“C'era due volte il barone Lamberto”: l'intera narrazione si svolge attorno allo spericolato tentativo, messo in atto dal barone novantaquattrenne insieme al fido maggiordomo Anselmo, di evitare un ormai inevitabile trapasso.
L'isola di San Giulio, il Lago d'Orta e i suoi dintorni sono protagonisti, insieme al barone, del racconto: non solo il paesaggio lacustre, ma anche molti dei circostanti centri abitati (da Verbania, a Domodossola, a Gravellona Toce) vengono citati a più riprese in quella che pare una piccola ode alla provincia natale di Gianni Rodari.
In effetti, per chi abbia visitato l'isola – sede di un monastero benedettino e percorsa da suggestive mulattiere, lungo le quali regnano il verde e il silenzio – non è difficile pensarla come la custode di qualche mistero, come quello che permette al facoltoso barone di restare in vita e che in parte resta velato anche alla fine del libro.
Di ritorno da un viaggio in Egitto, durante il quale hanno consultato un vecchio mago, Lamberto e Anselmo scelgono accuratamente e assumono sei persone: esse hanno il compito (per il quale sono largamente ricompensate) di ripetere senza sosta, a turno e in gran segreto, il nome del barone; dopo qualche tempo, il corpo di quest'ultimo comincia inspiegabilmente a ringiovanire: la morte, così prossima a Lamberto prima del viaggio in Egitto, sembra allontanarsi sempre di più, per lasciare spazio a una seconda giovinezza che il barone trascorre praticando ogni tipo di attività fisica. Ma qualcuno non sembra entusiasta della curiosa trasformazione: il nipote Ottavio, ansioso di mettere le mani sull'eredità dello zio, e i cosiddetti Ventiquattro Elle, un gruppo di banditi senza scrupoli che irrompono sull'isola e prendono in ostaggio il barone... Il crescendo narrativo sarà inaspettatamente risolto dall'intervento di Delfina, l'unica fra i sei 'dipendenti' di Lamberto (tenuti all'oscuro del fine per il quale sono chiamati a ripetere il suo nome) che si chieda insistentemente il perché della propria strana occupazione.
In “C'era due volte il barone Lamberto” (come del resto in molte delle altre opere di Rodari) la leggerezza dello stile non deve ingannare: molti sono gli spunti di riflessione suggeriti da questa spassosa vicenda, che più volte nel corso della lettura regala al lettore di qualunque età sorrisi molto divertiti.
Estremamente significativo, ad esempio, è il personaggio di Delfina, nettamente contrapposto a quello del barone: mentre Lamberto ha passato i propri 'primi' novantaquattro anni a fare e pensare ciò che gli altri gli imponevano, e quindi non ha mai davvero seguito le proprie aspirazioni, la ragazza dimostra di non lasciarsi influenzare dalla superficialità e dall'indifferenza altrui, e non rinuncia mai a ragionare con la propria testa, preferendo interrogarsi sempre sul perché delle cose. Delfina è l'unica dei molti personaggi del libro a non essere una macchietta (spesso lo è perfino Lamberto, infantilmente occupato a recuperare il tempo perduto).
Un altro intrigante spunto di riflessione è dato dall'osservazione del carosello che si crea attorno e all'interno dell'isola, i cui toni grotteschi si accentuano quando Lamberto diventa ostaggio dei Ventiquattro Elle.
La folla, i politici, i direttori delle banche di proprietà del barone e i loro segretari, giornalisti e fotografi, il barcaiolo Duilio e perfino i bambini: tutti diventano parte di uno spettacolo in cui interpretano se stessi, e, al contempo, sono descritti in modo tale che la peculiarità di ognuno, accentuata fino al ridicolo, ne sdrammatizza la maschera, togliendole credibilità.
Questa è una delle grandi doti di Rodari, tanto preziose dal punto di vista educativo: apparentemente non c'è giudizio nel suo affrescare situazioni e persone, nemmeno quando si tratta di un omicida come Ottavio; il giudizio certo è presente, ma non determina i contorni del personaggio. La maschera, in altre parole, resta una maschera: nel suo essere immancabilmente fedele a sé stessa risulta tanto ridicola da non richiedere più nemmeno un'esplicita condanna morale da parte di autore e/o lettore. La mancanza di un marcato giudizio moraleggiante è uno degli ingredienti che determinano l'intelligente leggerezza propria degli scritti rodariani.
In “C'era due volte il barone Lamberto”, la morte è una presenza discreta ma costante: nel soprannome del barcaiolo Duilio, chiamato Caronte, nella continua minaccia da parte di Ottavio e dei Ventiquattro Elle, nel pretesto narrativo che sta alla base stessa del racconto e che è costituito dal tentativo del protagonista di sfuggirle... e nel punto centrale della vicenda, in cui il barone, inevitabilmente, muore. Si tratta di un momento estremamente interessante, soprattutto per la sobrietà e la semplicità con cui Rodari lo descrive: "Egli respira a fatica, sente che la gola gli si stringe, acuti dolori gli scoppiano nel petto. Allunga la mano per tirare il cordone del campanello e non ci riesce. Vorrebbe chiamare Anselmo, ma la bocca è come murata. [...] «Dormono, - pensa il barone, - e io muoio». Ma non fa in tempo a spaventarsi, perché è già morto."
Nel brano c'è pathos, non dramma; c'è tempo per la sorpresa, ma non per la paura: tutto ciò è inusuale, per la nostra contemporaneità, eppure estremamente importante perché sia favorito, nel bambino, un rapporto 'adulto' con l'idea del trapasso.
Ben più complesso del morire sembra essere il vivere, misteriosamente reiterato dal fatto che "l'uomo il cui nome è pronunciato resta in vita” (1): forse il segreto di Lamberto sta nella sensazione tanto speciale che si prova a sentir pronunciato il proprio nome: come dice il barone, "dà soddisfazione, come a grattare dove prude"...
Incipit (2)
“In mezzo alle montagne c'è il lago d'Orta. In mezzo al lago d'Orta, ma non proprio a metà, c'è l'isola di San Giulio. Sull'isola di San Giulio c'è la villa del barone Lamberto, un signore molto vecchio (ha novantatré anni), assai ricco (possiede ventiquattro banche in Italia, Svizzera, Hong Kong, Singapore, eccetera), sempre malato. Le sue malattie sono ventiquattro. Solo il maggiordomo Anselmo se le ricorda tutte. Le tiene elencate in ordine alfabetico in un piccolo taccuino: asma, arteriosclerosi, artrite, artrosi, bronchite cronica, e così avanti fino alla zeta di zoppía. Accanto a ogni malattia Anselmo ha annotato le medicine da prendere, a che ora del giorno e della notte, i cibi permessi e quelli vietati, le raccomandazioni dei dottori: «Stare attenti al sale, che fa aumentare la pressione», «Limitare lo zucchero, che non va d'accordo con il diabete», «Evitare le emozioni, le scale, le correnti d'aria, la pioggia, il sole e la luna».
Epilogo (3)
Le favole di solito cominciano con un ragazzo, un giovinetto o una ragazza che, dopo molte avventure, diventano un principe o una principessa, si sposano e danno un gran pranzo. Questa favola invece comincia con un vecchio di novantaquattro anni che alla fine, dopo molte avventure, diventa un ragazzino di tredici anni. Non sarà uno sgarbo al lettore? No, perché c’è la sua brava spiegazione.
Il lago d’Orta, nel quale sorge l’isola di San Giulio e del barone Lamberto, è diverso dagli altri laghi piemontesi e lombardi. È un lago che fa di testa sua. Un originale che, invece di mandare le sue acque a sud, come fanno disciplinatamente il Lago Maggiore, il Lago di Como e il lago di Garda, le manda al nord, come se la volesse regalare al Monte Rosa, anziché al mare Adriatico.
Se vi mettete a Omegna, in piazza del Municipio, vedrete uscire dal Cusio un fiume che punta diritto verso le Alpi. Non è un gran fiume, ma nemmeno un ruscelletto. Si chiama Nigoglia e vuole l’articolo al femminile: la Nigoglia. Gli abitanti di Omegna sono molto orgogliosi di questo fiume ribelle e vi hanno pescato un motto che dice in dialetto: La Nigoja la va in su / e la legg la fouma nu. (in italiano: La Nigoglia va all’insù/e la legge la facciamo noi.)
Mi sembra detto molto bene. Sempre pensare con la propria testa. Si capisce che poi, alla fine dei conti, il mare riceve le sue spettanze: difatti le acque della Nigoglia, dopo una breve corsa a nord, si gettano nello Strona, lo Strona le porta al Toce che le versa nel lago Maggiore e di qui, via Ticino e Po esse finiscono nell’Adriatico. L’ordine è ristabilito. Ma il lago d’Orta è contento lo stesso di quello che ha fatto. È sufficiente come spiegazione di una favola che obbedisce solo a sé stessa? Speriamo di sì.
Resta poi da aggiungere che i ventiquattro direttori generali delle Banche Lamberto, rientrati nelle loro sedi, si affrettarono ad assumere persone di ambo i sessi e a pagarle perché ripetessero a turno, giorno e notte, i loro riveriti nomi. Speravano così di guarire dalle loro malattie e di far camminare il tempo all’indietro. Invano. Chi aveva i reumatismi, se li doveva tenere. A chi era calvo, non spuntò alcun capello in capo, né biondo né bruno. Chi aveva compiuto i sessantacinque anni, non recuperò un solo minuto. Certe cose succedono una volta sola. A dire la verità, poi, certe cose possono succedere solo nelle favole.
Non tutti saranno soddisfatti della conclusione della storia. Tra l’altro non si sa bene che fine sarà Lamberto e cosa diventerà da grande.
A questo, però, c’è rimedio. Ogni lettore scontento del finale può cambiarlo a suo piacere, aggiungendo al libro un capitolo o due. O anche tredici.
Mai lasciarsi spaventare dalla parola.
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Note
(1) cit.Pag.23
(2) pag. 7
(3) pagg. 100/101
C'era due volte il barone Lamberto adatto a bambini dai dieci anni in su. Editore Einaudi
Edizione 2010-Illustrazioni Altan