C’era una volta e una volta non c’era: così inizia la storia di Vassilissa, e già da questa prima affermazione possiamo capire che le fiabe russe parlano di un “altro” mondo, che somiglia alla realtà e tuttavia non lo è. Prima, però, mettiamo in chiaro una cosa: nelle fiabe russe non esistono le fate, niente esserini celesti che trasformano zucche in carrozze o topi in cavalli.
Infatti in russo le fiabe sono chiamate skazka che significa “ciò che si dice”, quindi “storia”; niente a che vedere con l’inglese “fairy tales” o il francese “contes de fées”. Ciò non toglie che vi siano personaggi bizzarri, grandi cavalieri, ragazze straordinarie, principesse rane, uccelli di fuoco e… Perché favole e fiabe sono una cosa seria.
La Baba Jaga(1) è l'archetipo della donna selvaggia: la signora oscura dei boschi, è un personaggio della mitologia slava, in particolare di quella russa, e la figura immaginaria di un personaggio fiabesco.
Mostruosa vecchietta che possiede oggetti incantati ed è dotata di poteri magici In una serie di fiabe viene paragonata ad una strega, una incantatrice. Spesso è un personaggio negativo, ma a volte agisce in qualità di aiutante del protagonista. Oltre che nelle fiabe russe, si trova anche in quelle polacche, slovacche e ceche. Inoltre, si tratta di un personaggio dei rituali magici nelle vecchie terre slave della Carinzia in Austria, di un personaggio carnevalesco in Montenegro e di uno spirito della notte in Serbia, Croazia e Bulgaria
Baba Yaga e la sua casa
Ma procediamo con ordine: prima di chiunque altro arriva la Baba Yaga, quella che più assomiglia alle nostre streghe. La cara nonnina, in realtà un’orchessa con una gamba di sole ossa che non disdegna la carne umana, vive in una casa issata su zampe di gallina che può girarsi a comando (ma non è detto che lo faccia in silenzio).
[…] Casetta, casettina, vòltati con la faccia verso di me e il dorso verso il bosco…
Casa, casettina! Mettiti come prima, come ti ha messo mamma…[…] (2)
Ma la Baba Yaga non è del tutto priva di delicatezze: prima di mangiare i suoi ospiti offre loro un bagno e un pasto caldo. Talvolta consegna loro oggetti magici o rivela informazioni preziose. Poi… insomma, tranquilli, i protagonisti se la cavano egregiamente.
Non manca l’eroe maschile, com’è dovuto: talvolta è un principe, ma spesso è un arciere al servizio dello zar, o semplicemente l’ultimo dei tre figli di un vecchio contadino, magari neanche troppo brillante. Lev Tolstoj sceglie proprio il personaggio di Ivan lo stupido per scrivere la celebre fiaba omonima: un ragazzo che tutti deridono, semplice e ingenuo, ma anche giusto e sensibile. La sorte farà di lui un vero eroe grazie alle sue scelte assennate a fronte delle smargiassate inconcludenti dei fratelli maggiori.
Il suo alter ego è una giovane donna, Vassilissa la bella, dolce e assennata quant’altre mai, abile nei lavori di casa, ma capace di affrontare il mondo e le sue prove senza paura e con ottimi risultati, esattamente come l’eroe maschile; spesso è orfana ed è protetta dalla madre defunta attraverso oggetti magici (non essendoci fate-madrine come in Cenerentola, qualcosa bisognava inventarsi).
Non è però la sola donna ad essere protagonista: sotto il segno dell’oro brillano Vassilissa o Elena la Saggissima, principesse di bellezza pari a quella del sole (quindi non descrivibile) e dotate di conoscenza delle arti magiche; talvolta dall’aspetto animale, come ne La Principessa Ranocchia, talvolta guerriere indomabili possono aiutare l’eroe o porgli dei complicati enigmi da risolvere, le perfide.
Infine, svolazza qui e là un favoloso uccello di fuoco che corrisponde alla nostra Fenice: Le sue penne sono d’oro, e gli occhi simili al cristallo d’Oriente. Le sue piume emanano la luce di mille fiammelle e può esaudire ogni desiderio. In realtà trovarne una sola provoca un sacco di guai al nostro eroe, che prima di sposare, in barba al malvagio zar, la più bella principessa finisce persino in una pentola d’acqua a cento gradi, come racconta Aleksandr Nikolaevič Afanas’ev nella favola intitolata appunto L’uccello di fuoco e la principessa Vassilissa.
E ancora abbiamo lupi grigi e destrieri dalla criniera d’oro, zar inflessibili e gomitoli magici, un temibile gatto-moraccio e un gigante immortale, un’aquila dalle piume grigio azzurre e un bastone che picchia senza smettere mai…
Vassilissa la Bella e Baba Yaga
Tra le figure più spaventose ed affascinanti delle fiabe ci sono la strega e la vecchia. Praticano incantesimi e mandano malefici sono fate cattive e vecchie malvagie, possono essere vecchie streghe che nascondono, al loro interno, una bella fanciulla che aspetta soltanto che l’incantesimo svanisca e possa riprendere il suo giovane aspetto. È il caso della strega di Biancaneve, dove, sotto l’aspetto di una vecchia rugosa e mostruosa si nasconde la bella Regina Grimilde; come se la trasformazione avesse rovesciato la regina che diventa brutta e perfida come è in realtà interiormente.
Esiste anche la figura della vecchia mangiatrice di bambini, mangia i bambini come volesse riappropriarsi delle forze giovani, che la vecchia ha ormai perduto; la più conosciuta è sicuramente la strega di Hansel e Gretel, vive in un posto dolce e appetitoso: una casetta di marzapane, in realtà è lei ad essere golosa di bambini.
La vecchia negativa è, in questo caso, come se fosse testimone della fine della Grande Madre, la Madre Natura invecchiata che non partorisce più ma dà la morte o si nutre della vita dei bambini. Nella mitologia e nelle fiabe russe troviamo Baba Yaga (gamba d’osso), così viene descritta nella fiaba Vassilissa la Bella:
[…] “Veramente orrenda, viaggiava su un mortaio che si spostava da solo. Guidava questo veicolo con un remo a forma di pestello, e intanto cancellava le tracce alle sue spalle con una scopa fatta con capelli di persone morte da gran tempo. E il mortaio volava nel cielo con i capelli grassi di Baba-Yaga che svolazzavano dietro. Il lungo mento era ricurvo verso l'alto e il lungo naso verso il basso, così si incontravano al centro. Aveva una barbetta a punta tutta bianca e verruche sulla pelle. Le unghie nere erano spesse e ricurve e tanto lunghe che non poteva chiudere la mano a pugno.” […] (3)
Vive in una casa nel bosco in realtà è una casa provvista di zampe e può spostarsi anche esternamente al bosco) dalla fiaba menzionata così viene descritta la sua abitazione:
[…]“La casa era fatta di ossa, di teschi e di occhi, ed era sorretta da colonne fatte di gambe umane. Le maniglie delle porte e delle finestre erano fatte con dita di mani e piedi umani, e il chiavistello era un grugno di denti appuntiti.” È […] (4)
Alla figura di Baba Yaga si collega la leggenda dei tre cavalieri, che Baba Yaga considera i suoi servitori: il Cavaliere bianco, che rappresenta il giorno; il Cavaliere rosso, che rappresenta il sole; il Cavaliere nero, che rappresenta la notte. Quando Vassilissa chiede alla strega chi essi siano, Baba Yaga risponde:
[…] "la mia alba luminosa, il mio sole e la mia notte scura". Baba Yaga, quindi, controlla il tempo, il dì e la notte. Quando Vassilissa vuole sapere di più sui tre cavalieri, la strega risponde: "non tutte le domande portano buon pro; molto saprai, presto invecchierai"[...] (5)
Secondo Propp, la Baba Yaga non faceva altro che ribadire un principio sacro a livello iniziatico in base al quale l’anziano della comunità trasferiva tutto il suo sapere agli iniziati solo in punto di morte, lasciando le proprie conoscenze in eredità: "raccontare tutto" voleva dire, quindi "accingersi a morire". Ecco perché la Baba Yaga non vuole rispondere a tutte le domande di Vassilissa, dicendole di non farne troppe. Baba Yaga si identifica con la natura selvaggia, ne conosce i segreti e sembra che la natura possa sottostare ai suoi voleri e alle sue magie. In alcune versioni a Baba Yaga sono affidate delle fanciulle (da una matrigna o dal padre spinto a tale gesto dalla nuova moglie) che lei sottopone a pesanti lavori, minacciando di mangiarle se ogni compito non venisse svolto nel modo migliore. Ad aiutare le fanciulle troviamo, in una prima fiaba, i servitori della Baba Yaga (un cane, una betulla, un aiutante e un gatto, quest’ultimo di solito compagno fedele delle streghe) si ribellano alla Baba Yaga, aiutando la fanciulla a fuggire; in una seconda fiaba troviamo dei topini che, in cambio di cibo, aiutano la fanciulla a compiere i suoi lavori senza troppa fatica; nella versione invece di Vassilissa la Bella, troviamo che, ad aiutare la ragazza, sarà la bambola donata dalla mamma in punto di morte. Così viene raccontata la morte della madre, in realtà raccontata come la morte della moglie del padre, con cui si apre la fiaba:
[…] “Sua moglie morì quando la piccola aveva otto anni. Sentendo la fine avvicinarsi, la madre chiamò a sé la bambina, e da sotto le coperte tirò fuori una bambolina che come Vassillissa indossava stivaletti rossi, grembiulino bianco, gonna nera e corsetto ricamato e le disse: “Ascolta le mie ultime parole, e ubbidisci alle mie ultime volontà. Prendi questa bambola, è il mio dono per te con la mia benedizione materna; conservala con cura, non mostrarla a nessuno, e nutrila quando ha fame. Se ti troverai in difficoltà, chiedile aiuto, essa ti dirà che cosa fare.” […] (6)
Secondo Vladimir Propp (7) la bambola di questo tipo funge da sostituto della persona morta, depositaria dell’animo del defunto che così continua ad essere presente nella vita dei familiari. In effetti, però, la bambola indossa gli stessi indumenti di Vassilissa, ci viene cioè presentata come una piccola Vassilissa; è a lei che la bambina si rivolgerà per chiedere aiuto e sostegno come fosse una nuova madre ma anche come fosse la sua stessa coscienza. Vassilissa otterrà aiuto se riuscirà a guardare dentro se stessa ossia la bambola che la rappresenta. La bambola-feticcio con le sembianze di Vassilissa è il vero sostegno che rimane alla bambina dopo la morte della madre, potremmo dire che ricorda le matrioske. La matrioska è formata da una bambola, detta madre, che contiene un’altra bambola più giovane che a sua volta ne contiene un’altra più piccola e così fino ad arrivare all’ultima molto piccola, non si apre e non contiene nessuno, è detta: il seme. Il seme in realtà contiene il tutto poiché è destinato a diventare Madre. La bambola-fantoccio donata a Vassilissa è il seme, l’essenza della bambina che, alla fine della storia, ormai donna, sposerà lo Zar e quindi, probabilmente, sarà madre.
Le fiabe, come si diceva, possono esser viste come il ritratto di un popolo; leggere le fiabe russe significa anche addentrarsi in un mondo in cui la natura ha una forza sovrannaturale e l’uomo civilizzato ancora combatte contro la sua parte selvaggia e oscura. Ma resta un mondo ricco di bellezza e poesia e colori sfavillanti, che può ancora incantare con il suo:
“C’era una volta e una volta non c’era” sia i grandi sia i bambini.
…………
Note
(1)Definizione di Baba-Jaga da Wikipedia
(2-3-4- 5-6 ) Le parti estratte dalla fiaba sono una traduzione di Vale76 (www.paroledautore.net) tradotte dalla versione francese reperita sul sito www.russievirtuelle.com.
(7) da Wikipedia -
Vladimir Jakovlevič Propp (in russo: Владимир Яковлевич Пропп?; San Pietroburgo, 29 aprile 1895, 17 aprile del calendario giuliano – Leningrado, 22 agosto 1970) è stato un linguista e antropologo russo, poi sovietico.
Vladimir Jakovlevič Propp è nato il 17 aprile 1895 a San Pietroburgo da una famiglia tedesca. Ha frequentato l'università della sua città natale dal 1913 al 1918, laureandosi in filologia russa e tedesca. Dopo la laurea, ha insegnato russo e tedesco in una scuola superiore, per poi diventare professore universitario di tedesco.
Il suo libro Morfologia della fiaba è stato pubblicato in russo nel 1928. Sebbene esso abbia rappresentato un vero e proprio punto di svolta nello studio del folklore e della morfologia – influenzando Claude Lévi-Strauss e Roland Barthes
in Occidente è rimasto per lo più sconosciuto fino alla sua traduzione nel 1958.
Nel 1932, Propp è diventato un membro della facoltà dell'Università di Leningrado (precedentemente conosciuta come San Pietroburgo). Dopo il 1938, egli ha cambiato il suo campo di interesse, sostituendo la linguistica con il folklore ed è stato a capo del Dipartimento Folkloristico fino a che non è entrato a far parte di quello relativo alla Letteratura Russa. Propp è rimasto un membro della facoltà sino alla sua morte nel 1970.
Struttura narrativa
Vladimir Propp ha esteso l'approccio del formalismo russo allo studio della struttura narrativa: il primo orientamento, infatti, consisteva nello spezzettare le strutture delle frasi in una serie di elementi analizzabili chiamati morfemi; per analogia, Propp adotta questo metodo nell'analisi delle fiabe popolari russe. Smembrando un vasto numero di racconti popolari russi in unità narrative più piccole – denominate narratemi – Propp è stato in grado di estrarre da essi una tipologia, più o meno fissa, di struttura narrativa (lo Schema di Propp).
Critiche
L'approccio di Propp è stato abbondantemente criticato, poiché egli ha scelto di rimuovere tutte le considerazioni verbali dall'analisi delle fiabe popolari che, essendo orali, sono invece strettamente legate alle considerazioni sul tono, lo stato d'animo, i personaggi e tutto ciò che differenzia un racconto dall'altro. Uno dei più importanti e famosi critici dell'approccio proppiano è stato il noto strutturalista francese Claude Lévi-Strauss, che ha addirittura pubblicato una monografia su Propp (Structure ad form: Reflection on a work by Vladimir Propp di Lévi-Strauss), al fine di dimostrare la superiorità dell'approccio strutturalista rispetto a quello del formalismo russo utilizzato da Propp. D'altro canto, i difensori della teoria della struttura narrativa credono che questo tipo di critica sia ridondante ed inutile, poiché l'intenzione di Propp non è mai stata quella di svelare significati nascosti all'interno dei racconti esaminati (come nel caso dello strutturalismo o dell'analisi psicanalitica), né di trovare elementi di differenziazione, bensì quella di portare alla luce gli elementi strutturali fissi che formano le basi delle strutture narrative dei racconti popolari.