“Ogni uomo è stato un bambino”... Dal “Sigaro di fuoco” al “Vaporetto”
"Bambini che pensano negli occhi
hanno l’inverno, il lungo inverno. Soli
s’appoggiano ai ginocchi per vedere
dentro lo sguardo illuminarsi il sole.
Di là da sé, nel cielo, le bambine
ai fili luminosi della pioggia
si toccano i capelli, vanno sole
ridendo con le labbra screpolate”...
Versi di Alfonso Gatto in “Inverno a Roma” (da “Osteria flegrea”).
Il grande poeta salernitano pubblica nel 1945 “Il sigaro di fuoco” (Bompiani), un libro di poesie per l’infanzia, poi ampiamente illustrato da Graziana Pentich, corredato perfino da un disco con la voce recitante del poeta e ripubblicato con il titolo “Il vaporetto” da “La Nuova Accademia” (Milano).
Con il disco il poeta vuole sicuramente testimoniarci l'insostituibile efficacia del rapporto educativo e affettivo che si stabilisce tra l’adulto che legge e il bambino che ascolta, elaborando i contenuti con la sua fervida immaginazione.
L’antologia, presentata come “poesie fiabe rime ballate per i bambini d’ogni età”, viene definita da Gianfranco Contini - “una delle migliori estensioni della poetica moderna alla letteratura per l’infanzia eseguita da un poeta vero”. Un libro che sicuramente meriterebbe molta più attenzione da parte della scuola primaria. Certo il poeta ebbe un’infanzia piuttosto tormentata: la sua famiglia di pescatori e armatori calabresi si trasferisce a Salerno, dove egli nasce nel 1909.
Per una controversa questione pedagogica, “Il vaporetto” si presta anche ad alcune osservazioni critiche e pedagogiche, una delle quali alquanto dibattuta, ovvero se vi possa essere una letteratura per l’infanzia.
Nel dibattito entrano personalità come Croce, Gentile, Mignosi e Caliò. La tesi del Croce diventa però pregiudiziale:
“L’arte non è mai infantile e nessun autore può adeguarsi esclusivamente alla psicologia del fanciullo perché non può scacciare fuori dalla sua opera il proprio temperamento e carattere, passionale, intellettuale, morale e magari fantastico-poetico ... vero è che, per quanto si voglia tener conto della psicologia dei bambini, ogni scrittore scrive anzitutto per esprimere se stesso.”
Anche per Manzoni visione artistica e finalità educativa sono traguardi diversi, inconciliabili!
Gianni Rodari, maestro indimenticabile del genere, in “Esercizi di fantasia” afferma che i ragazzi devono leggere la letteratura adulta perché arriva presto l’età di pensare e affrontare le cose serie. C’è dunque una mediazione tra le due istanze?
Per Gentile e Lombardo Radice la sintesi tra l’opera e il mondo infantile è possibile, auspicabile. Gentile scrive: “Gustare una poesia è realizzare in essa la nostra soggettività, trovarvi dentro perfettamente quello che noi sentiamo e che costituisce perciò l’animo nostro: e però, essenzialmente, capire. Il fanciullo non gusta il Leopardi come una qualità del Leopardi; ma perché non capisce proprio il Leopardi, il suo animo; la divergenza del suo pensiero dall’io leopardiano gli rende impossibile il gusto di questa poesia. Il che non vuol dire che a lui sia precluso l’adito al godimento della vera arte, ma soltanto che la vera arte del fanciullo non è quella che esprime un pensiero adulto...Spetta bensì al maestro di superare la difficoltà e scegliere quanto ha di più primitivo e accessibile nell’arte.”
Il gentiliano Lombardo Radice sviluppa ulteriormente il concetto che anche l’ispirazione degli scrittori più grandi parte da stati d’animo semplici alla portata della comprensione del bambino, per cui un maestro competente e sensibile sa scoprire le pagine più accessibili.
La poetica del “Vaporetto”
“Ho preso tutti i bambini per mano,
andiamo in corsa per la città.
Alto più alto, nano più nano,
evviva evviva la libertà” (da “Girotondo”)
Il babbo stesso riscopre il fanciullo interiore in queste strofette di senari a rima alternata:
“Il babbo in bretelle
che ride al balcone
tra ricci e ciambelle
di bianco sapone
il babbo contento
di stare nel gioco
che corre col vento
che salta col fuoco”.
Tutto “Il vaporetto” è attraversato da una dimensione ludica e dal nonsense, fa largo ricorso alla similitudine, come fanno anche i poeti contemporanei della raccolta “Pinpidin”(Feltrinelli), chiamati a cimentarsi con la poesia per l’infanzia.
Porta e Raboni, i curatori, negano che i fanciulli non abbiano strumenti per afferrare e gustare la poesia, cosa non solo non dimostrata, ma confutata da molte esperienze pubbliche e private. Essi rimandano a Brecht e Eliot che hanno scritto per l’infanzia mantenendo il loro stile e i loro temi specifici.
“Chissà se il mare ha paura dell’onda,
chissà se il vento a furia di chiamare
quando nessuno risponde
si vede solo e nero
come un cimitero
se in mezzo ai flutti
o in mezzo alle procelle
la barca si sente tremare
tutta sola nel mare” (da “Chissà”).
E nella bellissima ballata “I quattro mari”, tra versi e rime in libertà:
“Se il Mar Nero fosse nero
sarebbe in Africa con tutti i negri
e li terrebbe testoni allegri
sul suo pancione nero.
Se il Mar Giallo fosse giallo
prenderemmo a secchi il mare
per bollire la polenta.
Griderebbe di luce il gallo,
la gallina arcicontenta
di quell’uovo suo frullato
nella tazza della Cina”
e così via fino alle malinconiche, tenerissime, due strofe finali sulla solitudine.
Proprio queste ultime dimostrano che sbaglierebbe chi pensa a una pura ed esclusiva indulgenza alla giocosità verbale del poeta o a una sua minimizzazione ludica del mondo dell’infanzia, mondo a cui egli ha dedicato poesie “adulte” di un lirismo commosso e struggente, come in “Lelio”.
“Non date retta al re,
non date retta a me.
Chi v’inganna
si fa sempre più alto di una spanna,
mette sempre un berretto,
incede eretto
con tante medaglie sul petto.
Non date retta al saggio
al maestro del villaggio
a chi vi dice che sa.
Sbagliate soltanto da voi
come i cavalli, come i buoi,
...Chi vive è senza gloria”
In una serpeggiante e preponderante verve comica fa capolino una vena sorprendentemente triste, disincantata, in specie fustigatrice della presunzione degli adulti:
“Avete visto che tutto ha ragione
nel mondo e si spiega
il cielo col pallone
la faccia col sapone
il legno con la sega,
l’alfa con l’omega?
Eppure l’asino c’è che vi raglia
che non è nato per pigliar le botte...”(“Filastrocca”).
Il cielo, il mare, l’acqua fresca, il sole odoroso come un pane croccante, i colori, i fiori, i ruscelli, tutto è penetrato da un gioire che travalica le cose stesse e si innalza nel canto con l’intensa espressività di un “rosso forte come un cazzotto”.
“Tingiamo a nuovo case e ruscelli,
le porte, i chioschi, la barba al sultano.
Ho preso tutte
le nuvole a mano...” ( “Girotondo”).
Gatto riscopre senz’altro quella fanciullezza insita nel suo stesso mondo poetico, che probabilmente fu del padre e per cui appare qui appropriato chiudere con quel papà del Vaporetto felice di giocare, fare chiasso con i figli perché:
“è figlio anche lui,
ragazzo glorioso.
Negli angoli bui
ritorna pensoso”,
ma poi, come a conclamare la vittoria del fanciullo e l’eterna giovinezza dei poeti,
“Oh, tutti su lui,
in groppa ci porta:
dagli angoli bui
l’infanzia è risorta.” (“All’assalto”)
Al padre difatti dedica questi versi sublimi:
“Mi basterebbe che tu fossi vivo,
un uomo vivo
col tuo cuore è un sogno”
(“A mio padre”, da “Il capo sulla neve”),
quel sogno infranto per la morte del bambino Lelio, di cui invoca il ritorno:
“Irrompi a testa bassa
nel ridere, fanciullo,
devastaci la vita
un’altra volta e vivi”
( “Lelio”, da “Arie e ricordi”).
La poesia del Vaporetto è essenzialmente poesia per quanto riesce anche a fare in funzione dello sviluppo dell’immaginazione e della sensibilità linguistica e formale dei ragazzi.
Egli confida: “Sono doni di verità che ogni uomo piccolo o grande, vecchio o bambino, porta con sé e nella sua anima, se egli è veramente libero nella libertà di tutti, e con tutti rinnova l’amore e il desiderio della vita”. Un aggancio teorico al suo amato Pascoli?
Come in Antoine de Saint-Exupery, recitano i versi del “Vaporetto”:
“Ogni uomo è stato un bambino
-pensate- un bel bambino.
Ora ha i baffi, la barba,
il naso rosso, si sgarba
per nulla. Ed era grazioso
ridente arioso
come una nube nel cielo turchino.
Ora è solo un signore
fra tanti signori,
e non vola,
non bigia la scuola.
Sa tutto e si consola
con una vecchia parola:
“Io sono.”
------Breve biografia di Alfonso Gatto -
- Poeta italiano (Salerno 1909 - Grosseto 1976); praticò da giovane diversi mestieri; collaboratore di giornali e riviste, nel 1938-39, fu, con V. Pratolini, redattore di Campo di Marte, quindicinale fiorentino di "azione letteraria e artistica", a tendenza ermetica. Esordì con una raccolta di liriche, Isola (1932), cui fece seguire: Morto ai paesi(1937), Poesie (1939, nuova ed. 1941), Il sigaro di fuoco, poesie per ragazzi (1945), Il capo sulla neve (1949), Nuove poesie (1950), La forza degli occhi (1954), Osteria flegrea (1962), La storia delle vittime (poesie degli anni della Resistenza, 1966), Rime di viaggio per la terra dipinta(poesie relative a una propria raccolta di tempere, 1969), Poesie d'amore (1973). Ha scritto anche La sposa bambina (1943, nuova ed. 1963), prose fra narrative e liriche, e Carlomagno nella grotta. Questioni meridionali (1962). È morto in seguito a incidente automobilistico.
Parte del testo iniziale tratto da uno scritto a cura di Rocco Taliano Grasso (dal web)