La fiaba siciliana “La Vecchia nell’orto” inizia così: “C’era una volta un orto di cavoli. Era un anno di carestia e due donne andarono in cerca di qualcosa da mangiare: "Comare, disse la prima, andiamo in quest’orto a cogliere cavoli”. E la seconda: “ ma ci sarà qualcuno!” La prima andò a vedere e….” Aveva ragione la seconda comare: l’orto non è un luogo banale, non è il parente povero del giardino, è un luogo vivo, popolato di creature, è un luogo che ha a che fare con il nascere e con il crescere. In un orto c’è sempre qualcuno!
Raccontare e coltivare sono due dimensioni complementari, sono esercizi di democrazia. Lo sostiene il regista Ermanno Olmi nel presentare il suo film documentario TERRA MADRE (2009) “ La democrazia è fatta di tanti cittadini che la coltivano come si coltiva un orto; è diventando ortolani di civiltà che si garantisce la democrazia”, quasi un capovolgimento del detto “coltivare il proprio orticello” nel senso del rinchiudersi egoistico dell’atteggiamento individualistico . E dunque , se raccontare e coltivare, come dice Ermanno Olmi, sono esercizi di democrazia, allora a Gianni e a Italo possiamo assegnare davvero il titolo di “ortolani di civiltà".
Quando Rodari creò il personaggio di Cipollino e fece piangere il Cavaliere Pomodoro
Cipollino era figlio di Cipollone e aveva sette fratelli: Cipolletto, Cipollotto, Cipolluccio e così di seguito, gente per bene, ma sfortunata. "Cosa volete quando si nasce cipolle le lacrime sono di casa”. Le cipolle piangono e fanno piangere, le lacrime sono anche un’arma, ne sa qualcosa il pessimo cavalier Pomodoro che in una scena esilarante cerca di tirare il nostro eroe per i capelli: …“e capitò quel che doveva capitare, trattandosi dei capelli di Cipollino. Che è, che non è, a un tratto il feroce Cavaliere si sentì tremendo pizzicore agli occhi e cominciò a piangere a ruscelli. Le lacrime gli scorrevano giù per le guance a sette a sette. La strada fu subito bagnata come se fosse passato lo spazzino con la pompa. Questa non mi era mai capitata, rifletté stralunato Pomodoro. Infatti, siccome non aveva cuore non gli era mai capitato di piangere e poi non aveva mai sbucciato le cipolle…”. Alla fine dell’avventura, Cipollino, ortaggio povero che vive in una cassetta da ortolano, insieme con altri poveri come Mastro Uvetta, Zucca, Pirro Porro, Zucchina e altri personaggi simili, riuscirà a sconfiggere l’autoritario principe Limone e a fondare una Repubblica.
Il personaggio di Cipollino è stato creato da Gianni Rodari e dall’illustratore Raul Verdini nel 1950, sul giornale per ragazzi “IL PIONIERE”. E’ uscito prima a puntate (come Pinocchio!) Dentro tavole di otto vignette disegnate da Verdini e raccontate da Rodari in quartine di ottonari. Nel 1951 sulla spinta del successo del racconto a puntate, è diventato un libro dal titolo “Il Romanzo di Cipollino”, per le Edizioni di Cultura Sociale, poi riedito con varianti nel 1957, con il titolo “Le Avventure di Cipollino”. L’ultima edizione è dell’ editore Einaudi Ragazzi, 2010. Cipollino ebbe subito un grande successo e fu tradotto in molti paesi, in particolare in paesi dell’ Est europeo. Realtà sociale e fantasia si mescolano e toccano temi attualissimi come quelli della giustizia e della solidarietà.
Come nacque l’idea del romanzo lo spiega l’autore stesso: “ Presi un mese di vacanza, trovai ospitalità in casa di un contadino di Gaggio di Piano vicino a Modena che sgombrò una stanza - granaio per mettermi un letto. Fu un mese bellissimo le figlie di Armando Malagoli, il contadino che mi ospitava, mi chiamavano la mattina presto: - “ Su,su Gianni, che sei qui per lavorare, mica per dormire! Scrivevo quasi tutto il giorno, in camera, in cortile, o in cucina, con la macchina su una sedia e intorno sempre un po’ di bambini a guardare quello che facevo. Quando arrivai a pagina cento la moglie di Armando fece “la crescente” (si chiama anche gnocco fritto). Armando stappò delle bottiglie, insomma festa per tutti…”.
Rodari ricorda quando faceva il giornalista di cronaca per un quotidiano: “Quei personaggi mi piacevano…ogni giorno facevo il giro dei mercati, guardavo i prezzi, parlavo con i commercianti e le massaie, e scoprivo tanti problemi della borsa della spesa della gente”. Questo fantastico mondo di frutta e verdura, nato nel clima del dopoguerra, in un’Italia ancora contadina ma anche attiva, fiduciosa nel futuro (certo più di quanto sia l’Italia di oggi) può ancora incuriosire e appassionare i piccoli lettori? Cipollino e il suo orto possono convivere con i cartoni dei mille canali televisivi, con i Pokemon e i Gormiti? Non resta altro che verificare rileggendo ai bambini di oggi le avventure di Cipollino e anche le avventure di Gelsomino e gli altri libri di Gianni Rodari e poi andare in un orto vero uno dei tanti orti di scuola coltivati dai bambini, maestri e nonni.
Rodari e i fumetti (ovvero quando Gianni diventa Cipollino e Palmiro rischia di diventare il Cavalier Pomodoro)
L’anno è il 1951. Mentre l’Italia degli spettatori cinematografici e del sentire politico si prepara a dividersi una volta di più, in opposte fazioni – una per il sindaco Giuseppe Bottazzi/Gino Cervi, l’altro per il parroco Don Camillo/Fernandel, nel primo film tratto dalle opere di Giovanni Guareschi, diretto da Julien Duvivier, che è in preparazione e uscirà sugli schermi l’anno successivo- la stampa per ragazzi e la stampa comunista vivono un momento particolare. I bambini e le bambine di quell’epoca godono, in mezzo alle molte difficoltà dell’epoca, della ricostruzione post-bellica, di una notevole possibilità di scelta. Quelli che frequentano le parrocchie possono leggere “Il Vittorioso” .
Quelli di famiglia laica, scelgono tra “Il Corriere dei Piccoli” e “Topolino” .
Quelli di osservanza comunista hanno a disposizione “Il Pioniere”, che Gianni Rodari dirige dal 1950.
A fine anno, dicembre, nel nr. 12 del settimanale “Rinascita”, principale riferimento culturale e ideologico del PCI esce un articolo di Nilde Jotti su - La questione dei fumetti – . L’origine dell’intervento di Nilde Jotti sta in un dibattito sulla stampa a fumetti per ragazzi, che si era tenuto qualche settimana prima alla Camera dei deputati intorno ad una proposta di legge in materia, presentata dal partito di maggioranza la DC. Nella seconda parte del suo articolo esprime le posizioni più discutibili: pur negando che (come sosteneva la proposta di legge) esista un rapporto di causa-effetto tra i fumetti e la delinquenza giovanile scriveva:
“…I fumetti piacciono ai bambini perché la mente del bambino è primitiva. Il bambino vede e conosce senza comprendere, cioè senza riuscire a cogliere esattamente il legame tra i particolari e il nesso degli avvenimenti e delle cose…” Di più: “…La osservazione dei fumetti è quindi cosa profondamente diversa dalla lettura. Non sostituisce la lettura. La sopprime.” Il fumetto, dice infine Nilde Jotti, trasmette modelli di individualismo e di soluzione violenta delle tensioni sociali.”
Sul numero successivo di “Rinascita” (nr.1 Gennaio 1952 Gianni Rodari risponde. “Caro Direttore, ho letto sull’ultimo numero di Rinascita un articolo di Nilde Jotti sulla questione dei fumetti e desidero esprimere la mia opinione, dicendo subito che l’articolo della Jotti non mi convince”. Ha ragione la Jotti, dice Rodari, quando nega che esista una continuità deterministica tra la lettura dei fumetti e la deliquenza giovanile. Ha ragione anche a dire che il modello dei fumetti americani è violento e imperialista. Ma (ecco qui la grande novità rodariana, che segnerà tutta la sua produzione intellettuale, sia teorica che creativa) “Chi voglia parlare ai ragazzi e ai giovanetti, deve tener conto del linguaggio a cui sono abituati e che è diventato uno dei più importanti mezzi per comunicare con loro”.
Quindi: “Vi sono molti modi di raccontare, con la parola scritta, con la voce, con l’immagine ferma o con l’immagine in movimento (cinema, disegni animati, ecc.) ognuno ha la sua funzione. Se si equivocasse tra la funzione del fumetto e quella della letteratura, avrebbe ragione la Jotti, perché evidentemente non sono due cose sostituibili, sono due cose diverse”.
Rodari ci dice - ma oltre che dircelo, ne farà pratica in tutta la sua attività – che non esiste una gerarchia dei saperi, esistono linguaggi e forme comunicative differenti, ciascuna con la sua piena dignità espressiva ed euristica *.
Non è finita. Perché alla lettera di Gianni Rodari, Rinascita contrappone una “postilla”, non firmata quindi da attribuire al direttore, al segretario generale, al Migliore a Palmiro Togliatti. Il quale, appunto risponde come un segretario generale mentre tira le conclusioni a un congresso: “..Non ci sentiamo di condividere la posizione del Rodari anche se i suoi argomenti sono degni di discussione”.
Una vera stroncatura della dissidenza estetica, in pratica. Per fortuna, di Rodari e nostra, evidentemente la questione dei fumetti non fu considerata una priorità nell’agenda del PCI. Rodari non fu radiato né spedito a rieducarsi, continuò ancora per qualche tempo a dirigere Il Pioniere e a scrivere per l’Unità, diventando via via riferimento irrinunciabile per quanti, piccoli e grandi, nella sintassi della prosa quotidiana cercano elementi per una grammatica della fantasia.
Bibliografia
- Pino Boero, Una storia tante storie – Guida all’opera di Gianni Rodari, Einaudi Ragazzi
- L’articolo di Nilde Jotti e i successivi di Gianni Rodari e Palmiro Togliatti sono riportati integralmente in: Gianni Rodari, Il Cane di Magonza, Prefazione di Tullio di Mauro - Editori Riuniti Roma 1982
- * Qualche anno dopo nel nr. 7 dicembre 1966 di “Riforma della scuola” Gianni Rodari ritornerà a parlare di fumetti esprimendo ancora più chiaramente la sua posizione.