali dicono che questa pandemia, ha indotto molta gente a comprare o a riprendere in mano il libro di Albert Camus "LA PESTE” e non me ne stupisco: è un romanzo bellissimo, scritto divinamente, e racconta bene molte situazioni che stiamo vivendo in questi giorni.
La vicenda è ambientata ad Orano, in Algeria, e racconta come si manifesta una terribile epidemia di peste: i primi segni, ratti trovati morti per le strade, non vengono presi in considerazione da nessuno, poi cominciano a morire le persone: prima pochi casi con sintomi analoghi, poi il contagio dilaga.
Il protagonista è un medico, il dr. Rieux, che per primo intuisce il dramma che si sta scatenando e che con i colleghi si sottopone a turni interminabili in ospedale, sperimentando lo strazio di non poter evitare la morte dei tanti che via via vengono colpiti. Interi quartieri vengono chiusi e chi è all’interno delle zone in quarantena si sente prigioniero e desideroso di allontanarsi e chi è rimasto separato dai propri affetti, si sente quasi “amputato” di una parte importante di sé e della sua vita (negli anni 40 del ‘900 non c’erano ancora le tecnologie che oggi ci consentono di comunicare con facilità con amici e parenti).
- Autore/rice Rita Rambelli
- Categoria: Oltre l'età di Rita Rambelli
L’obbligo di restare in casa ha destrutturato la nostra routine e soprattutto quando si vive da soli gli effetti dell’ansia e della preoccupazione si fanno sentire in modo crescente, perché le occasioni per confrontarsi e sfogarsi con qualcun altro sono inferiori a quelle di chi magari vive in una famiglia. Questa pandemia ci ha spiazzati modificando le nostre abitudini personali e professionali obbligandoci a lavorare con nuove metodologie e in molti casi obbligandoci ad imparare l’uso di sistemi che pur sapendo che esistevano no avevamo sentito il bisogno di usarli (Skype, zoom, WhatsApp, ecc.) perché potevamo incontrare le persone. In molti casi aumenta il livello di ansia di fronte all’incertezza e alla paura, oltre che della malattia, anche delle conseguenze sociali ed economiche che inevitabilmente sappiamo che arriveranno.
- Autore/rice Rosanna Vagge
- Categoria: I vecchi e il medico di Rosanna Vagge
Purtroppo sì, è successo, ed ora brancoliamo al buio in piena pandemia.
Si potevano scegliere strategie migliori, applicare da subito il modello coreano o quello cinese, fare tamponi a tappeto, reperire in tempo utile i dispositivi di protezione individuale, applicare misure di isolamento più restrittive, ma l’unica realtà è che “siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa” per utilizzare le parole di Papa Francesco durante la sua preghiera.
Ed ora navighiamo al buio, tutti sulla stessa barca, in balia del vento, della pioggia scrosciante e delle onde alte parecchi metri e piangiamo i nostri morti che, ad oggi, 4 aprile 2020, in Italia, hanno raggiunto il drammatico numero di 15362, purtroppo destinato a salire.
- Autore/rice Ida Accorsi
- Categoria: Nonne, favole e bambini
Edito col titolo Little Blue and Little Yellow nel 1959, da una casa editrice statunitense, la Astor-Honor, che in quegli anni pubblicava classici e autori contemporanei, approda in Italia nel 1967 per Emme Edizioni primo libro di Leo Lionni (autore, pittore, grafico americano, ma italiano d’ adozione). Si presenta in una veste grafica molto curata, un vero gioiello visivo in cui si usa la teoria classica dei colori primari e il risultato della loro commistione, per sviluppare una straordinaria metafora educativa.
Questo è un libro rivolto ai bambini più piccoli, a partire dai 3 anni, per giocare con l’arte e a mescolare i colori, realizzato con la tecnica del collage, usando delle macchie colorate disposte sulle pagine in modo da creare personaggi che si muovono ed entrano in relazione tra di loro. Piccolo blu e piccolo giallo è la storia semplice e commovente di un’amicizia che supera le differenze e abbatte i pregiudizi adulti.
- Autore/rice Rita Rambelli
- Categoria: Oltre l'età di Rita Rambelli
Noi non abbiamo vissuto una guerra, ma sicuramente ricorderemo tutti lo sconvolgimento sociale determinato dall’epidemia del virus COVID -19 che è scoppiata in Italia nel mese di febbraio. Oggi è il 19 marzo e come ci sta dicendo incessantemente la televisione dobbiamo “restare a casa” e uscire solamente per necessità improrogabili.
Se guardo fuori dalla finestra, vedo il parco della Rocca Brancaleone, normalmente pieno di famiglie con bambini che adesso è deserto non si sente nessun rumore, uno spettacolo irreale che ricorda certi film di fantascienza sulle grandi catastrofi o guerre che potrebbero distruggere l’umanità…!!
Mi rendo conto di essere una persona fortunata, non sono sola, c’è mio marito con il quale ho un ottimo rapporto da quasi 50 anni, ho una figlia che mi telefona ogni giorno, una nipote di 10 anni che ho visto crescere da quando è nata e con la quale in video chiamata facciamo conversazione e verifichiamo i compiti che la sua scuola elementare pubblica ogni giorno sul suo sito web.
- Autore/rice Rosanna Vagge
- Categoria: I vecchi e il medico di Rosanna Vagge
L’epidemia di infezioni da Coronavirus, capace di monopolizzare pagine di giornali e social, mi ha aiutato a capire come sia difficile, per la pressoché totalità degli esseri umani dotati di intelletto, navigare nell’incertezza.
Quante volte, nel corso della mia vita professionale e non solo, i pazienti o i loro familiari, ma anche gli amici, i miei stessi parenti mi hanno rivolto domande del tipo: “Ce la farà a superare la malattia?- In quanto tempo?- Potrà fare quello che faceva prima? – Oppure rimarrà invalido per sempre? – Nel caso sarà capace di adattarsi al cambiamento?” e così via, tante e tante altre ancora.