Le prime Case Famiglia per anziani risalgono a circa quindici anni fa quando in alcune zone del Nord d'Italia nascono le prime sperimentazioni, sviluppandosi poi successivamente su tutto il territorio nazionale. In mancanza di altre soluzioni proposte dal sistema di welfare statale la Casa Famiglia è sembrata essere la soluzione ottimale e meno traumatica per le famiglie, una misura alternativa alla istituzionalizzazione dell'anziano e in molti casi una "struttura provvisoria" in attesa di trovare una soluzione all'interno della rete istituzionale. Oggi si assiste ad una crescita continua di queste strutture che in molti casi viene preferita alla classica “badante” per la continuità garantita nell’assistenza più o meno a parità di costo.
In Italia sono le Case Famiglia per minori ad avere una visibilità e una storia mentre una scarsa visibilità ha caratterizzato finora l'operato delle Case Famiglia per anziani e disabili, fenomeno probabilmente in parte riconducibile ad una legislazione molto debole che legittima uno sviluppo senza controlli.
Le Case Famiglia nascono su iniziativa di soggetti privati e la normativa vigente non prevede per questa particolare tipologia di struttura né un obbligo di preventiva autorizzazione al funzionamento, né alcuna forma di convenzione o accordo con gli enti istituzionali per l'esercizio della loro attività, né tantomeno sanzioni efficaci per chi non rispetta neppure le norme minime previste dai Regolamenti comunali ( carta dei servizi, elenchi aggiornati degli ospiti con livello di invalidità, qualifiche professionali del personale dipendente, ecc.)
Esse perciò, godono di un'autonomia tale da consentire ai soggetti gestori di definire liberamente tariffe per i servizi erogati, standard qualitativi delle prestazioni e condizioni di lavoro.
In Emilia-Romagna, a causa del maggior invecchiamento della popolazione, le famiglie con anziani sono oltre una su tre, per l’esattezza il 38%, mentre il 26% dei nuclei familiari è composta solo da anziani, con valori superiori alla media nazionale e il fenomeno della Case Famiglia in alcuni territori si sta sviluppando senza controllo.
Se guardiamo la provincia di Ravenna, troviamo una situazione difforme tra i tre distretti, infatti nel distretto di Ravenna i posti letto in strutture per anziani non autosufficienti non raggiungono il parametro regionale del 3%, sono infatti fermi al 2, 66 %, al contrario di quanto succede nel distretto di Lugo che raggiunge il 3% mentre nel distretto di Faenza è al 3, 20%. Questa situazione ha determinato a Ravenna una lista d’attesa di circa 400 domande per inserimento in Case protette e contemporaneamente uno sviluppo esponenziale delle Case famiglia private, dove ad oggi sono state censite ben 72 strutture, mentre a Lugo ne sono sorte 15 e a Faenza, invece nessuna.
Se consideriamo che ogni casa famiglia può ospitare 6 persone il totale delle persone ospitate ad oggi è di 432 persone. Il Regolamento del Comune di Ravenna all’art.4 dice “4. Qualora si verifichi una perdita parziale e/o totale della condizione di autosufficienza di un ospite, la UVG ( Unità di Valutazione Geriatrica) è chiamata ad attivarsi anche nei confronti delle persone già inserite in Case famiglia/Appartamenti protetti per anziani e a suo tempo valutate come idonee. In tal caso, a fronte di certificata variazione o perdita di autosufficienza non più compatibile con la permanenza nella struttura, la Casa famiglia/Appartamento protetto per anziani garantirà comunque l’accoglienza dell’ospite per un massimo di 3 (tre)mesi assicurando un’assistenza adeguata con modalità appropriate ai nuovi bisogni, in attesa che venga individuata un’altra collocazione".
A questo punto viene spontaneo chiedersi quale può essere l’altra collocazione, vista la lista di attesa !
Le Case Famiglia sono quindi la risposta ad una emergenza sociale che diventa businnes per i soggetti privati a fronte di una normativa che non prevede per questa particolare tipologia di struttura né un obbligo di preventiva autorizzazione al funzionamento, né alcuna forma di convenzione o accordo con gli enti istituzionali per l'esercizio della loro attività.
Esse perciò, godono di un'autonomia tale da consentire ai soggetti gestori di definire tariffe per i servizi erogati, standard qualitativi delle prestazioni e condizioni di lavoro.
In alcune di queste strutture vengono perfettamente rispettate norme e standard qualitativi e organizzativi, altre, seppur autorizzate, non sono sottoposte ai necessari controlli di routine e le persone che vi risiedono spesso vivono in pessime condizioni,
Le Case Famiglia a oggi non rientrando nella disciplina dell'accreditamento come molti altri servizi residenziali per i quali i criteri dell'accreditamento valgono ai fini del rilascio dell'autorizzazione al funzionamento. Gli articoli 5, 6 e 7 (a norma dell'articolo 9 della Legge n.328 del 2000) regolamentano i seguenti requisiti strutturali e organizzativi:
Requisiti strutturali
possesso dei requisiti previsti per le civili abitazioni dalla normativa vigente in materia edilizia, igienico sanitaria, di prevenzione incendi, sulle condizioni di sicurezza degli impianti, sulle barriere architettoniche, sulla prevenzione e sicurezza dei luoghi di lavoro;
ubicazione in luoghi abitati facilmente raggiungibili tali da permettere agli ospiti di partecipare alla vita sociale del territorio e alle famiglie di facilitare le loro visite;
dotazione di spazi destinati ad attività di socializzazione distinti dagli spazi destinati alle camere da letto in modo da garantire l'autonomia individuale e la privacy.
Nello specifico il decreto 308 del 2001 prevede che all'interno di ciascuna Casa Famiglia sia presente una linea telefonica a disposizione degli ospiti e dei campanelli di chiamata in ogni posto letto, che esse siano dotate di arredi e attrezzature idonee alla tipologia degli ospiti e in particolare che siano garantiti letti articolati regolabili in altezza, materassi e cuscini antidecubito e un armadio farmaceutico.
Sulla base di suddetti requisiti le singole regioni hanno, in maniera differente, rivolto la loro attenzione a questo nascente settore di attività, con l'obiettivo di promuoverne e regolamentare questo campo che vede coinvolta una fascia di popolazione vulnerabile, composta da persone anziane che per vari motivi familiari o per mancanza di requisiti per l’accesso ai servizi assistenziali pubblici, si rivolgono alla rete privata.
Diventa dunque, un dovere delle regioni e dei comuni porre la giusta attenzione a questa platea di utenti spesso "respinti" dal welfare pubblico che si rivolgono al nuovo mercato privato delle Case Famiglia e al processo di commercializzazione che sta investendo queste strutture.
Purtroppo fino ad oggi, a fronte del crescente sviluppo di Case Famiglia per anziani la legislazione nazionale e regionale è rimasta sostanzialmente assente. Nel panorama nazionale non esistono leggi specifiche in materia, ma solo norme collocate all'interno di leggi regionali che hanno identificato tale realtà in modi diversi da regione a regione.
Molti cittadini in questi anni hanno segnalato gravi problemi relativi alla gestione della case famiglia che riguardano in particolare: inadeguatezza delle strutture dal punto di vista igienico sanitario e della somministrazione dei pasti, non rispetto della privacy e dei bisogni dei pazienti, personale senza formazione alcuna e spesso senza conoscenza della lingua italiana, assenza di piani di assistenza individuale, ecc.
Oggi diventa fondamentale misurarsi con la necessità di creare un sistema di servizi alla persona aperto alle trasformazioni richieste dai cambiamenti sociali ed economici in atto, ma, di fronte alle sfide dei nuovi scenari economici tutto appare più complicato ed è già molto se si riescono a salvaguardare i servizi socio assistenziali garantiti fino ad ora. La prospettiva futura di assorbire nel sistema di accreditamento regionale strutture come le case famiglia o i gruppi appartamento, potrebbe essere fondamentale non solo per la qualità dell'assistenza, attraverso l'accertamento del possesso e del mantenimento di una serie di requisiti strutturali ed organizzativi, ma anche per garantire l'efficienza e la sostenibilità economica.
Le regioni devono intervenire per rispondere alla crisi economica, provando ad attribuire ai servizi socio assistenziali presenti sul territorio il giusto riconoscimento, non eliminandoli ma valorizzandoli e garantendone la qualità, per rinsaldare anche il legame con le rispettive comunità, in quanto ancora oggi la maggior parte delle risposte ai bisogni di vita quotidiana dei soggetti deboli viene dalle reti parentali, che hanno da sempre, costituito la principale forma e fonte di supporto.
Queste reti però, sono fragili e oggi rischiano di diventarlo ancora di più per una serie di cambiamenti importanti in atto: invecchiamento della popolazione, maggior lavoro femminile, e soprattutto maggior fragilità delle famiglie sempre di più unicellulari.
Di fronte all'aumento numerico, assoluto e relativo, della popolazione anziana e di fronte alla crescita di bisogni che comporta, si tende a prevedere la semplice moltiplicazione di quello che esiste (più ospedali, più case di riposo), generando spesso una visione apocalittica del futuro per il peso economico dell'assistenza agli anziani. Altre volte, invece, il rimedio a ciò diviene la negazione della reale dimensione del problema, ipotizzando una diminuzione di domanda assistenziale che non si è capito bene da che cosa dovrebbe dipendere.
Il risultato è stato che nell’ultimo decennio si è costituito un mercato sociale dei servizi alla persona alimentato, in misura sempre maggiore, da forme di lavoro sommerso di cura, che offrono alla popolazione scarse garanzie nella qualità dei servizi prestati e limitata protezione occupazionale ai prestatori di cura e nello stesso tempo questa forma non regolata del lavoro di cura impedisce lo sviluppo e la sostenibilità di un più ampio impianto di protezione sociale, oltre ad esporre i soggetti coinvolti a forti livelli di vulnerabilità.