Le informazioni su Sant’Alberto di Ravenna dicono: Sant’Alberto è un piccolo centro urbano ai margini delle Valli di Comacchio, che sorge a circa 14 km dalla città di Ravenna, circondato dalla natura incontaminata del Parco del Delta del Po.
Al 31.12.2016 risultano residenti a Sant’alberto 3.860 cittadini. In questa piccola realtà fu inaugurata nel 1941 da Don Giovanni Zalambani, una Casa di riposo per i “suoi” anziani, perché potessero trovare una casa lì, nel luogo dove erano vissuti. In questi settanta anni la storia è cresciuta e si è sviluppata in una realtà importante la “Casa Residenza per Anziani di Sant’Alberto”. Un centro multiservizi accreditati presso la Regione Emilia-Romagna, con una Casa Residenza che ospita 57 anziani, un Centro Diurno che ne ospita 13, una Casa Famiglia che ne ospita 5 e 5 appartamenti tutelati dove risiedono 6 persone; per un totale di 81 persone che risponde ai bisogni di questa straordinaria comunità.
La storia di questi 70 anni, interessante ed unica, ce la facciamo raccontare da uno dei protagonisti, Serafino Ferrucci, attuale presidente della Società Operaia di Mutua soccorso, “Don Giovanni Zalambani”, che dal 1995 gestisce questa struttura.
Sig. Ferrucci, come è nata e perché proprio una Società operaia di Mutuo soccorso per la gestione della Casa di riposo per anziani di Sant’Alberto?
La “Casa di riposo” nasce nel 1941 durante la guerra per idea e volontà di Don Giovanni Zalambani che riuscì a mettere attorno allo stesso progetto tutta la comunità di S.Alberto, le Cooperative agricole e le cooperative muratori e i paesani di tutte le classi sociali; la stessa federazione fascista fu presente, pur senza un ruolo attivo, nella fase iniziale del progetto.
Fu Erminia Talanti che donando una piccola casa (vedi lettera), rese possibile l’avvio di questa incredibile esperienza. Appare straordinario che in piena guerra sia stato possibile trovare la forza e le risorse, per avviare un progetto che ci parrebbe difficile anche oggi.
Contribuirono tutti, cittadini, possidenti, commercianti, agricoltori, le cooperative locali e tutta la comunità, nonostante la miseria che attanagliava tutti.
La “casa” si è ampliata grazie alla solidarietà e al volontariato, la gestione è stata condotta da un Comitato di Gestione costituito dai presidenti delle cooperative locali, dal parroco, e dalle figure di “riferimento” del paese: il medico, il farmacista, ecc.
Negli anni 90 il quadro di riferimento normativo era cambiato, più preciso e articolato rispetto al passato, e pertanto si rese necessaria una gestione adeguata alle nuove esigenze, questo comportava, l’individuazione di una forma societaria, un’organizzazione aziendale con responsabilità definite.
L’idea iniziale condivisa all’epoca dal Sindaco, dall’Arcivescovo e dal Consiglio di Circoscrizione prevedeva che soci fondatori del nuovo soggetto giuridico fossero il Comune, la Parrocchia/Diocesi e la società Operaia di Mutuo Soccorso di S. Alberto, presente in loco dalla fine dell’ottocento. Questa Società di Mutuo Soccorso può essere socia solo di Società analoghe; con questo indirizzo fu predisposto lo schema societario. Poi, impedimenti amministrativi non consentirono al Comune di essere tra i soci fondatori e la Società di Mutuo Soccorso cambiò idea per dissidi interni; il progetto era pronto, il tempo stringeva e occorreva darsi quanto prima una veste giuridica. A quel punto, un gruppo di persone si organizzò e costituì la Società Operaia di Mutuo Soccorso che si chiamò “Don Giovanni Zalambani” in omaggio al fondatore della prima “casa”.
Cosa ha significato per la comunità di Sant’Alberto?
La comunità ha sempre considerato la struttura parte integrante della comunità stessa; si offrivano derrate alimentari, si effettuavano offerte alla “casa” e in memoria che continuano anche oggi e ci consentono di mantenere elevata la dotazione di ausili e progetti. È sempre stata un punto di riferimento e lo è ancora, per un’emergenza socio-assistenziale o sanitaria, per il prestito di un ausilio o, semplicemente, per un consiglio ed un aiuto a districarsi nei meccanismi non sempre facili dei servizi sociali.
Siamo una struttura aperta e con un intenso interscambio con la comunità, realizziamo progetto ed esperienze con le scuole del territorio, con il volontariato; abbiamo un numero significativo di volontari che ci danno un aiuto preziosissimo e costituiscono un anello di congiunzione/scambio tra i nostri anziani e la comunità.
Quali sono stati i momenti di maggiore difficoltà per la realizzazione di questo progetto?
Forse le maggiori difficoltà ci sono state negli anni 90 quando si è avviato il progetto di gestione che ha portato alla costituzione della Società di Mutuo Soccorso e all’adozione delle modalità di gestione arrivate fino ai giorni nostri. Forse si è trattato per lo più di contrapposizioni legate agli schieramenti politici di appartenenza.
Abbiamo lavorato per essere una struttura aperta e interattiva con la comunità, questo comporta anche una “trasparenza” del nostro lavoro e oggi siamo percepiti come patrimonio di tutta la comunità e non di una parte.
La gestione della Casa ha avuto molti momenti di cambiamento e di evoluzione fino ad arrivare alla attuale gestione da parte della Società operaia il 26 novembre 1994. Cosa successe da quel momento in avanti?
Dal 26 novembre 1994, con la costituzione della Società di Mutuo Soccorso, la Casa Protetta (allora si chiamava così) si è dotata della "governance", della struttura organizzativa e degli strumenti operativi necessari per lo svolgimento dell’attività.
Furono eletti un Consiglio di Amministrazione e un Presidente, individuate le responsabilità gestionali e amministrative e si attuò un progetto diffuso di formazione del personale al fine di ottenere la qualificazione richiesta.
Furono attuati adeguamenti edilizi ed impiantistici per rendere la struttura idonea allo svolgimento dell’attività assistenziale. Che cosa è oggi la vostra struttura, chi può accogliere e quante persone ospita?
Oggi siamo un centro multiservizi, che fa parte dei servizi accreditati della Regione Emilia-Romagna, con una Casa Residenza che ospita 57 anziani, un Centro Diurno che ne ospita 13, una Casa Famiglia che ne ospita 5 e 5 appartamenti tutelati dove risiedono 6 persone; per un totale di 81 persone. Siano una parte importante anche dell’economia locale, presso la struttura lavorano circa 50 persone e la ricaduta economica sulla comunità è importante.
Quali sono le maggiori difficoltà che incontrate nel percorso di vita dei vostri anziani?
Le difficoltà maggiori sono dovute alla progressiva perdita dell’autosufficienza e alla diminuzione delle capacità cognitive; sono problemi comuni a tutte le strutture. Di solito, dopo un periodo di inserimento ai ritmi e abitudini di vita di comunità, che sono sicuramente diversi da quelli domestici/familiari, assistiamo ad un miglioramento delle condizioni generali dell’anziano; l’applicazione di protocolli personalizzati, l’assistenza di personale formato, la disponibilità di ausili adeguati e le attività riabilitative, di animazione e socializzazione consentono di valorizzare e utilizzare le capacità residue.
Ci sono normative nazionali e regionali che andrebbero modificate e migliorate?
Siamo un Soggetto Gestore Accreditato presso il Servizio Sanitario Regionale dell’Emilia-Romagna, i nostri Enti Committenti (Comune e AUSL) a volte ci considerano un fornitore alla stregua di chi vende beni di consumo dove spesso conta solo il prezzo stracciato. Ci parrebbe invece opportuno valorizzare le buone esperienze di ogni struttura e per quanto possibile, diffonderle anche in altre esperienze. Le norme di riferimento individuano degli elementi di flessibilità che dovrebbero stimolare proprio l’ulteriore qualificazione dei servizi ma non se ne parla mai perché, se applicati e riconosciuti, comporterebbero il riconoscimento al Gestore del lavoro svolto e, di conseguenza, un compenso giornaliero di qualche centesimo in più. E siccome si valuta sempre di più solo il costo… meno si spende, meglio è.
Nelle nostre realtà, questi servizi sono gestiti prevalentemente da Cooperative Sociali che chiedono continuamente un grande impegno ai propri Soci Lavoratori; un grande impegno in termini di delicatezza e pesantezza del lavoro, necessità di formazione continua, assistenziale, sanitaria, di comunicazione con gli anziani adeguandosi, il più possibile, alle loro modalità di interagire. E purtroppo anche con un sacrificio di carattere economico poiché gli stipendi e i trattamenti normativi delle Coop. Sociali sono sensibilmente più bassi rispetto agli stessi ruoli di altri settori, ad esempio del pubblico. Oggi esiste, secondo me, una lacuna importante nel sistema complessivo (pubblico e privato) di presa in carico dell’anziano. Spesso il primo passaggio dell’anziano dalla propria casa alla vita di comunità è costituito dall’ingresso in Casa Famiglia; dalla quale, però, dovrà essere dimesso quando le sue condizioni si aggravano e superano il livello (BINA) previsto dal regolamento e non sono più compatibili con la permanenza in questo ambito.
In quel momento inizia un vero calvario per gli anziani e per le loro famiglie. Infatti, se le condizioni dell’anziano sono troppo gravi per la Casa Famiglia ma non abbastanza per entrare nella graduatoria della Casa Residenza Accreditata, paradossalmente dovrebbe tornare a casa (dove non era in condizione di stare).
In realtà inizia un pellegrinaggio verso altra Casa Famiglia che lo ospita per qualche mese/settimana o in qualche struttura, non meglio definita, anche fuori Provincia.
Ci sembra quindi che manchi un anello importante. Il sistema servizi pubblici, accreditati e privati, dovrebbe garantire all’anziano e alla sua famiglia una “presa in carico” dal momento in cui non è più possibile la permanenza nell’abitazione. Sarebbe opportuno studiare una forma di comunità intermedia tra la Casa Famiglia e la Casa Residenza per non autosufficienti che consentisse di erogare un servizio adeguato a questo tipo di utente con carico assistenziale e sanitario inferiori alla Casa Residenza. Questo consentirebbe di poter fornire un servizio meno costoso della Casa Residenza che si aggira sui 2.500 €/mese e di assicurare all’anziano una continuità di vita in comunità adeguata ai mutamenti delle sue esigenze e condizioni.
In considerazione di quanto sopra ci piacerebbe poterci confrontare con gli Enti Committenti (Comune e Ausl) al fine di collaborare alla definizione delle previsioni future, della valorizzazione delle buone pratiche, dell’individuazione di bisogni degli anziani che sono in continua evoluzione. Non abbiamo la presunzione di voler fare il mestiere di altri, ma, proprio perché siamo soggetti accreditati e per conto del Servizio Sanitario Regionale, ci sembrerebbe un valore aggiunto per tutto il sistema, fare tesoro di quelle peculiarità di cui parlavo prima.
Quali sono i vostri progetti futuri?
Stiamo facendo un investimento importante nella riqualificazione e ampliamento della nostra struttura, che comporta un impegno ed uno sforzo molto grandi, che affrontiamo per migliorare la qualità dei nostri servizi e per essere in grado di dare risposte sempre più puntuali ai bisogni della comunità e del territorio.