Questo 2020 sarà sicuramente ricordato nei futuri libri di storia come “l’anno del Covid”, ma speriamo che questa tragica esperienza di migliaia di morti in pochi mesi ci porti anche a ricordarlo come l’anno del cambiamento del modello di assistenza degli anziani e dei disabili gravi, così fragili e spesso dimenticati, che in Italia non siamo neppure in grado di contare esattamente quanti questo virus ne ha falcidiati, nel chiuso delle loro abitazioni, in una casa famiglia, in un letto di ospedale o in una stanza di RSA. In una relazione di giugno 2020 dell’Istituto superiore di Sanità si legge che a livello nazionale il 41% dei decessi nelle RSA erano “sospetti Covid” dichiarando che è emersa chiaramente la difficoltà di censire gli eventi che accadono in quelle strutture. La scarsità cronica di personale, le diverse tariffe, i setting assistenziali diversi da Regione a Regione, e a volte anche tra Province, le classificazioni differenti dei bisogni dei pazienti con impossibilità quindi di confronto nella raccolta dati, la pochissima tecnologia, la formazione inadeguata degli addetti, sono le principali carenze e difficoltà dell’attuale sistema di assistenza degli anziani. A tutto questo si aggiunge anche una diffusa gestione “fai da te” della parte economica che alimenta senza difficoltà le attività “in nero” e lo sfruttamento del personale. A questo punto il Covid potrebbe diventare, dopo la tragedia delle morti silenziose e solitarie di migliaia di over 80, un’opportunità di chiarezza e di miglioramento della qualità del nostro sistema di assistenza a livello nazionale. In palio ci sono risorse mai viste: 1.5 miliardi di euro figurano alla voce RSA nell’elenco delle proposte con cui il Ministero della Sanità si è candidato a ottenere una fetta del Recovery Fund. Il capitolo delle cure alla terza età e alla non autosufficienza viaggia su un doppio binario: da un lato l’Assistenza domiciliare integrata (ADI) – l’Italia è il fanalino di coda in Europa con appena 11 ore l’anno garantite- dall’altro la residenzialità. Di entrambe queste cose c’è molto bisogno se teniamo conto che in Italia già oggi ci sono 4,5 milioni di ultra ottantenni, che il 33% dei nuclei familiari attuali è single e la metà di questi ha già più di 65 anni. Oggi gli ospiti in RSA sono circa 300.000 di cui il 70% ha problemi di demenza. Per spendere bene i fondi del Recovery Fund sarà necessario un serio monitoraggio della situazione a livello nazionale elaborando delle regole di qualità nella gestione e regole edilizie e strutturali, comparabili per tutte le RSA italiane. Devono essere rese obbligatorie alcune figure sanitarie, infermieri, fisioterapisti ed educatori, la presenza di un responsabile medico; vanno migliorati e allargati i criteri di abitabilità e la gradevolezza degli ambienti, la disponibilità di spazi interni ed esterni per ogni ospite, le opportunità di partecipazione alla vita della comunità esterna, gli standard tecnologici che facilitino le attività del tempo libero ma anche la sorveglianza degli ospiti allettati o deambulanti e inoltre l’utilizzo generalizzato della telemedicina. Uno dei grandi problemi in questi mesi, che vanno evitati per il futuro, è stato l’impossibilità di incontri in presenza con la famiglia, la limitazione, quando non l’abolizione dei colloqui, l’impossibilità di uscire dalla struttura per partecipare ad eventi familiari o per necessità personali dell’anziano stesso: una festa di compleanno, le Festività natalizie o quelle pasquali, acquisti nei negozi e l’abbraccio e il sorriso di un figlio o un nipotino. Ci sono anziani, anche in buone condizioni di salute, che non possono uscire dalla RSA e non incontrano i familiari ormai da un anno…!! Trattando gli anziani o i disabili come carcerati si è creduto di risolvere il problema dei contagi, invece gli anziani pur vivendo segregati, si sono ammalati e sono morti ugualmente perché il COVID lo hanno portato dentro gli operatori, spesso scarsamente preparati ed informati sul pino sanitario e quindi incapaci di mantenere un comportamento adeguato alle necessità di sicurezza e di igiene che il problema richiedeva. In questo periodo, in molte famiglie, alla sofferenza e alle paure per la fragilità delle persone amate si è aggiunta la tristezza della mancanza del contatto con i propri cari anche negli ultimi momenti della vita.