Una breve premessa prima di parlare del racconto. Il 23 ottobre 2020 Gianni Rodari avrebbe compiuto 100 anni! Un autore geniale, completo, narratore, giornalista e studioso, ma che fa parte di quella non grandissima schiera di Maestri che questo Paese, non onora come dovrebbe e che qualcuno vorrebbe dimenticare! Io, invece, (e non sono la sola, per fortuna,) lo voglio ricordare, perché è uno degli autori più importanti della nostra letteratura, che ha speso la sua vita per abbattere ogni barriera che limitasse la creatività, ogni muro che recintasse il pensiero, ogni luogo comune che mortificasse le parole.
Abbiamo il dovere di raccontare Gianni Rodari alle generazioni che hanno la fortuna di poterlo leggere e la sfortuna di non poterlo conoscere. Lui diceva che: “Se una società basata sul mito della produttività (e sulla realtà del prodotto) ha bisogno di uomini a metà – fedeli esecutori, diligenti riproduttori, docili strumenti senza volontà – vuol dire che è fatta male e che bisogna cambiarla. Per cambiarla occorrono uomini creativi, che sappiano usare la loro immaginazione”. Queste sue parole sono state dette e pubblicate 46 anni fa e spiegano il perché è importante ricordarlo e raccontarlo con passione e gratitudine.
“Gelsomino nel paese dei bugiardi” è stato pubblicato per la prima volta nel 1958 dagli Editori Riuniti con le illustrazioni di Raul Verdini e nel corso degli anni ha avuto innumerevoli ristampe; una significativa anticipazione del tema è contenuta nella filastrocca “Il paese dei bugiardi” scritta su “l’Unità” il 23 agosto 1956. In un paese dove per ordine del sovrano tutto funziona al contrario ed è proibito dire la verità, arriva Gelsomino dalla voce potentissima che con l’aiuto di simpatici amici sconfigge la prepotenza e fa trionfare la sincerità.
In questo libro Rodari dà prova della sua straordinaria capacità di esplorare con occhio critico la realtà sociale e di muovere con brio e finezza di stile verso un universo fantastico costruito sull’altruismo, sulla generosità, sull’amicizia: Gelsomino con la sua voce e la sua simpatia ci invita a guardare con ottimismo al futuro. (consigliato ai ragazzi dai 7 anni.)
La trama
Fin da bambino Gelsomino ha avuto una brutta voce potentissima, che è stata per lui fonte di innumerevoli problemi: era capace di rompere i vetri delle finestre e le lavagne della scuola, di modificare le traiettorie del pallone durante le partite di calcio, di far cadere anzitempo i frutti dagli alberi. Per sfuggire alla cattiva fama che si è procurato presso i suoi concittadini, Gelsomino ormai giovanotto si trasferisce in un altro paese, dove le cose vanno a rovescio: i generi alimentari si vendono nelle cartolerie, si accetta in pagamento denaro falso e si rifiuta quello buono e nessuno chiama le cose con il loro nome. Qui fa la conoscenza di un gatto parlante con tre zampe, di nome Febo disegnato da una bambina con un gessetto su un muro, dal quale è stato liberato per un potente colpo della voce di Gelsomino. Zoppino gli spiega che Giacomone, il re di quel paese, prima di impadronirsi del trono era stato un pirata, e che per impedire che si parlasse delle sue precedenti imprese furfantesche aveva imposto ai suoi sudditi che nessuno dicesse più la verità, sotto pena di finire in prigione o in manicomio.
Gelsomino entra in una cantina che ha trovato aperta per riposarsi. Zoppino, nel frattempo, prima ruba un avanzo di pesce alla vecchia gattara Zia Pannocchia, poi s'introduce alla reggia, dove scopre che i fluenti e ammirati capelli arancione di re Giacomone non sono altro che una parrucca, e che il sovrano è calvo. Non resiste alla tentazione di scrivere questa verità su un muro, dopodiché viene catturato da Zia Pannocchia che lo porta a casa, cucendolo ad una poltrona per punirlo del suo furto. Viene però liberato da Romoletta, la nipote della gattara che l'aveva disegnato, che lo conduce dal pittore Bananito per rifinirlo meglio ed evitare che il gesso di cui Zoppino è fatto si consumi. Bananito, che in ossequio alla legge della menzogna ha dipinto persone e oggetti dall'aspetto assurdo, in preda ad una crisi vorrebbe distruggere le sue opere, ma è fermato dall'improvvisa comparsa di Gelsomino, che cerca un posto dove nascondersi. Egli infatti era stato scoperto dal maestro Domisol, direttore del teatro cittadino, che notando la potenza della sua voce aveva pensato di farne una stella del bel canto, ma alla sua prima esibizione aveva demolito completamente il teatro.
Zoppino consiglia a Bananito di limitarsi a togliere dai quadri i particolari ridondanti, anziché distruggerli, e si verifica un altro prodigio: le immagini così corrette si staccano dalle tele e diventano vere. Bananito per riconoscenza dipinge un'altra zampa a Zoppino. Zia Pannocchia e Romoletta sono arrestate e condotte in manicomio per aver insegnato ai gatti a miagolare ed anche Gelsomino è ricercato per aver distrutto il teatro. Egli fugge per i tetti assieme a Zoppino ma scivola e cade sul balcone di Benvenuto-Mai seduto, un cenciaiuolo dall'aspetto di un vecchietto di settantacinque anni ma che in realtà ne ha solo dieci perché invecchia ogni volta che si siede. Questi dà ricetto a Gelsomino finché non è guarito. Intanto Bananito ha ripreso il suo lavoro mettendosi a ricreare la realtà per strada. Viene prima imprigionato per aver dipinto delle immagini veritiere, ma poi è invitato a corte, dove re Giacomone spera che gli possa dipingere in testa dei capelli veri per poter rinunciare alla parrucca, e nominato ministro; tuttavia si rifiuta di dipingere dei cannoni e viene rinchiuso in manicomio, da dove Zoppino lo fa evadere con la complicità di Benvenuto, che per intrattenere una guardia si siede fino a morire di vecchiaia.
Per liberare Zia Pannocchia e Romoletta, Gelsomino si mette a cantare di fronte al manicomio, provocandone la distruzione; la devastazione coinvolge anche il palazzo reale, dal quale fuggono la corte e lo stesso Giacomone in incognito, che si libera delle sue parrucche gettandole in un fiume. La popolazione, presso la quale il senso della verità non era ancora del tutto spento, è liberata dal regime delle bugie.
Gelsomino riprende a studiare per diventare un vero cantante lirico, Zia Pannocchia diventa la direttrice di un istituto per gatti abbandonati e Romoletta studia da maestra. La guerra che Giacomone aveva dichiarato ad uno stato confinante contando sui cannoni che Bananito gli avrebbe dipinto viene convertita, su suggerimento di Gelsomino, in una partita di calcio.
***
Tratto da pag. 63 del racconto: “Se un pittore sa il suo mestiere le cose belle diventano vere.”
– Credevo, – mormorò tristemente Bananito, – credevo di essere un pittore.
Ma sarà meglio che cambi mestiere.
E sceglierò un mestiere col quale i colori c'entrino il meno possibile.
Per esempio, farò il becchino, e avrò a che fare solo con il nero.
– Anche nei cimiteri ci sono i fiori, – osservò Gelsomino.
– Su questa terra, di nero proprio nero e soltanto nero non c'è niente.
– Il carbone, – disse Zoppino.
– Ma a dargli fuoco diventa rosso, bianco, azzurro.
– L'inchiostro nero è nero e basta.
– Ma con l'inchiostro nero si possono scrivere storie colorate e allegre.