Nonne, favole e bambini di Ida Accorsi

Nonne, favole e bambini

ida accorsiAlice nel Paese delle Meraviglie, è un romanzo scritto da Charles Lutwidge Dodgson sotto lo pseudonimo di Lewis Carroll. Racconta di una ragazza di nome Alice che cade attraverso una tana di coniglio in un mondo fantastico popolato da strane creature, è considerato uno dei migliori esempi del genere letterario nonsenso. Il suo corso narrativo, struttura, personaggi e immagini sono stati enormemente influenti sia nella cultura popolare che nella letteratura, specialmente nel genere fantasy.
Alice fu pubblicata nel 1865, tre anni dopo che Charles Lutwidge Dodgson e il reverendo Robinson Duckworth il 4 luglio 1862 fecero una gita in barca, sul tratto del fiume Tamigi denominato Isis, con le tre giovani figlie di Henry Liddell (il vicecancelliere dell'Università di Oxford e decano di Christ Church): Lorina Charlotte Liddell (13 anni), Alice Pleasance Liddell (10 anni), Edith Mary Liddell (8 anni). Durante il viaggio Charles Dodgson raccontò alle ragazze una storia che presentava una bambina annoiata di nome Alice che va alla ricerca di un'avventura. Le ragazze la apprezzarono moltissimo, tant’è che Alice Liddell chiese a Dodgson di scrivere la storia per lei. Le ragazze e Dodgson fecero un'altra gita in barca un mese dopo, nel corso della quale elaborò la trama e successivamente a novembre cominciò a lavorare sul racconto.
Il 26 novembre 1864 consegnò ad Alice il manoscritto di Le avventure di Alice sottoterra (Alice's Adventures Under Ground), con illustrazioni dello stesso Dodgson, dedicandolo come "Un regalo di Natale a un caro bambino in ricordo di un giorno d'estate". Ma prima che Alice ricevesse la sua copia, Dodgson stava già lavorando per la pubblicazione e ampliando l'originale, in particolare aggiungendo gli episodi sul Gatto del Cheshire e il capitolo 7, Un tè di matti.

La trama.(1)
Sognando di seguire un coniglio bianco, Alice cade letteralmente in un mondo sotterraneo fatto di paradossi, di assurdità e di nonsensi. Nella sua caccia al coniglio le accadono le più improbabili disavventure.
Segue il coniglio nella sua tana e, con suo enorme stupore, nota che le pareti sono arredate con tazze e scaffali e quadri e cartine geografiche appese con mollette da bucato; poco dopo però la tana si fa molto buia e, non vedendo una grande buca profonda, Alice vi ci cade dentro. Dopo un discorso immaginario con la sua gatta Dina, atterra su un mucchio di ramoscelli e foglie secche. Davanti a lei, si presenta un lungo passaggio che conduce in una stanza costituita da un corridoio lungo e basso e da una serie di lampadari che pendono dal soffitto. Qui, vi sono una moltitudine di porte che la bimba tenta invano di aprire. Quando, però, nota una porticina, i suoi occhi scorgono un magnifico giardino e vorrebbe, perciò, attraversarlo a tutti i costi, ma i suoi sforzi per entrare risultano inutili perché è troppo grande per poterlo oltrepassare. Decisa a non darsi per vinta così facilmente, vede su un tavolino di vetro a tre gambe, apparso poco prima, una chiavetta color oro brillante e una bottiglietta con la scritta "Bevimi". Infatti il contenuto la fa rimpicciolire, ma giunta alla porta, si rende conto d'aver lasciato la chiave sul tavolo. Assaggiato un pasticcino comparso dal nulla con su scritto "Mangiami" diventa enorme. Ora può prendere la chiave ma di nuovo non passa dalla porta. Affranta, scoppia in lacrime, che allagano la stanza. In quel momento compare, tutto trafelato, il coniglio bianco, con un ventaglio ed un paio di guanti bianchi di capretto e che continua ad esclamare: "O, povere le mie orecchie, i miei baffi e le mie zampette, la duchessa mi condannerà a morte, se la farò attendere ulteriormente". Alice era talmente disperata che, non appena vide il coniglio passargli avanti, gli rivolse la parola, di tutta risposta, lasciò cascar guanti e ventaglio, e corse via nell'oscurità. Allora, siccome faceva un gran caldo, prese il ventaglio, e cominciò a sventolarlo e, incredibilmente, ritornò di nuovo piccola. Scomparso il tavolo e la porticina che conduceva al giardino, si trova in compagnia d'un topo e altri animali (parrocchetto, dodo, aquilotto). Il topo abbozza una storia ma poi scatta la "corsa confusa", tutti gli animali corrono in circolo, chi inizia dopo, chi smette prima. Alla fine della corsa, però, tutti sono asciutti.
Allontanatasi da questa compagnia, Alice ritrova il coniglio bianco e la sua casetta. Entrata in casa per cercare guanti e ventaglio del coniglio, mangia di nuovo, diventando ancora una volta enorme, tanto che le braccia le escono dalle finestre. Il coniglio, allarmato, chiama a raccolta Bill la lucertola che prova a passare attraverso il camino, ma Alice lo scaccia con un calcio. Fallita la spedizione di Bill, il coniglio tira sassi ad Alice che però diventano pasticcini. Mangiatone uno, ridiventa piccolissima e fugge dalla casa. Scansato il pericolo del cucciolo gigante, intrattiene una conversazione alquanto strana con un Bruco, tranquillamente appollaiato sul cappello di un fungo che fuma il narghilè. È al suo cospetto che Alice recita "Sei vecchio, Papà Guglielmo". Dopo aver compreso le ragioni della bambina, ed essersi allontanato, strisciando sull'erba, il Bruco le rivela che le due parti del fungo la possono far crescere e rimpicciolire a suo piacimento.
Al primo tentativo, Alice si ritrova con un collo lunghissimo, che fa sì che un piccione la scambi per un serpente. Ritrovate le giuste proporzioni, Alice si rimette in moto. Nel bosco giunge alla casa della duchessa. Assiste allo scambio d'inviti dei due messi (un pesce e un ranocchio) col quale la regina di cuori invita la duchessa a una partita di croquet. La casa della duchessa è molto strana: lei sta, infastidita, a cullare un bambino che urla e starnutisce per l'aria satura di pepe, mentre la cuoca che rimesta la zuppa, di tanto in tanto, lancia stoviglie e pentole per ogni dove. La duchessa lascia però presto Alice per andare a prepararsi alla partita, donandole il bimbo in fasce che si trasforma in porcellino e corre via nel bosco. Alice giunge alla casa della Lepre Marzolina, che sta prendendo il tè insieme al Cappellaio Matto Questi due personaggi, in compagnia del ghiro, prendono il tè cambiando continuamente posto, spostandosi di tazza in tazza. Alice viene così a sapere che l'orologio del cappellaio segna sempre il giorno, ma non l'ora, e le viene sottoposto un indovinello: "perché uno scrittoio è come un corvo?".
Dopo, Alice trova la strada per il castello della regina, dove vede i soldati con il corpo fatto da carte da ramino di picche che dipingono di rosso le rose che per sbaglio sono state piantate bianche. In quel momento arriva il corteo della regina: ci sono le picche (in inglese "spades", spade o anche vanghe, quindi sono i giardinieri), quadri (in inglese "diamonds", i cortigiani), fiori (in inglese "clubs" ma anche bastoni, quindi le guardie), cuori (in inglese "hearts") che rappresentano i principi di sangue reale.
La Regina, subito aggressiva (rappresenta la Furia), invita Alice a giocare a croquet, ma il campo è pieno di buche, si usano le carte come porte, istrici come palle e fenicotteri come mazze. Il gioco è subito una gran confusione di giocatori che urlano e giocano all'unisono. Spesso le porte (le carte) devono assentarsi per decapitare chiunque capiti a tiro alla regina che ne sentenzia la morte. Riappare la duchessa, momentaneamente uscita dalla prigione in cui la regina l'aveva destinata, e presenta ad Alice il grifone, che con fare autoritario le fa conoscere la "finta tartaruga". La finta tartaruga serve a fare il finto brodo di tartaruga (un surrogato del vero brodo di tartaruga che si fa con la carne di vitello). Lei racconterà ad Alice di come studiava sul fondo del mare e mostra in coppia col grifone, la quadriglia delle aragoste.
Alice è costretta a lasciarla perché nel frattempo è stato istituito il processo nel quale si giudicherà il fante di cuori, accusato d'aver rubato le tartine pepate. Al processo, annunciato dal coniglio bianco che ora è vestito da araldo, sono presenti i giurati (varie specie di animali), i testimoni (il cappellaio matto, la cuoca della duchessa e la stessa Alice). Il ritrovamento di una lettera senza firma con una poesia senza senso, convince tutti che il vero colpevole sia il fante di cuori. "Sentenza prima, verdetto poi" declama la regina, ma Alice (che ha iniziato a diventare sempre più grande) dissente e quando si alza per testimoniare, la sua gonna rovescia il tavolo della giuria facendo cadere tutti i giurati. Dopo poco è diventata così grande che non si preoccupa più di re e regine, ritrovando la giusta misura della realtà: "non siete altro che un mazzo di carte"...
Il sogno finisce con Alice che si risveglia tra le braccia della sorella e quindi va a casa per l'ora del tè.

L’Analisi dei personaggi (2)
L’Alice del capolavoro di Carroll è un personaggio realmente esistito: è Alice Liddell, figlia del rettore del Christ Church College di Oxford che Carroll conobbe quando la bambina aveva solo quattro anni.
Il Topo, rappresenta simbolicamente l’animale impuro che vive anche nelle fogne, nell’oscurità assoluta, che si ciba di spazzatura, che resta così ai limiti del sociale e trascorre la sua esistenza rodendo la propria coscienza.
Il Coniglio Bianco rappresenta la figura dell’adulto, fortemente ossessionato dal tempo, che subisce tutte le autorità, in special modo femminili, dalla Duchessa alla Regina di Cuori.
Il Cappellaio Matto, pazzo già nella definizione, è invece un eroe del tutto positivo e, pur essendo adulto, mantiene la forza dirompente del bambino che combatte le imposizioni e i luoghi comuni e si ritrova addirittura a sfidare il Tempo per capovolgerlo.
La dualità del grande/piccolo, del diventare adulto/restare bambino, l’enigma degli opposti uguali e diversi, è ben rappresentata dai personaggi di Pincopanco e Pancopinco che diventano il primo incontro di Alice nel suo viaggio interiore e che le raccontano del grande pericolo del peccato di ingenuità, come accadde nella vicenda narrata delle piccole ostriche raggirate dal Tricheco e dal Carpentiere, metafora questa del rischio rappresentato dagli imbonitori, e da tutto quello che possa finire con il fagocitare le coscienze inesperte proprio come quella di Alice, piccola perché ancora bambina.
I personaggi-animali che si incontrano hanno poi spesso legami concreti con la storia di Alice e ne ricalcano alcune caratteristiche peculiari, come il pappagallo, la sorella maggiore di Alice, Lorina Lidddell, che rappresenta l’autorità dei più grandi o il Grifone, emblema dello stesso Trinity College di Oxford, simbolo della pedagogia vittoriana opprimente ed impositiva, piuttosto che l’altra sorella, rappresentata da un aquilotto, oppure lo stesso padre di Alice visto come un’anatra o infine l’autore, il fantasioso Dodo.
Secondo alcune interpretazioni recenti, il Gatto del Cheshire potrebbe simboleggiare lo stesso autore, per la saggezza di alcuni consigli, per l’amichevole clima instaurato in più occasioni con Alice e per il fatto che entrambi sono nativi del Cheshire.
Altra donna di potere è certo la Regina di Cuori, rossa come il sangue, la passione e la collera, probabile caricatura satirica della sovrana, la regina Vittoria.
Le Regina di Cuori rappresenta l’antica Furia greca, della cui sensualità è debole vittima lo stesso consorte Re di Cuori, forse personificazione dell’amato padre di Carroll, prematuramente scomparso.
In quanto Grande Madre crudele è in grado di giudicare con un solo mezzo: il taglio delle teste.
La Regina non è in grado di riconoscere l’individualità del singolo, perciò riduce tutti a numeri, semplici carte del suo gioco nelle strade di sua proprietà.
Il potere della sovrana è assoluto e anche l’evidenza deve piegarsi al suo volere: durante le sue partite di croquet non può che esserci un solo vincitore, la regina stessa.
Ma durante il processo Alice cambia sempre statura finché ha finalmente il coraggio di affrontare la Regina, di dire la verità, di avere una chiara visione delle cose: la sua.
Ed è proprio nel momento della sua massima maturazione, del suo essere davvero cresciuta al di là della statura, che si sveglia e può tornare alla tranquilla certezza del suo quotidiano.
Alice, a differenza di tutti gli stereotipi femminili delle tradizionali favole per l’infanzia, non rappresenta il prototipo della bambina a immagine e somiglianza del maschio ma rappresenta la possibilità di potersi esprimere e comportare esattamente come le è più congeniale, indipendentemente dal sesso cui appartiene, di cui tra l’altro mostra molte caratteristiche peculiari ma non esclusive.
Alice è infatti graziosa, leziosa e piagnucolosa come molte bimbe sue coetanee, ama giocare con il suo gattino, conosce a meraviglia le poesie imparate a scuola con grande diligenza, sa fare la riverenza e parla con rispetto ed educazione; eppure Alice non si esaurisce in questi tratti ed in questo standard ma è molto altro e lo è in base alle diverse situazioni in cui si imbatte.
Alice non ha paura di inseguire un coniglio nella sua tana, al Bruco pone, curiosa, domande di continuo e lo interrompe, mostrandosi bambina irriverente ed invadente.
Pepe Porcellino da cullare tra le braccia provoca ad Alice irritazione e nervosismo, non certo quell’atteggiamento affettuoso che già da piccole ci si aspetta dalle bambine a causa del loro certo atavico istinto materno.
Alice raramente ha davvero paura ma sempre coraggio.
Alice sale sugli alberi, corre, grida e sa giocare a croquet.
Le domande di Alice sono impertinenti sempre ma persino se sono poste alla Regina di cuori, perché Alice non teme neanche il potere: le fa l’inchino e la chiama maestà ma poi non risparmia neanche a lei il suo cinismo tagliente.
Oggi, come allora, dunque un modello alternativo quello di Alice, protagonista di un racconto per l’infanzia, un ruolo diverso, quello dell’eroina femminista rivoluzionaria proprio perché via via sempre più consapevole, interessante da analizzare, perciò, anche alla luce delle possibili influenze sociali sulle sue giovani, e non più giovani, lettrici.
Note
(1) Riferimenti nel web e nell’enciclopedia Treccani
(2) tratto da “Sogno/realtà, senso/nonsense: la fortuna di Alice nel tempo”, di Valentina Ghilardi,
Illustrazione della prima edizione del 1865

ida accorsiIdaLamberto“C'era due volte il barone Lamberto”: l'intera narrazione si svolge attorno allo spericolato tentativo, messo in atto dal barone novantaquattrenne insieme al fido maggiordomo Anselmo, di evitare un ormai inevitabile trapasso.
L'isola di San Giulio, il Lago d'Orta e i suoi dintorni sono protagonisti, insieme al barone, del racconto: non solo il paesaggio lacustre, ma anche molti dei circostanti centri abitati (da Verbania, a Domodossola, a Gravellona Toce) vengono citati a più riprese in quella che pare una piccola ode alla provincia natale di Gianni Rodari.
In effetti, per chi abbia visitato l'isola – sede di un monastero benedettino e percorsa da suggestive mulattiere, lungo le quali regnano il verde e il silenzio – non è difficile pensarla come la custode di qualche mistero, come quello che permette al facoltoso barone di restare in vita e che in parte resta velato anche alla fine del libro.
Di ritorno da un viaggio in Egitto, durante il quale hanno consultato un vecchio mago, Lamberto e Anselmo scelgono accuratamente e assumono sei persone: esse hanno il compito (per il quale sono largamente ricompensate) di ripetere senza sosta, a turno e in gran segreto, il nome del barone; dopo qualche tempo, il corpo di quest'ultimo comincia inspiegabilmente a ringiovanire: la morte, così prossima a Lamberto prima del viaggio in Egitto, sembra allontanarsi sempre di più, per lasciare spazio a una seconda giovinezza che il barone trascorre praticando ogni tipo di attività fisica. Ma qualcuno non sembra entusiasta della curiosa trasformazione: il nipote Ottavio, ansioso di mettere le mani sull'eredità dello zio, e i cosiddetti Ventiquattro Elle, un gruppo di banditi senza scrupoli che irrompono sull'isola e prendono in ostaggio il barone... Il crescendo narrativo sarà inaspettatamente risolto dall'intervento di Delfina, l'unica fra i sei 'dipendenti' di Lamberto (tenuti all'oscuro del fine per il quale sono chiamati a ripetere il suo nome) che si chieda insistentemente il perché della propria strana occupazione.
In “C'era due volte il barone Lamberto” (come del resto in molte delle altre opere di Rodari) la leggerezza dello stile non deve ingannare: molti sono gli spunti di riflessione suggeriti da questa spassosa vicenda, che più volte nel corso della lettura regala al lettore di qualunque età sorrisi molto divertiti.
Estremamente significativo, ad esempio, è il personaggio di Delfina, nettamente contrapposto a quello del barone: mentre Lamberto ha passato i propri 'primi' novantaquattro anni a fare e pensare ciò che gli altri gli imponevano, e quindi non ha mai davvero seguito le proprie aspirazioni, la ragazza dimostra di non lasciarsi influenzare dalla superficialità e dall'indifferenza altrui, e non rinuncia mai a ragionare con la propria testa, preferendo interrogarsi sempre sul perché delle cose. Delfina è l'unica dei molti personaggi del libro a non essere una macchietta (spesso lo è perfino Lamberto, infantilmente occupato a recuperare il tempo perduto).
Un altro intrigante spunto di riflessione è dato dall'osservazione del carosello che si crea attorno e all'interno dell'isola, i cui toni grotteschi si accentuano quando Lamberto diventa ostaggio dei Ventiquattro Elle.
La folla, i politici, i direttori delle banche di proprietà del barone e i loro segretari, giornalisti e fotografi, il barcaiolo Duilio e perfino i bambini: tutti diventano parte di uno spettacolo in cui interpretano se stessi, e, al contempo, sono descritti in modo tale che la peculiarità di ognuno, accentuata fino al ridicolo, ne sdrammatizza la maschera, togliendole credibilità.
Questa è una delle grandi doti di Rodari, tanto preziose dal punto di vista educativo: apparentemente non c'è giudizio nel suo affrescare situazioni e persone, nemmeno quando si tratta di un omicida come Ottavio; il giudizio certo è presente, ma non determina i contorni del personaggio. La maschera, in altre parole, resta una maschera: nel suo essere immancabilmente fedele a sé stessa risulta tanto ridicola da non richiedere più nemmeno un'esplicita condanna morale da parte di autore e/o lettore. La mancanza di un marcato giudizio moraleggiante è uno degli ingredienti che determinano l'intelligente leggerezza propria degli scritti rodariani.
In “C'era due volte il barone Lamberto”, la morte è una presenza discreta ma costante: nel soprannome del barcaiolo Duilio, chiamato Caronte, nella continua minaccia da parte di Ottavio e dei Ventiquattro Elle, nel pretesto narrativo che sta alla base stessa del racconto e che è costituito dal tentativo del protagonista di sfuggirle... e nel punto centrale della vicenda, in cui il barone, inevitabilmente, muore. Si tratta di un momento estremamente interessante, soprattutto per la sobrietà e la semplicità con cui Rodari lo descrive: "Egli respira a fatica, sente che la gola gli si stringe, acuti dolori gli scoppiano nel petto. Allunga la mano per tirare il cordone del campanello e non ci riesce. Vorrebbe chiamare Anselmo, ma la bocca è come murata. [...] «Dormono, - pensa il barone, - e io muoio». Ma non fa in tempo a spaventarsi, perché è già morto."
Nel brano c'è pathos, non dramma; c'è tempo per la sorpresa, ma non per la paura: tutto ciò è inusuale, per la nostra contemporaneità, eppure estremamente importante perché sia favorito, nel bambino, un rapporto 'adulto' con l'idea del trapasso.
Ben più complesso del morire sembra essere il vivere, misteriosamente reiterato dal fatto che "l'uomo il cui nome è pronunciato resta in vita” (1): forse il segreto di Lamberto sta nella sensazione tanto speciale che si prova a sentir pronunciato il proprio nome: come dice il barone, "dà soddisfazione, come a grattare dove prude"...

 Incipit (2)

“In mezzo alle montagne c'è il lago d'Orta. In mezzo al lago d'Orta, ma non proprio a metà, c'è l'isola di San Giulio. Sull'isola di San Giulio c'è la villa del barone Lamberto, un signore molto vecchio (ha novantatré anni), assai ricco (possiede ventiquattro banche in Italia, Svizzera, Hong Kong, Singapore, eccetera), sempre malato. Le sue malattie sono ventiquattro. Solo il maggiordomo Anselmo se le ricorda tutte. Le tiene elencate in ordine alfabetico in un piccolo taccuino: asma, arteriosclerosi, artrite, artrosi, bronchite cronica, e così avanti fino alla zeta di zoppía. Accanto a ogni malattia Anselmo ha annotato le medicine da prendere, a che ora del giorno e della notte, i cibi permessi e quelli vietati, le raccomandazioni dei dottori: «Stare attenti al sale, che fa aumentare la pressione», «Limitare lo zucchero, che non va d'accordo con il diabete», «Evitare le emozioni, le scale, le correnti d'aria, la pioggia, il sole e la luna».

Epilogo (3)
Le favole di solito cominciano con un ragazzo, un giovinetto o una ragazza che, dopo molte avventure, diventano un principe o una principessa, si sposano e danno un gran pranzo. Questa favola invece comincia con un vecchio di novantaquattro anni che alla fine, dopo molte avventure, diventa un ragazzino di tredici anni. Non sarà uno sgarbo al lettore? No, perché c’è la sua brava spiegazione.
Il lago d’Orta, nel quale sorge l’isola di San Giulio e del barone Lamberto, è diverso dagli altri laghi piemontesi e lombardi. È un lago che fa di testa sua. Un originale che, invece di mandare le sue acque a sud, come fanno disciplinatamente il Lago Maggiore, il Lago di Como e il lago di Garda, le manda al nord, come se la volesse regalare al Monte Rosa, anziché al mare Adriatico.
Se vi mettete a Omegna, in piazza del Municipio, vedrete uscire dal Cusio un fiume che punta diritto verso le Alpi. Non è un gran fiume, ma nemmeno un ruscelletto. Si chiama Nigoglia e vuole l’articolo al femminile: la Nigoglia. Gli abitanti di Omegna sono molto orgogliosi di questo fiume ribelle e vi hanno pescato un motto che dice in dialetto: La Nigoja la va in su / e la legg la fouma nu. (in italiano: La Nigoglia va all’insù/e la legge la facciamo noi.)
Mi sembra detto molto bene. Sempre pensare con la propria testa. Si capisce che poi, alla fine dei conti, il mare riceve le sue spettanze: difatti le acque della Nigoglia, dopo una breve corsa a nord, si gettano nello Strona, lo Strona le porta al Toce che le versa nel lago Maggiore e di qui, via Ticino e Po esse finiscono nell’Adriatico. L’ordine è ristabilito. Ma il lago d’Orta è contento lo stesso di quello che ha fatto. È sufficiente come spiegazione di una favola che obbedisce solo a sé stessa? Speriamo di sì.
Resta poi da aggiungere che i ventiquattro direttori generali delle Banche Lamberto, rientrati nelle loro sedi, si affrettarono ad assumere persone di ambo i sessi e a pagarle perché ripetessero a turno, giorno e notte, i loro riveriti nomi. Speravano così di guarire dalle loro malattie e di far camminare il tempo all’indietro. Invano. Chi aveva i reumatismi, se li doveva tenere. A chi era calvo, non spuntò alcun capello in capo, né biondo né bruno. Chi aveva compiuto i sessantacinque anni, non recuperò un solo minuto. Certe cose succedono una volta sola. A dire la verità, poi, certe cose possono succedere solo nelle favole.
Non tutti saranno soddisfatti della conclusione della storia. Tra l’altro non si sa bene che fine sarà Lamberto e cosa diventerà da grande.
A questo, però, c’è rimedio. Ogni lettore scontento del finale può cambiarlo a suo piacere, aggiungendo al libro un capitolo o due. O anche tredici.
Mai lasciarsi spaventare dalla parola.
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Note
(1) cit.Pag.23
(2) pag. 7
(3) pagg. 100/101

C'era due volte il barone Lamberto adatto a bambini dai dieci anni in su. Editore Einaudi

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 Edizione 2010-Illustrazioni Altan

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ida accorsiUna breve premessa prima di parlare del racconto. Il 23 ottobre 2020 Gianni Rodari avrebbe compiuto 100 anni! Un autore geniale, completo, narratore, giornalista e studioso, ma che fa parte di quella non grandissima schiera di Maestri che questo Paese, non onora come dovrebbe e che qualcuno vorrebbe dimenticare! Io, invece, (e non sono la sola, per fortuna,) lo voglio ricordare, perché è uno degli autori più importanti della nostra letteratura, che ha speso la sua vita per abbattere ogni barriera che limitasse la creatività, ogni muro che recintasse il pensiero, ogni luogo comune che mortificasse le parole.
Abbiamo il dovere di raccontare Gianni Rodari alle generazioni che hanno la fortuna di poterlo leggere e la sfortuna di non poterlo conoscere. Lui diceva che: “Se una società basata sul mito della produttività (e sulla realtà del prodotto) ha bisogno di uomini a metà – fedeli esecutori, diligenti riproduttori, docili strumenti senza volontà – vuol dire che è fatta male e che bisogna cambiarla. Per cambiarla occorrono uomini creativi, che sappiano usare la loro immaginazione”. Queste sue parole sono state dette e pubblicate 46 anni fa e spiegano il perché è importante ricordarlo e raccontarlo con passione e gratitudine.
“Gelsomino nel paese dei bugiardi” è stato pubblicato per la prima volta nel 1958 dagli Editori Riuniti con le illustrazioni di Raul Verdini e nel corso degli anni ha avuto innumerevoli ristampe; una significativa anticipazione del tema è contenuta nella filastrocca “Il paese dei bugiardi” scritta su “l’Unità” il 23 agosto 1956. In un paese dove per ordine del sovrano tutto funziona al contrario ed è proibito dire la verità, arriva Gelsomino dalla voce potentissima che con l’aiuto di simpatici amici sconfigge la prepotenza e fa trionfare la sincerità.
In questo libro Rodari dà prova della sua straordinaria capacità di esplorare con occhio critico la realtà sociale e di muovere con brio e finezza di stile verso un universo fantastico costruito sull’altruismo, sulla generosità, sull’amicizia: Gelsomino con la sua voce e la sua simpatia ci invita a guardare con ottimismo al futuro. (consigliato ai ragazzi dai 7 anni.)

La trama
Fin da bambino Gelsomino ha avuto una brutta voce potentissima, che è stata per lui fonte di innumerevoli problemi: era capace di rompere i vetri delle finestre e le lavagne della scuola, di modificare le traiettorie del pallone durante le partite di calcio, di far cadere anzitempo i frutti dagli alberi. Per sfuggire alla cattiva fama che si è procurato presso i suoi concittadini, Gelsomino ormai giovanotto si trasferisce in un altro paese, dove le cose vanno a rovescio: i generi alimentari si vendono nelle cartolerie, si accetta in pagamento denaro falso e si rifiuta quello buono e nessuno chiama le cose con il loro nome. Qui fa la conoscenza di un gatto parlante con tre zampe, di nome Febo disegnato da una bambina con un gessetto su un muro, dal quale è stato liberato per un potente colpo della voce di Gelsomino. Zoppino gli spiega che Giacomone, il re di quel paese, prima di impadronirsi del trono era stato un pirata, e che per impedire che si parlasse delle sue precedenti imprese furfantesche aveva imposto ai suoi sudditi che nessuno dicesse più la verità, sotto pena di finire in prigione o in manicomio.
Gelsomino entra in una cantina che ha trovato aperta per riposarsi. Zoppino, nel frattempo, prima ruba un avanzo di pesce alla vecchia gattara Zia Pannocchia, poi s'introduce alla reggia, dove scopre che i fluenti e ammirati capelli arancione di re Giacomone non sono altro che una parrucca, e che il sovrano è calvo. Non resiste alla tentazione di scrivere questa verità su un muro, dopodiché viene catturato da Zia Pannocchia che lo porta a casa, cucendolo ad una poltrona per punirlo del suo furto. Viene però liberato da Romoletta, la nipote della gattara che l'aveva disegnato, che lo conduce dal pittore Bananito per rifinirlo meglio ed evitare che il gesso di cui Zoppino è fatto si consumi. Bananito, che in ossequio alla legge della menzogna ha dipinto persone e oggetti dall'aspetto assurdo, in preda ad una crisi vorrebbe distruggere le sue opere, ma è fermato dall'improvvisa comparsa di Gelsomino, che cerca un posto dove nascondersi. Egli infatti era stato scoperto dal maestro Domisol, direttore del teatro cittadino, che notando la potenza della sua voce aveva pensato di farne una stella del bel canto, ma alla sua prima esibizione aveva demolito completamente il teatro.
Zoppino consiglia a Bananito di limitarsi a togliere dai quadri i particolari ridondanti, anziché distruggerli, e si verifica un altro prodigio: le immagini così corrette si staccano dalle tele e diventano vere. Bananito per riconoscenza dipinge un'altra zampa a Zoppino. Zia Pannocchia e Romoletta sono arrestate e condotte in manicomio per aver insegnato ai gatti a miagolare ed anche Gelsomino è ricercato per aver distrutto il teatro. Egli fugge per i tetti assieme a Zoppino ma scivola e cade sul balcone di Benvenuto-Mai seduto, un cenciaiuolo dall'aspetto di un vecchietto di settantacinque anni ma che in realtà ne ha solo dieci perché invecchia ogni volta che si siede. Questi dà ricetto a Gelsomino finché non è guarito. Intanto Bananito ha ripreso il suo lavoro mettendosi a ricreare la realtà per strada. Viene prima imprigionato per aver dipinto delle immagini veritiere, ma poi è invitato a corte, dove re Giacomone spera che gli possa dipingere in testa dei capelli veri per poter rinunciare alla parrucca, e nominato ministro; tuttavia si rifiuta di dipingere dei cannoni e viene rinchiuso in manicomio, da dove Zoppino lo fa evadere con la complicità di Benvenuto, che per intrattenere una guardia si siede fino a morire di vecchiaia.
Per liberare Zia Pannocchia e Romoletta, Gelsomino si mette a cantare di fronte al manicomio, provocandone la distruzione; la devastazione coinvolge anche il palazzo reale, dal quale fuggono la corte e lo stesso Giacomone in incognito, che si libera delle sue parrucche gettandole in un fiume. La popolazione, presso la quale il senso della verità non era ancora del tutto spento, è liberata dal regime delle bugie.
Gelsomino riprende a studiare per diventare un vero cantante lirico, Zia Pannocchia diventa la direttrice di un istituto per gatti abbandonati e Romoletta studia da maestra. La guerra che Giacomone aveva dichiarato ad uno stato confinante contando sui cannoni che Bananito gli avrebbe dipinto viene convertita, su suggerimento di Gelsomino, in una partita di calcio.
***
Tratto da pag. 63 del racconto: “Se un pittore sa il suo mestiere le cose belle diventano vere.”
– Credevo, – mormorò tristemente Bananito, – credevo di essere un pittore.
Ma sarà meglio che cambi mestiere.
E sceglierò un mestiere col quale i colori c'entrino il meno possibile.
Per esempio, farò il becchino, e avrò a che fare solo con il nero.
– Anche nei cimiteri ci sono i fiori, – osservò Gelsomino.
– Su questa terra, di nero proprio nero e soltanto nero non c'è niente.
– Il carbone, – disse Zoppino.
– Ma a dargli fuoco diventa rosso, bianco, azzurro.
– L'inchiostro nero è nero e basta.
– Ma con l'inchiostro nero si possono scrivere storie colorate e allegre.

 

gelsomino paese bugiardi prima ed. 1958

Autrice del volume è Elena Accati già docente di Floricoltura presso l’Università di Torino, studiosa e ricercatrice nei settori della floricoltura e di parchi e giardini. Una donna e una studiosa, e come lei stessa ha detto “lavorare in un settore considerato un tempo come solo maschile non è stato facile”.
Nel romanzo Fiori in famiglia Elena Accati dà voce ad un’altra donna e scienziata Eva Mameli Calvino, madre del grande scrittore Italo Calvino.
La collana “Donne nella scienza” di Editoriale Scienza ha questo di davvero interessante e innovativo: l’aver dato spazio a donne che hanno cambiato la storia della scienza e di cui in pochi conoscono la storia, ed averlo fatto attraverso la penna di scienziate, di altrettante donne che si sono applicate alla scrittura per ragazzi per appassionare e raccontare alla nuova generazione quanto, anche nella scienza, si deve alle donne.
Leggendo Fiori in famiglia si ha subito la sensazione di trovarsi di fronte ad una botanica….e non solo perché il racconto di Eva è in prima persona, ma perché chi le dà voce, sa esattamente di cosa sta parlando, si rincorrono nomi scientifici e descrizioni minuziose di procedimenti ed esperimenti.
Eva Mameli Calvino era la mamma di Italo e se pochissimi la conoscono in questa veste forse ancora meno la conoscono come una delle scienziate più importanti del primo Novecento, prima donna in Italia ad ottenere la libera docenza in botanica, nel 1915!
Eva era una donna anticonformista e rigorosa che in anni di un altro secolo ha praticato una scelta di vita che in molti casi risulterebbe difficile ed anomala persino oggi: la dedizione completa e assoluta alla sua passione botanica e scientifica in cui ha ritagliato quello per la famiglia. Il marito di Eva era un agronomo, con cui condivideva progetti lavorativi, ricerca e scelte di vita privata, con Mario Calvino, di cui tutti si ricordano molto di più della moglie, ha avviato e condotto la stazione scientifica prima a Cuba (dove è anche nato Italo) e poi a Sanremo per dar vita alla prima stazione sperimentale di floricoltura con sede a Villa Meridiana, casa stessa dei Mameli-Calvino.
Avete presente tutti quei fiori per cui è famosa la riviera ligure? Ecco, quelli sono opera dei coniugi Calvino, in Liguria di fiori praticamente non ce n’erano!
“Prima in Liguria si coltivavano solo agrumi, vite e olivo e c’era grande povertà. Poi è nata la floricoltura e la Liguria è divenuta la Riviera dei fiori.”
“I numeri sono questi: nel 1925-26 la Borsa Fiori di Sanremo registrava tre varietà di rose “Ulrich Brunner”, “Frau Druschky” e “Mac Arthur”. Oggi la varietà di rose da giardino sono 7562!”
Il libro è davvero interessante e la sua lettura indubbiamente vi darà la sensazione, (anche grazie alla prima persona della narrazione), di trovarvi di fronte ad una grande donna, Le illustrazioni seguono il racconto come fotografie.
Un' idea "Fiori in famiglia" da regalare ai ragazzi che amano la botanica, è indicato dagli 11 anni e si trova anche in formato ebook.

Incipit del libro
[…] Fin da molto piccola fui colpita e attratta dalle medaglie di papà. Colonnello dei carabinieri, mio padre Giovanni era stato insignito, per il servizio prestato in occasione di terremoto e contro il brigantaggio in Calabria e in Sicilia, di tante medaglie che a me parevano bellissime. Mi sembrava un eroe da imitare. La mamma le custodiva gelosamente, adagiate su di un pannello foderato di velluto rosso, in un apposito mobile che chiamavamo la vetrina. Conteneva cose fragili e, ai miei occhi, preziose: tazzine da caffè dipinte, alcuni piatti, delle coppe in cui a volte venivano messi dei cioccolatini e due “reperti”. - Ma papà, perché sono in vetrina? Non sono una semplice pietra e una conchiglia? – chiesi un giorno. – No, - disse papà con affetto. - Vedi Evelina (così mi chiamava a volte) questa che tu chiami pietra è stata portata da un prozio archeologo che l’ha trovata durante una spedizione in Oriente: è un frammento di una tubatura dell’acqua calda per i tepidari di terme romane. L’altra è una conchiglia fossile raccolta in una zona in cui c’era il mare […]

Conosciamola meglio Eva Mameli Calvino, studiosa e pioniera nella conservazione della natura, prima docente universitaria alla cattedra di botanica in Italia
" Eva la maga buona che coltiva gli iris" così la chiamava il figlio Italo.

Giuliana Luigia Evelina Mameli, detta Eva, nasce il 12 Febbraio 1886 a Sassari, da una famiglia alto-borghese, quarta di cinque figli: la madre è Maria Maddalena Cubeddu, il padre Giovanni Battista è colonnello dei carabinieri. La famiglia Mameli è molto unita e l’educazione dei figli si basa su principi quali il valore dello studio e il massimo impegno nella vita e nella professione. Infatti Eva frequenta un liceo pubblico, tradizionalmente “riservato” ai maschi, e in seguito, particolarmente interessata alle scienze, s’iscrive al corso di Matematica presso l’Università di Cagliari, dove si laurea nel 1905. Alla morte del padre, alla quale è particolarmente legata, si trasferisce con la madre a Pavia presso il fratello maggiore, Efisio (1875-1957), uno dei futuri fondatori del Partito Sardo d’Azione, e già docente universitario, con il quale ha condiviso, nell’infanzia, lunghe passeggiate nei boschi e l’interesse per la natura. A Pavia Eva, ricordata come una donna brillante, appassionata, grande lavoratrice, frequenta il Laboratorio crittogamico di Giovanni Briosi (1846-1919), che si occupa di piante “inferiori”, studi ancora abbastanza unici in Italia. Eva si appassiona a tal punto da proseguire le sue ricerche come assistente volontaria anche dopo la laurea in Scienze Naturali nel 1907. Nel 1908 consegue nel frattempo il diploma presso la Scuola di Magistero e, due anni dopo, l’abilitazione per la docenza in Scienze Naturali per le scuole normali dove insegna per due anni. Ottiene la cattedra di Scienze presso la scuola normale di Foggia, chiede e ottiene il distaccamento presso il Laboratorio crittogamico dell’Università di Pavia. Vince però anche due borse di studio di perfezionamento che le permettono di continuare l’attività di ricerca. Nel 1911 le viene infatti assegnato il posto di assistente di Botanica e nel 1915, prima donna in Italia, consegue la libera docenza in questa disciplina. Il suo primo corso universitario ha come titolo La tecnica microscopica applicata allo studio delle piante medicinali e industriali.
La sua fama scientifica oltrepassa i confini nazionali, ma evidentemente non è il suo solo pensiero. Durante gli anni della Prima Guerra Mondiale si attiva infatti come crocerossina e viene più volte decorata.
È l’immediato dopoguerra a metterla di fronte a scelte difficili: ha 34 anni, il suo maestro Briosi è morto e il fratello Efisio è tornato in Sardegna, per insegnare Chimica farmaceutica all’ateneo di Cagliari. La svolta decisiva è rappresentata, nell’aprile del 1920, dall’incontro con Mario Calvino (1875-1951), conosciuto alcuni anni prima grazie ad uno scambio epistolare su questioni di carattere scientifico. Mario è ricordato per il carattere serio e taciturno, e per i molteplici impegni scientifici, educativi e sociali: un “apostolo agricolo sociale”, lo definirà Eva nella sua biografia.
Mario è sanremese di nascita, ma nel 1908 si trasferisce in Messico e poi a Cuba, a Santiago de las Vegas, dove dal 1917 dirige una Stazione Agronomica sperimentale per la produzione di canna da zucchero. Calvino cerca un valido collaboratore di Genetica Vegetale. Senza indugi Eva Mameli accetta sia la sua proposta di matrimonio sia il trasferimento nel nuovo mondo: i due da questo momento iniziano un cammino comune caratterizzato costantemente dalla ricerca scientifica. A Cuba il 15 ottobre 1923 nasce il loro primogenito, Italo Giovanni, seguito da Floriano, nato nel 1927, in Italia. Nel 1925 la coppia ritorna infatti a San Remo, dove si occupa della nascente Stazione sperimentale di floricoltura “Orazio Raimondo”. Portano con loro palme, pompelmi e kiwi, che arrivano in Italia per la prima volta. I coniugi acquistano anche Villa Meridiana, a quei tempi quasi fuori città, il cui ampio giardino viene messo a disposizione della Stazione. Qui Eva ricopre il ruolo d’assistente e vicedirettrice, ma non rinuncia ad una vita professionale autonoma. Nel 1927 infatti vince il concorso per la cattedra di Botanica presso l’Università di Catania e poco dopo presso quella di Cagliari: viene nominata “professore non stabile” e direttrice dell’Orto botanico dell’Università degli Studi.
Dopo due anni però abbandona la carriera universitaria per dedicarsi esclusivamente alla Stazione sperimentale. Durante la seconda Guerra Mondiale, Eva e Mario «amanti delle sfide scientifiche e civili» (cfr. Mameli-Calvino, 2011) mentre i due figli salgono in montagna per combattere nella Resistenza, offrono asilo ai partigiani e nascondono alcuni ebrei, ragione per la quale Mario Calvino trascorre quaranta giorni in prigione ed Eva deve assistere a due “fucilazioni simulate” del marito da parte dei fascisti.
stazione sperimentale di floricultura SanremoDopo anni caratterizzati da un costante impegno anche nella divulgazione scientifica, nel 1951, alla morte di Mario, la direzione della Stazione passa nelle mani di Eva per otto anni. Sempre coltivando i suoi interessi floristici (è del 1972 il Dizionario etimologico dei nomi generici e specifici delle piante da fiore e ornamentali, opera unica tra i testi di botanica del nostro secolo), Eva, «la maga buona che coltiva gli iris» – come la chiamava il figlio Italo – muore a San Remo il 31 marzo 1978, all’età di 92 anni.
La prima di una lunga serie di pubblicazioni (oltre 200) di Eva Mameli Calvino risale al 1906. Si è occupata, con i suoi scritti, prima di lichenologia, micologia e fisiologia vegetale, poi di genetica applicata alle piante ornamentali, fitopatologia e floricoltura. Nel 1930 fonda assieme al marito la Società italiana amici dei fiori e la rivista «Il Giardino Fiorito», che dirigeranno dal 1931 al 1947. Nell’opera veramente esaustiva a cura di E. Macellari, edita a Perugia nel 2010, Libereso Guglielmi riesce a mettere bene in luce, nella Prefazione, il profilo di questa donna tenace, che ha dovuto lottare molto per affermarsi come scienziata e come accademica e in seguito per difendere la Stazione sperimentale dall’aggressione edilizia che comunque causerà una drastica riduzione della sua estensione.
Eva Calvino e figlioHa forse dovuto lottare anche con i suoi figli, come dimostrano le parole lapidarie di Italo nel racconto La Strada di San Giovanni (1962): «Che la vita fosse anche spreco, questo mia madre non l’ammetteva: cioè che fosse anche passione. Perciò non usciva mai dal giardino etichettato pianta per pianta, dalla casa tappezzata di buganvillea, dallo studio col microscopio sotto la campana di vetro e gli erbari. Senza incertezze, ordinata, trasformava le passioni in doveri e ne viveva». O ancora sentenzia, con una imminente nostalgia: «Mia madre era una donna molto severa, austera, rigida nelle sue idee tanto sulle piccole che sulle grandi cose […] L’unico modo per un figlio per non essere schiacciato da personalità così forti era opporre un sistema di difese. Il che comporta anche delle perdite: tutto il sapere che potrebbe essere trasmesso dai genitori ai figli viene in parte perduto».
Non troppo tenero con Eva Mameli è anche Libereso Guglielmi, l’uomo dal nome esperanto, giardiniere e naturalista, allievo prediletto di Mario Calvino, quasi un sostituto dei figli che avevano preferito altre professioni. Un gran personaggio, con una barba lunga e un modo di parlare semplice e coinvolgente. Figlio di anarchici, cammina spesso scalzo, scorrazzando nel giardino di villa Meridiana, entra in casa con i piedi inzaccherati di fango, gioca con le bisce e i rospi (come lo ricorda Italo in uno dei primi racconti, Un pomeriggio, Adamo). Eva lo sgrida di continuo e infatti lui la considera una donna severa, raccontandola così, in modo ironico e sferzante, in un’intervista rilasciata a Ippolito Pizzetti: «La madre era un po’ carognetta […] Eva Mameli Calvino, una piccolina [….], con quei bei grandi rotoli di capelli,[..]. Una volta me la sono trovata davanti con tutti i capelli sciolti e mi sono spaventato: sembrava un fantasma!» Anche se poi il nostro dichiara: «Era una grande botanica […] una delle potenti, però non era proprio botanica pura, faceva più la ricercatrice, era più biologa, una delle grandi biologhe italiane (…)».
Eppure appare chiaro quanto il figlio Italo, fra i maggiori scrittori italiani del ‘900 abbia ereditato da una madre così. Come viene ricordato nel volume Album Calvino: «Di lei [Eva Mameli] si ricorda che parlava un italiano di grande precisione ed esattezza, immune dall’approssimazione linguistica, grammaticale e sintattica che fatalmente accompagna la comunicazione orale: e anche questo è un dettaglio importante per spiegare l’economicità espressiva del figlio, il suo rifiuto di quanto è inesatto, opaco, sfuocato».

Negli ultimi anni Eva Mameli ottiene i giusti riconoscimenti e molti sono gli studi e le pubblicazioni che valorizzano la vita, le scoperte e le ricerche di questa donna che “dal giardino, e più complessivamente dalle consuetudini, uscì spesso, e per lidi lontani”.
Tessitrice di competenze attraverso gli oceani, scienziata rigorosa quanto attenta agli aspetti sociali del proprio lavoro, si prendeva però il tempo per dire a una bambina: “Vieni ti faccio vedere una chimera…” anche se si sottovaluta quanto la fama della riviera dei fiori di Sanremo in particolare debba al suo lavoro. Il 17 marzo 1972, confidava in una lettera a Olga Resevi-Signorelli: “Da più di due anni sto imbastendo un lavoro di etimologia botanica e ne avrò per altrettanti. Siccome ho compiuto gli 84 faccio più conto delle mie scartoffie che dei pesanti pasticci televisivi. Soltanto ciò che riguarda figli e nipotini mi attira. Ho 4 gioielli tra i 5 e i 12 anni tutti buoni e belli […]

Di sé Eva disse:
“Sembravo timida ma non lo ero per niente.
Dentro di me sentivo una gran voglia di imparare.
Non avevo ancora idea di cosa avrei fatto,
però sapevo che desideravo scoprire per essere utile.
A chi o a che cosa lo ignoravo,
ma l’idea di diventare qualcuno
mi accompagnò sempre in quegli anni."

 

NOTE
Fonti di riferimento: Per la biografia - Enciclopedia delle donne
Elena Macellari, Eva Mameli Calvino, collana Le farfalle, Ali&no Editrice, Perugia 2010
Elena Accati, Fiori in famiglia. Storia e storie di Eva Mameli Calvino, Donne nella scienza, Editoriale Scienza 2011
Eva Mameli Calvino, Mario Calvino, 250 quesiti di giardinaggio risolti, Introduzione di Tito Schiva, collana Virgola, Donzelli editore, Roma 2011
Ariane Dröscher, Mameli Calvino Eva Giuliana, voce on line in Scienza a due voci. Le donne nella scienza italiana dal Settecento al Novecento, dizionario delle scienziate italiane dell'Università di Bologna
P. Forneris - L. Marchi, Il giardino segreto dei Calvino. Immagini dall'album di famiglia tra Cuba e Sanremo, De Ferrari Genova 2004
L. Migliore, Mameli, Giuliana Eva, voce (online) in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma 2007
Elisabetta Strickland, Scienziate d'Italia. Diciannove vite per la ricerca, Donzelli, Roma 2011
Album Calvino, a cura di L. Baranelli e Ernesto Ferrero, Mondadori, Milano 2003
Ippolito Pizzetti, Libereso, il giardiniere di Calvino, Muzzio 2009

Foto:
A Sanremo la prima stazione sperimentale di floricoltura con sede a Villa Meridiana, la stessa casa dei Mameli Calvino.
Eva Mameli con il figlio Italo

immagine di copertina

 

 

lamico ritrovato copertinaÈ un libro pubblicato nel 1971, negli Stati Uniti, per poi approdare in Inghilterra, Francia, Olanda, Svezia, Norvegia, Danimarca, Spagna, Israele, Portogallo, ovunque con lo stesso entusiasmo della critica: “un’opera letteraria rara” lo definisce il New Yorcher, “un capolavoro” ha scritto Arhtur Koestler nell’introduzione all’edizione inglese del 1976. Hanno fatto eco anche The Sunday Express, The Financial Times di Londra e infine Le monde di Parigi: “Uno dei testi più densi e più puri su gli anni del nazismo in Germania…
Definito, tra i romanzi più belli che si possano raccomandare ai lettori, dai dodici anni in su: due ragazzi sedicenni frequentano la stessa scuola. L’uno è figlio di un medico ebreo, l’altro di una ricca famiglia aristocratica. Tra loro nasce una forte amicizia, un’intesa perfetta. Un anno dopo, il loro legame si spezza, accade in Germania nel 1933.
Il racconto è ambientato durante la dittatura nazista in Germania (1933-1945) ed è ispirato alla vita dell’autore: l’amicizia tra Hans e Konradin messa a dura prova dalle leggi razziali, tanto che Hans dovrà fuggire all’estero e scoprirà la verità sul destino dell’amico solo dopo la Seconda guerra mondiale.

La Trama
Siamo nel 1932 a Stoccarda e la narrazione si apre con Hans Schwarz, un ragazzino ebreo appartenente a una famiglia borghese e colta. Il padre di Hans è un medico e un ex soldato insignito durante la Prima guerra mondiale con la Croce di Ferro (1) e nutre un forte sentimento nei confronti della patria.
Un giorno nella sua classe arriva un ragazzino di famiglia nobile, Konradin von Hohenfels, che mantiene un atteggiamento sostenuto e non lega con nessuno dei compagni; la famiglia gli ha infatti trasmesso un sentimento di superiorità rispetto agli altri, che deriva dall’onore di appartenere ad una delle famiglie più importanti del Paese. Tuttavia, Hans si sente attratto da Konradin e un giorno riesce a vincerne la timidezza mostrando in classe la sua collezione di monete. Grazie a questa, i due ragazzi diventano amici, e Konradin si reca spesso a casa di Hans, di cui conosce i genitori e che frequenta quotidianamente.
I due stringono un legame particolarmente forte, che li porta a conversare sia di argomenti leggeri e spensierati sia di temi impegnativi, come l’esistenza di Dio o il significato della morte.
L’unico punto oscuro nel loro rapporto è relativo all’atteggiamento di Konradin nei confronti dei propri genitori: egli infatti invita Hans a casa propria solo quando questi sono assenti. Una sera, in occasione di una rappresentazione teatrale, Konradin, in compagnia della madre, ignora addirittura l’amico, fingendo di non conoscerlo.
Quando Hans chiede il perché di questo atteggiamento a Konradin, egli spiega che i genitori - e la madre in particolare - hanno idee antisemite e non vogliono che il figlio frequenti ragazzini ebrei. La situazione peggiora con l’avvento di Adolf Hitler al potere, nel 1933: a scuola si diffondono pregiudizi ostili agli ebrei (anche da parte degli stessi professori) e tesi a sostegno della superiorità della razza ariana. In un’occasione, Hans viene anche alle mani con dei compagni di classe che l’hanno insultato in quanto ebreo. Hans e Konradin vedono così allentarsi i loro rapporti. Intuendo il pericolo per il figlio, i genitori di Hans lo mandano da dei parenti in America; Hans abbandona così la scuola poco prima di Natale. Appena prima della partenza di Hans, Konradin scrive all’amico, e sebbene nella sua lettera attesti la stima nei suoi confronti, egli ammette la fascinazione per Hitler, arrivando persino a sostenere che sia stato inviato da Dio per risollevare le sorti della Germania. I genitori di Hans, poco dopo la sua partenza, si suicidano.
Negli Stati Uniti Hans studia legge in prestigiose università e si ricostruisce una vita, rifiutando di tornare in Germania e di sapere qualsiasi cosa sul destino di Konradin, in un misto di paura e di dolore per ciò che è successo. Molti anni dopo riceve un opuscolo del suo vecchio liceo di Stoccarda con la richiesta di un contributo per la costruzione di un memoriale agli studenti caduti in guerra. Hans non ha subito il coraggio di scoprire cosa è successo a Konradin ma, poco prima di stracciare l’elenco, trova la forza e lo apre alla lettera “H”. Qui legge che Konradin von Hohenfels è stato giustiziato perché implicato nel piano per uccidere Hitler (2).
Il romanzo breve di Uhlman affronta molti temi importanti, come l’amicizia adolescenziale (che resiste al di là del tempo o degli errori che tutti noi commettiamo), il peso delle differenze sociali, l’insensatezza delle discriminazioni razziali, il coraggio di compiere scelte scomode, l’orrore della guerra e del regime nazista. Queste tematiche sono strettamente correlate e si ripropongono e intrecciano nel corso della descrizione.
La narrazione è in prima persona, è Hans che ci racconta ciò che è stata la sua vita, concentrandosi sugli eventi drammatici che lo hanno allontanato dalla Germania e dal suo amico Konradin. Questa scelta favorisce l’immedesimazione del lettore negli eventi e nella psicologia dei personaggi, permettendo di seguire dall’intervento l’evolversi della vicenda e di venire sorpresi dal “colpo di scena” finale, che ricongiunge, a distanza di anni, Hans e Konradin.
Tema centrale dell’opera è quindi l’amicizia che nasce, si consolida, si spezza e si ricompone tra i due protagonisti principali; questo sentimento si dimostra più forte e duraturo sia degli eventi storici che separano Hans e Konradin che dell’odio strisciante verso gli ebrei (e, più in generale, i “diversi”) alimentato dal regime nazista. Ciò non toglie che i due amici sono assai diversi tra loro: Hans, di estrazione sociale borghese, è un ragazzo semplice e timido, è subito colpito dalla differenza di Konradin rispetto agli altri compagni di classe e ne desidera l’amicizia e la confidenza. Egli è quindi assai ferito dalla scelta di Konradin di evitarlo in quanto ebreo e di aderire poi al movimento nazista. Konradin invece è una figura certamente più complessa: egli è altero e solitario, consapevole della sua diversità sociale rispetto agli altri ma al tempo stesso avido di affetti genuini. Dalle parole della sua lettera si può ipotizzare che egli sia sinceramente convinto che Hitler possa davvero essere portatore di cambiamento e che, nella sua infantile ingenuità, pensi che gli “ebrei buoni” non subiranno nessun sopruso.
La scoperta finale di Hans indica allora che, nonostante la delusione di Hans, il legame tra i due era davvero profondo ad autentico: Konradin, resosi conto dell’errore commesso, non esiterà a sacrificare la propria vita nel tentativo eroico di far cessare l’incubo nazista.
Da questo romanzo è stato anche tratto un film per la regia di Jerry Schatzberg (1989) che ha ottenuto la nomination Palma d’oro al Festival di Cannes e nomination come miglior film straniero nel 1990 – David di Donatello. Nel film vi sono molte differenze rispetto al libro. Ad esempio nel romanzo originale non compare Geltrude, la cugina di Konradin, aggiunta nel film come personaggio secondario. Inoltre nel libro Hans non scopre la fine e l'atto eroico dell'amico andando in Germania, ma ricevendo per posta una richiesta di fondi agli ex studenti per l'erezione di un monumento alla memoria degli allievi caduti in guerra. Alla richiesta segue un elenco dei nomi e sotto quello del suo amico c'è scritto "Implicato nel complotto per uccidere Hitler. Giustiziato".
Fred Uhlman – nato a Stoccarda nel 1901 e morto a Londra, ottantaquattrenne. Autore anche di un’autobiografia “Storia di un uomo” edita da Feltrinelli nel 1987 e di altri testi brevi, ha ispirato il racconto di “L’amico ritrovato” ai luoghi e all’ambiente della sua adolescenza. Sapeva che questo sarebbe rimasto il “suo” libro: “Si può sopravvivere con un solo libro” ha dichiarato poco prima di Morire.

Incipit
Entrò nella mia vita nel febbraio del 1932 per non uscirne più. Da allora è passato più di un quarto di secolo, più di novemila giorni tediosi e senza scopo, che l’assenza della speranza ha reso tutti ugualmente vuoti – giorni e anni, molti dei quali morti come le foglie secche su un albero inaridito.


NOTE
(1 )La Croce di Ferro è una decorazione militare del Regno di Prussia e della Germania.

(2 )Si tratta della “Operazione Valchiria” del 20 luglio 1944, un fallito piano per eliminare il Fuhrer che portò, come rappresaglia, all’arresto di 5000 persone e all’esecuzione di circa 200.

L’amico ritrovato di Fred Uhlman
Traduttore: Mariagiulia Castagnone
Editore: Feltrinelli
Collana: Universale economica
Anno edizione: 2013
Pagine: 92 .
Immagine di copertina Egon Schiele Deux garcons 1910 (particolare)

La bambina di vetro“La bambina di vetro” è il nuovo testo scritto e illustrato da Beatrice Alemagna; pubblicato per la prima volta in Francia nel 2002 ed edito in Italia da TopiPittori nel 2019.
La storia, (come l’autrice stessa ci racconta nella prefazione del libro) è stata ispirata da “Giacomo di Cristallo” del geniale Gianni Rodari, testo che fin da bambina ho amato e sognato di illustrare.
Si potrebbe dire che Gisèle, la protagonista di questo libro, sia la sorellina francese di Giacomo (nata a Parigi e mai pubblicata prima d’ora in Italia). A differenza dl suo gemello italiano, Gisèle non viene messa in prigione ma solo esclusa e costretta a cercare un luogo da poter chiamare “casa”. La bambina di vetro non è una storia che parla di quanto sia potente la verità, ma di fiducia in se stessi e di coraggio, doti che coloro che oggi lottano nella vita non dovrebbero mai perdere. (1)
"Giacomo di Cristallo" è una delle note favole al telefono di Gianni Rodari; nelle prime righe della sua storia possiamo leggere:
“Una volta, in una città lontana, venne al mondo un bambino trasparente. Attraverso le sue membra si poteva vedere come attraverso l’aria e l’acqua. Era di carne e d’ossa e pareva di vetro, e se cadeva non andava in pezzi, ma al più si faceva sulla fronte un bernoccolo trasparente”. (2)
Anche la bambina di vetro nasce trasparente e fragile, come si evince dal parallelismo che segue:
“Un giorno, in un villaggio vicino a Bilbao e a Firenze, nacque un bambino di vetro. Anzi, una bambina. Era così carina con i suoi grandi occhi, così perfetta con le sue piccole mani, così pura e luminosa… ma così trasparente! Brillava, scintillava, si confondeva con gli oggetti, cambiava colore al tramonto e sotto il sole si trasformava in mille riflessi”.
In aggiunta alle poetiche parole dell’Alemagna, vediamo anche un uso delle illustrazioni pittoresco e peculiare, che assorbe completamente la nostra attenzione, tra un gioco di colore dato dalle sfumature di un azzurro cielo e il suo tratto grafico che ci ricorda il suo celebre albo illustrato “Un leone a Parigi”.
Interessante inoltre notare come ci sia la stessa autrice all’interno delle pagine, in particolare nella valigia di Gisèle dove si notano le due parti del suo cuore (e delle sue patrie): Parigi con una piccola Tour Eiffel – un souvenir – e l’Italia con un vecchio francobollo delle Poste Italiane.

Troppa trasparenza
Non è solo l’apparato iconografico a stregarci, tutto l’oggetto libro ci catapulta nel racconto e ci fa stare attenti. Sfogliando il testo, infatti, vediamo scorrere il tempo della bambina di vetro che, crescendo, porta con sé paure e dubbi su se stessa, una scoperta intima di sé che purtroppo, però, non rimane così intimistica e questo perché anche i suoi pensieri sono trasparenti e capaci di essere letti da tutti.
A diventare limpidi ed evidenti, non sono però solo i pensieri di Gisèle, ma anche il racconto che, pagina dopo pagina, mette in luce i dolori della bambina facendo diventare il libro stesso trasparente, creando una mimesi totale con la protagonista della storia e con l’oggetto libro in sé, attraverso il tatto e la vista.
Ogni suo pensiero era letto e studiato dagli altri, che la criticavano e accusavano, pensando che dovesse imparare a tenerli per sé, finché un giorno la bambina se ne andò pronta per scoprire dove potesse stare senza essere giudicata dagli altri. Ma, ovunque lei andasse, i problemi ritornavano e le persone non la capivano. Così un giorno, si stancò di fuggire, e tornò a casa.
Anche se la verità è spaventosa e la gente preferisce ignorarla. (3)

La verità spaventa
Questo libro a figure ci insegna parecchie cose: innanzitutto quanto sia importante lavorare su se stessi e sull’accettarsi, in un momento storico in cui i social network e i media danno come messaggio ai ragazzi quello di essere perfetti e omologati, quando invece la diversità è e deve essere ciò che ci distingue dagli altri, ciò che ci rende speciali, non negativamente differenti.
In una società in cui l’esclusione è all’ordine del giorno, dove l’abbattimento delle barriere e il fatto che:
«tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali e sociali» (4).
Sono solo parole al vento, un libro in cui una ragazza capisce che ha il diritto di rimanere a casa sua esattamente come le altre persone, serve a noi adulti e agli adulti di domani.
Inoltre ci mostra come la verità spaventi le persone, abituate a vivere tra ipocrisie e decise nel richiamare i bambini quando, senza alcun filtro, dicono ciò che pensano sia rispetto a chi incontrano, sia rispetto a chi vorrebbero essere o diventare.
Gisèle, da donna ormai indipendente, ha il suo lieto fine, le spetta questo lieto fine. Non si può purtroppo dire lo stesso per “Giacomo di cristallo”, che al contrario andò in galera per i suoi pensieri fluttuanti, anche se poi successe qualcosa di straordinariamente magico (o meglio, giusto):
“Il tiranno fece arrestare Giacomo di cristallo e ordinò di gettarlo nella più buia prigione.
Ma allora successe una cosa straordinaria. I muri della cella in cui Giacomo era stato rinchiuso diventarono trasparenti, e dopo di loro anche i muri del carcere, e infine anche le mura esterne. La gente che passava accanto alla prigione vedeva Giacomo seduto sul suo sgabello, come se anche la prigione fosse di cristallo, e continuava a leggere i suoi pensieri. Di notte la prigione spandeva intorno una grande luce e il tiranno nel suo palazzo faceva tirare tutte le tende per non vederla, ma non riusciva ugualmente a dormire. Giacomo di cristallo, anche in catene, era più forte di lui, perché la verità è più forte di qualsiasi cosa, più luminosa del giorno, più terribile di un uragano.” (5)
"La bambina di vetro" può essere inserito all’interno di un percorso interdisciplinare negli ultimi anni della scuola primaria in cui si voglia parlare dell’inclusione a scuola e per far scoprire ai bambini la loro unica identità, tenendo bene a mente le parole delle Indicazioni Nazionali:
Poiché comunità educante, la scuola genera una diffusa convivialità relazionale, intessuta di linguaggi affettivi ed emotivi, ed è anche in grado di promuovere la condivisione di quei valori che fanno sentire i membri della società come parte di una comunità vera e propria. La scuola affianca al compito «dell’insegnare ad apprendere» quello «dell’insegnare a essere». L’obiettivo è di valorizzare l’unicità e la singolarità dell’identità culturale di ogni studente. La presenza di bambini e adolescenti con radici culturali diverse è un fenomeno ormai strutturale e non può più essere considerato episodico: deve trasformarsi in un’opportunità per tutti. (6)
È un libro sicuramente da proporre, dai sette anni in su, dotato di illustrazioni molto belle ed anche consigliato a chiunque abbia voglia di fare un viaggio nella propria intimità, per imparare a vedere la verità che ci circonda.

Note
(1) Dalla prefazione de La bambina di vetro, B. Alemagna, TopiPittori, Milano, 2019.
(2 )G. Rodari, Favole al telefono, Einaudi, Torino, 2010, p. 142
(3 )G. Quarenghi, La bambina dei libri, TopiPittori, Milano, 2019
(4) Costituzione Italiana, art. 3
(5) G. Rodari, op.cit., p. 144
(6) MIUR, Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, Le Monnier, 2012, p. 10

ida accorsiQuello che doveva essere l'anno delle grandi celebrazioni rodariane ha incontrato sulla sua strada l'inaspettata emergenza mondiale. Mi sono chiesta tante volte in queste settimane: cosa avrebbe detto il Maestro Gianni?? Forse, come aveva fatto di fronte ad altre sciagure e ingiustizie, ne avrebbe preso atto, tenendo in mano la penna e nella mente la speranza. Così, tra chiusure e difficoltà si continua a ricordarlo, e, ognuno come può, a onorarlo.
Maggiormente in questo momento sento il bisogno di rileggere Rodari il poeta, lo scrittore, il visionario, sempre dalla parte dei ragazzi, che ha regalato al mondo opere indimenticabili e la più bella e rivoluzionaria delle verità: la fantasia ci rende liberi.
Per lui conversare con i ragazzi era una necessità per capirne i comportamenti e per penetrare nella loro psicologia; un’occasione per ricevere stimoli e collaudare quanto andava scrivendo. Voleva che il suo lavoro nascesse dalla base. Non gli bastava guardare il mondo, desiderava andargli incontro ed entrarci.
Gli alunni, non conoscendolo di persona, al primo impatto subivano il fascino del personaggio e perdevano la spontaneità, ma Rodari cercava subito di smitizzare facendosi chiamare “Gianni”, poi con battute spiritose, si metteva sul loro stesso piano; creava il bisogno di sapere e aiutava a penetrare concetti profondi con linguaggio comprensibile e coinvolgente. Era un improvvisatore formidabile, un comico nato. Si vantava, con una punta di orgoglio, di assomigliare un po’ a Totò.
A scuola con Gianni RodariAnche quando raccontava più volte uno stesso fatto o una favola, introduceva varianti compiendo un lavoro sul lavoro.
Usava espressioni popolari, sfruttava i luoghi comuni, immetteva nella narrazione dati ambientali o ‘rubati’ all’interlocutore, toccando gli argomenti verso i quali gli adolescenti erano più sensibili e interessandosi ai loro vissuti.
Pur avendo in mente certi obiettivi, operava senza uno schema fisso. Era un maestro in tutti i sensi, stava a scuola con lo spirito dell’allievo che vuole apprendere dagli altri, sapeva ascoltare e dare consigli pratici agli insegnanti, senza per questo considerarsi depositario di verità assolute. Non volendo mai dire una parola conclusiva, era continuamente disponibile alla verifica.
Insegnava senza imposizioni: scherzando, gareggiando, stuzzicando la curiosità, in quell’atmosfera l’aula diventava un vivace luogo di ricerca, un laboratorio di invenzioni fantastiche.
Con lui non esistevano problemi di disciplina. Si guadagnava l’autorità e induceva al rispetto delle regole con l’intelligenza, la cultura, la simpatia, l’amicizia, tra le sue finalità vi era quella di rendere i bambini autonomi, sinceri, capaci di pensare in maniera diversa l’uno dall’altro.
Il suo grande credo era di fare della scuola un momento di vita.
Educatore, che sentiva la scuola come la sua grande famiglia, è stato tra i più convinti difensori dei diritti dei bambini.
Dopo tutta questa lunga presentazione, voglio parlare della sua opera più importante la “GRAMMATICA DELLA FANTASIA - Introduzione all’arte di inventare storie” - l’unico suo volume teorico, pubblicato per la prima volta in Italia nel 1973 da Giulio Einaudi Editore
Nasce ufficialmente a Reggio Emilia (città che Rodari apprezzò molto in quanto le sue scuole accoglievano a braccia aperte lui e le sue idee; frequenti le sue visite in Emilia Romagna) dalla paziente trascrizione a macchina da parte di una stagista di alcuni appunti rimasti a lungo dimenticati. Gli appunti in questione, scritti intorno agli anni 1940, facevano parte della raccolta del "Quaderno della fantasia". Vennero recuperati in seguito a un convegno che si tenne proprio nella città emiliana dal 6 al 10 marzo 1972.
L'opera si sviluppa in 45 capitoli.
Nella quarta di copertina della prima edizione, si riportavano queste parole dell'autore:
"Quello che io sto facendo è di ricercare le "costanti" dei meccanismi fantastici, le leggi non ancora approfondite dell'invenzione, per renderne l'uso accessibile a tutti. Insisto nel dire che, sebbene il Romanticismo l'abbia circondato di mistero e gli abbia creato attorno una specie di culto, il processo creativo è insito nella natura umana ed è quindi, con tutto quel che ne consegue di felicità di esprimersi e di giocare con la fantasia, alla portata di tutti."
Da questa ricerca, che Rodari ha condotto per molti anni, è nata la Grammatica della fantasia, una proposta concreta che intende rivendicare all'immaginazione lo spazio che deve avere nella vita di ciascuno.
Tra i tanti capitoli cito quello dell’ L'errore creativo dedicato alle potenzialità creative e pedagogico-didattiche dell'errore. Difatti, secondo Rodari in ogni errore riposa la possibilità di una storia come testimonia l'esempio della scarpina di Cenerentola che invece di essere di pelliccia, per un errore di trascrizione, è diventata una fantastica scarpina di vetro. Come già aveva sostenuto nel suo Libro degli errori, persino l'errore ortografico può offrire lo spunto per ogni sorta di storia dai risvolti comici o anche essere l'occasione per un'istruttiva riflessione come nel caso della parola I-ta-glia, nella quale quella brutta g appare come un eccesso nazionalistico. Molti errori dei bambini, poi, sono in realtà creazioni autonome, utili ad assimilare una realtà sconosciuta. Sono errori che fanno ridere e ridere degli errori, ci fa riflettere Rodari, è già un modo di prenderne le distanze. Inoltre un'unica parola può suggerire innumerevoli errori e quindi innumerevoli storie. Per esempio, dalla parola automobile potrebbe derivare ottomobile, altomobile, ettomobile, autonobile, ecc.
Pertanto Rodari ritiene che il proverbio "Sbagliando s'impara" dovrebbe essere rimpiazzato da uno nuovo che dica "Sbagliando s'inventa".

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L'AUTONOBILE
Pareva una macchina
precisa a tante altre,
invece, ecco qua,
si scopre che è un'autoNobile.
Sarà marchesa, contessa,
baronessa,
chissà.
Dallo stato delle gomme,
dalla ruggine della carrozzeria
sospetto che si tratti
di una nobiltà
decaduta alquanto.
Non dubito che ai suoi bei giorni
sia stata ricevuta
a corte, con la meglio aristocrazia;
che abbia avuto dame di compagnia,
il maggiordomo, l'ancella
il lacchè,
Sarà stata anche bella
il giorno delle nozze..
Ma adesso l'aspetta lo sfasciacarrozze.
Tuttavia, tuttavia,
è sempre un'autoNobile:
lo puoi vedere dalle buone maniere,
dalle maniglie fini e affusolate
dalle povere portiere sgangherate.

ida accorsiEdito col titolo Little Blue and Little Yellow nel 1959, da una casa editrice statunitense, la Astor-Honor, che in quegli anni pubblicava classici e autori contemporanei, approda in Italia nel 1967 per Emme Edizioni primo libro di Leo Lionni (autore, pittore, grafico americano, ma italiano d’ adozione). Si presenta in una veste grafica molto curata, un vero gioiello visivo in cui si usa la teoria classica dei colori primari e il risultato della loro commistione, per sviluppare una straordinaria metafora educativa.
Questo è un libro rivolto ai bambini più piccoli, a partire dai 3 anni, per giocare con l’arte e a mescolare i colori, realizzato con la tecnica del collage, usando delle macchie colorate disposte sulle pagine in modo da creare personaggi che si muovono ed entrano in relazione tra di loro. Piccolo blu e piccolo giallo è la storia semplice e commovente di un’amicizia che supera le differenze e abbatte i pregiudizi adulti.

ida accorsiida accorsiDel suo autore (Janusz Korcak) ne avevo già parlato precedentemente, è senza dubbio una figura dalle mille sfaccettature. Medico, scrittore, militante sociale, intellettuale e soprattutto pedagogo, nato nel 1878 a Varsavia, suo nonno era medico, suo padre avvocato, lui scelse la strada del nonno e intraprese gli studi di medicina. Ben nota è la sua figura tra i pedagogisti grazie alla sua costante attenzione all’infanzia: dal 1912, assieme a Stefania Wilczyńska diresse la Casa degli Orfani, l’orfanotrofio ebraico di Varsavia; dal 1919 iniziò a collaborare con Maria Falska, con la quale organizzò l’orfanotrofio - La Nostra Casa - destinato all’accoglienza dei bambini polacchi. In entrambe le strutture i bambini erano attivamente coinvolti nell’organizzazione della loro vita (gestendo anche un giornale e un vero e proprio tribunale). La mattina del 5 agosto 1942 Korczak fu deportato nel campo di sterminio di Treblinka insieme a tutti gli ospiti della Casa degli Orfani; riconosciuto dagli ufficiali nemici venne trattenuto (era una personalità nota), ma si rifiutò di abbandonare i suoi bambini. 

ida accorsi "Erano le sette di sera, di una serata molto calda fra le colline di Seeonee, quando papà Lupo si svegliò dal suo riposo diurno. Si grattò, sbadigliò e stirò le zampe una dopo l’altra per scuoterne dall’estremità il torpore del sonno."
Iniziano così i racconti de "Il libro della giungla", uno dei lavori più conosciuti di Rudyard Kipling.
Pubblicate per la prima volta tra il 1893 e il 1894 su alcune riviste, le storie narrate sono ambientate in India, terra cara allo scrittore, e incentrate sulle avventure di Mowgli e di alcuni animali della giungla.
Descritti in maniera allegorica, i personaggi e le vicende di questi racconti rappresentano una delle fonti più affascinanti per comprendere i rapporti tra l’Occidente e l’India alla fine del XIX secolo, all’interno del fenomeno del Colonialismo.
Se, in seguito alle diverse trasposizioni cinematografiche, associamo l’opera di Kipling unicamente alla figura del giovane Mowgli, a conti fatti il “cucciolo d’uomo” compare solo nei primi tre racconti del volume.

ida accorsi“Se qualcuno fosse in grado di guardarci dall’alto,
vedrebbe che il mondo è pieno di persone che corrono in fretta e furia,
sudate e stanche morte, nonché delle loro anime in ritardo, smarrite…”

Una volta c’era un uomo che lavorava molto sodo e molto in fretta e si era lasciato ormai da un pezzo la propria anima alle spalle. Senza anima non viveva neanche male – dormiva, mangiava, guidava la macchia e giocava perfino a tennis. A volte, però, aveva l’impressione che intorno a lui fosse diventato tutto piatto, gli sembrava di muoversi sul liscio foglio di un quaderno di matematica, un foglio ricoperto di quadretti tutti uguali e onnipresenti.

ida accorsiI libri di Roald Dahl continuano a conquistare grandi e piccini con le loro bellissime storie. Lui stesso diceva: “Non ho niente da insegnare. Voglio soltanto divertire. Ma divertendosi con le mie storie i bimbi imparano la cosa più importante: il gusto della lettura”. Eppure, anche se è passato tanto tempo dalla pubblicazione del suo primo romanzo, I Gremlins nel 1943, Roald Dahl continua a essere amato dai bambini e dagli adulti di tutto il mondo e i suoi lettori sanno che, oltre alle risate e al divertimento, i suoi libri ci regalano bellissimi messaggi legati all’amore, all’amicizia e all’importanza della famiglia.
Questo mese ho deciso di proporvi due dei suoi scritti, più conosciuti.

LA FABBRICA DI CIOCCOLATO
La fabbrica di cioccolato è fra i più famosi libri per ragazzi scritti da Roald Dahl. Il racconto è ispirato alla giovinezza di Dahl: quando frequentava la Repton School. La famosa ditta produttrice di cioccolato Cadbury spediva ai collegiali delle scatole piene di nuovi tipi di dolci e un foglietto per votare. I dolci preferiti venivano quindi immessi nel mercato.

ida accorsi“Piccoli vagabondi” rappresenta un’eccezione nella vasta produzione di Gianni Rodari, il suo primo romanzo d’impostazione neorealista, poco conosciuto e ingiustamente troppo a lungo ignorato.
È il 1952 quando Gianni Rodari, pubblica per «Il Pioniere», il primo episodio di un racconto a puntate dal titolo Piccoli Vagabondi. Solo successivamente, e cioè nel 1981, la storia venne raccolta in volume da Editori Riuniti, diventando così ufficialmente "romanzo". Si tratta di una scrittura fortemente realistica, non lascia nessun spazio alla fantasia, ma al contrario intende fornire una diagnosi lucida, della realtà e della storia nel momento stesso in cui accade.

ida accorsi

[Perché due più due deve sempre far quattro? Non potrebbe far cinque una volta tanto?]
Un meraviglioso romanzo, una bella storia, un "antico" libro per "nuovi" ragazzi:
di Ada Gobetti (scritto nel 1940 - che visti i tempi - aveva dovuto pubblicarlo con lo pseudonimo Margutte) una riedizione con le illustrazioni di Ettore Marchesini, la prefazione di Goffredo Fofi, - Roma 2019 Edizioni di Storia e letteratura.
Storia del gallo Sebastiano è il primo libro scritto da Ada Gobetti dopo la morte di Piero e in pieno regime fascista. Fu l’intercessione di Benedetto Croce, (che l’aveva conosciuta a Napoli quando lei e il giovane Gobetti andarono a trovarlo durante il viaggio di nozze), a propiziarne la pubblicazione, allora con Garzanti.

ida accorsiVoi mi dite: "Siamo stanchi di stare con i bambini".
Avete ragione. E dite ancora: "Perché dobbiamo abbassarci al loro livello. Abbassarci, chinarci, piegarci, raggomitolarci".
Vi sbagliate. Non questo ci affatica, ma il doverci arrampicare fino ai loro sentimenti. Arrampicarci, allungarci, alzarci in punta di piedi, innalzarci, per non ferirli" ( Janusz Korczak Quando ridiventerò bambino, p. 7)
Janusz Korczak è fra le più grandi autorità intellettuali e morali del nostro tempo. La sua biografia, la sua attività in ambito sociale e culturale, medico, letterario, pedagogico, ha oltrepassato i limiti tradizionali fra i popoli, le religioni, gli orientamenti politici, gli strati sociali. La divisione più importante e difficile da superare per Korczak era quella che separava gli adulti dai bambini: Korczak ha dimostrato che il bambino è una persona, un essere umano, non soltanto un suo anticipo. È un essere umano qui ed ora. Ha la sua dignità e i suoi diritti. Ha il suo posto civico all’interno della famiglia, nella società locale e in quella allargata. La dignità del bambino, i diritti del bambino e il suo diritto alla cittadinanza sono tre concetti in cui siamo debitori a Janusz Korczak . (1)

ida accorsiUna favola d'amore gaia e luminosa, dove parola e disegno si fondono come uomo e donna, come sole e luna, a raccontare il paradiso del perenne rinnovamento. Una favola nata nell’autunno del 1922, appena pochi mesi dopo la fine della stesura di Siddharta. Hermann Hesse stesso ne parlò come di una fantasia orientale-occidentale, una seria parafrasi del mistero della vita , ma allo stesso tempo accessibile alla lettura infantile come una gioiosa favola. Una storia scritta e illustrata dallo stesso autore che per molto tempo non è stata edita, ma della quale lui stesso realizzava copie manoscritte che vendeva a bibliofili e amici in un momento in cui la situazione economica non era delle più floride e che continuò in seguito a riprodurre per aiutare gli scrittori in difficoltà. Questa versione del manoscritto è quella che concordemente viene considerata la più riuscita. La copia fu regalata a Ruth Wenger – all’epoca un’amica e poi futura moglie di Hesse – per la Pasqua del 1923. L’amore perciò non è solo nel titolo, ma anche in tutta l’opera.
"Tra la mia pittura e la mia poesia non c’è discrepanza, cerco sempre la verità poetica, non quella naturalista.”

ida accorsiNon tutti lo sanno, ma Andrea Camilleri, uno dei più celebri scrittori italiani contemporanei, regista teatrale, autore di testi radiofonici e sceneggiature televisive, è anche scrittore di opere per i più piccoli: Topiopì, Il naso, I tacchini non ringraziano. Prima ancora di essere uno scrittore fu un giovane precoce lettore: iniziò, a leggere molto presto, prima grazie alla nonna Elvira e poi alla sua curiosità che lo portò a prendere e sfogliare i libri della biblioteca del papà.
In un’intervista rilasciata a  La Repubblica ci racconta:
" Mia nonna Elvira era saggia ed autorevole ed è stata la figura che ha aperto la mia fantasia.
Parlava agli oggetti e agli animali come se fossero creature umane, e cambiava voce a seconda dell’oggetto, dicendomi:
“Ma secondo te posso parlare al pianoforte come parlo alla saliera?”
Aveva l’abitudine di inventarsi parole, e quando ancora non ero in grado di leggere mi raccontò tutt’intero - Alice nel paese delle meraviglie.- Fu il mio primo libro.”
MAGARIA, è il primo racconto per bambini scritto da Andrea Camilleri ( nonno di sei nipoti) è una celebrazione della fantasia e della sua colorata terra, la Sicilia.

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ida accorsi(Le Petit Prince) è un racconto di Antoine de Saint-Exupéry, il più conosciuto della sua produzione letteraria nonché uno tra i libri più letti e conosciuti del mondo. Fu pubblicato il 6 aprile 1943 a New York da Reynal & Hitchcock nella traduzione inglese (The Little Prince, tradotto dal francese da Katherine Woods) e qualche giorno dopo sempre da Reynal & Hitchcock nell'originale francese. Solo nel 1945, dopo la scomparsa dell'autore, fu pubblicato in Francia a Parigi da Gallimard.
Il racconto è dedicato al bambino che fu Léon Werth, amico dell'autore. L'autore lo scrisse negli Stati Uniti, mentre abitava nella "Bevin House" di Asharoken, Long Island, NY.
L'opera, sia nella sua lingua originale che nelle varie traduzioni, è illustrata da una decina di acquerelli dello stesso Saint-Exupéry, disegni semplici e un po' naïf, che sono celebri quanto il racconto. Gli stessi disegni sono stati utilizzati per creare le copertine del libro.
Narra di un pilota di aerei, precipitato nel deserto del Sahara, che incontra un bambino che gli chiede "Mi disegni una pecora?". Stupito, il pilota gli disegna una scatola, dicendogli che dentro c'era la pecora che desiderava. Poco per volta fanno amicizia ed il bambino dice di essere il principe di un lontano asteroide, sul quale abita solo lui, tre vulcani di cui uno inattivo e una piccola rosa, molto vanitosa, che lui cura e ama.

ida accorsi“Il giornalino di Gian Burrasca” un classico della letteratura per ragazzi, una bella e divertente lettura che narra le avventure di un piccolo eroe scapestrato!
Tra il 1907 e il 1908 Gian Burrasca irrompe con le sue monellerie sul Giornalino della domenica, il giornale per bambini rimasto famoso per la bellezza delle illustrazioni. La serie delle puntate fu poi raccolta dall'autore, Luigi Bertelli, che firmò col nome di Vamba uno dei più divertenti libri per ragazzi.
Giannino Stoppani, detto Gian Burrasca, annota in un diario gli avvenimenti della sua vita e della vita della sua famiglia. Naturalmente, poiché è stato educato a non mentire mai, dice sempre la verità, anche quella che non dovrebbe o potrebbe dire, o che le sorelle e i loro fidanzati, poi mariti, non vorrebbero si sapesse, e combina un sacco di guai per merito dei quali viene chiuso nel collegio Pierpaoli dove non solo non si educa, bensì diviene l’anima di una ribellione contro la falsa e tirannica disciplina che vi è imposta da una ridicola ma prepotente coppia di proprietari-direttori. Il diario diviene così la protesta e la rivolta di un ragazzo contro il mondo conformista e soffocante dei “grandi".
Giannino Stoppani vive infatti in una società d’altri tempi in cui i grandi fanno da padroni: a casa il babbo con le punizioni, le sorelle a dargli del disgraziato, a scuola il professore di latino mentre urla “Tutti fermi! Tutti zitti!” e al collegio i perfidi Stanislao e Geltrude somministrano una brodaglia preparata con gli scarti della settimana. Però Giannino non si sottomette e osa comportarsi come ciò che realmente è: un bambino.

ida accorsiMomo, un libro per ragazzi di genere fantastico, pubblicato nel 1973 è l'opera più famosa di Michael Ende (1) dopo La storia infinita e mette in evidenza alcuni degli aspetti della società attuale, come la mancanza di tempo. Il libro narra cosa accade a Momo, una bambina che non ha i genitori, non ha nemmeno una casa, ma vive in una piccola stanzetta scavata tra le mura di un antico anfiteatro alla periferia di una grande città.
Momo, il personaggio principale, ha circa otto/dieci anni, non ha doti soprannaturali, non è di una bellezza straordinaria né ha la grazia di una fata. Lei è speciale, semplicemente, per il suo modo di ascoltare la gente, molto profondo e attento, come nessuno al mondo.

ida accorsiIn questo racconto la fantasia di Gianni Rodari fa deragliare una storia di ordinaria fantascienza in una sarabanda di gioiose invenzioni, in un mondo dove tutto è davvero possibile, persino. che le armi atomiche si trasformino in gustose torte al cioccolato.
Questo è uno dei romanzi brevi di Gianni Rodari, nato nella scuola elementare Collodi della borgata del Trullo a Roma tra gli scolari della insegnante Maria Luisa Bigiaretti, un'opera meno conosciuta ma molto divertente e che, come in tutte le sue opere, non manca mai un significato importante per i bambini ma soprattutto per gli adulti.
Qui Rodari con questa torta gigante ridicolizza tutti problemi derivanti dalla politica del terrore, e presenta questa torta come soluzione risolutiva per sistemare la fame nel mondo. Una delle tematiche più care a Rodari, insieme al tema dell’educazione e della libertà, è soprattutto quella della pace. Nelle sue opere il pacifismo incontra quello che è il punto di vista dei bambini che da sempre sono i pacifisti per eccellenza: un messaggio di pace lanciato attraverso i bambini che con la loro ingenuità e spensieratezza mostrano al mondo come sia possibile vivere senza guerra.
Le torte al posto delle bombe! una critica ai grandi politici internazionali che non pensano ai problemi economici e sociali, ma al potere... un libro ancora oggi attualissimo.

ida accorsi“Non giudicare una persona dalla faccia”
«Ognuno dovrebbe ricevere una standing ovation almeno una volta nella vita, perché tutti "vinciamo il mondo".Auggie»
(R. J. Palacio,Wonder, Appendice)

Wonder è il romanzo d'esordio di Raquel Jaramillo, pubblicato nel 2012 (Giunti editore) sotto lo pseudonimo di R. J. Palacio (1) e uscito in Italia nel 2013. È risultato finalista al Premio Andersen 2014.
Il romanzo è ambientato a North River Heights, nel quartiere di Manhattan dove ci sono la casa e la scuola frequentata da August, Il protagonista soprannominato Auggie dove vive con la sua famiglia e la cagnolina Daisy.
È un bambino intelligente, sensibile, divertente e coraggioso, nato con una tremenda deformazione facciale, la sindrome di Treacher-Collins, si trova ad affrontare con coraggio il mondo della scuola, dopo anni di protezione da parte della sua famiglia.

ida accorsi“C'era una volta...
- Un re! - diranno subito i miei piccoli lettori.
No, ragazzi, avete sbagliato. C'era una volta un pezzo di legno. Non era un legno di lusso, ma un semplice pezzo da catasta, di quelli che d'inverno si mettono nelle stufe e nei caminetti per accendere il fuoco e per riscaldare le stanze.
Non so come andasse, ma il fatto gli è che un bel giorno questo pezzo di legno capitò nella bottega di un vecchio falegname, il quale aveva nome Mastr’Antonio, se non che, tutti lo chiamavano maestro Ciliegia, per via della punta del suo naso, che era sempre lustra e paonazza, come una ciliegia matura

ida accorsiC’era una volta e una volta non c’era: così inizia la storia di Vassilissa, e già da questa prima affermazione possiamo capire che le fiabe russe parlano di un “altro” mondo, che somiglia alla realtà e tuttavia non lo è. Prima, però, mettiamo in chiaro una cosa: nelle fiabe russe non esistono le fate, niente esserini celesti che trasformano zucche in carrozze o topi in cavalli.
Infatti in russo le fiabe sono chiamate skazka che significa “ciò che si dice”, quindi “storia”; niente a che vedere con l’inglese “fairy tales” o il francese “contes de fées”. Ciò non toglie che vi siano personaggi bizzarri, grandi cavalieri, ragazze straordinarie, principesse rane, uccelli di fuoco e… Perché favole e fiabe sono una cosa seria.
La Baba Jaga(1) è l'archetipo della donna selvaggia: la signora oscura dei boschi, è un personaggio della mitologia slava, in particolare di quella russa, e la figura immaginaria di un personaggio fiabesco.
Mostruosa vecchietta che possiede oggetti incantati ed è dotata di poteri magici In una serie di fiabe viene paragonata ad una strega, una incantatrice. Spesso è un personaggio negativo, ma a volte agisce in qualità di aiutante del protagonista. Oltre che nelle fiabe russe, si trova anche in quelle polacche, slovacche e ceche. Inoltre, si tratta di un personaggio dei rituali magici nelle vecchie terre slave della Carinzia in Austria, di un personaggio carnevalesco in Montenegro e di uno spirito della notte in Serbia, Croazia e Bulgaria

ida accorsiDopo decenni di principesse che aspettano il principe azzurro e il suo bacio salvifico, sembra che qualcosa stia cambiando. Persino da Disney se ne sono accorti e qualche anno fa hanno prodotto Frozen, storia animata in cui il personaggio principale, Elsa, è sì una principessa, ma deve imparare a salvarsi da sola e a gestire il proprio potere magico. Ad aiutarla non c’è nessun principe, ma la sorella Anna Frozen.
Un cambiamento abbastanza importante, anche perché era dai tempi di Mulan, la guerriera cinese che si travestiva da uomo per entrare nell’esercito, che un personaggio femminile così “forte” non faceva breccia nei cuori delle piccole spettatrici. Di mezzo c’era stata la principessa Merida di The Brave – Ribelle, il cui successo tuttavia non è paragonabile a quello di Elsa.
Anche nei libri per ragazzi e bambini si sta dando sempre più spazio a storie di personaggi femminili che si salvano da soli. E spesso si riscrivono le storie di figure storiche: regine, principesse, ma anche pittrici, atlete…
Negli Stati Uniti è stato pubblicato l’abbecedario Rad American Women: a ogni lettera corrisponde una donna americana che è entrata nella storia per le proprie gesta.
Si passa dalla musica allo sport, fino ai diritti civili.

 

ida accorsiPer la prima volta Rodari affronta il meraviglioso mondo della mitologia greca e racconta, con la sua consueta maestria, la storia di un personaggio femminile, l’eroina per eccellenza della produzione Rodariana, ovvero, la sua più completa rappresentante di un nuovo modello femminile, capace di lasciare il segno anche nell'immaginario dei lettori di oggi.
È un altro piccolo capolavoro dell'irrefrenabile fantasia di Gianni Rodari. (Atalanta . Atalanta Ed. Einaudi ragazzi (Storie e rime), 2009

ida accorsiNel precedente articolo avevo, solo brevemente, nominato Pippi Calzelunghe, la bambina protagonista dell’omonimo romanzo, dotata di una forza prodigiosa, che, per quarant’anni è stata l’unica eroina femminile, (oltre ad Atalanta di Gianni Rodari) non stereotipata della letteratura per ragazzi.
Conosciamola meglio, questa favolosa Pippi . Tutto iniziò settanta anni fa.
[…] “Ma che storia vuoi che ti racconti?” chiese Astrid Lindgren alla figlia Karin, che le rispose: “Raccontami la storia di Pippi Calzelunghe”.[…]

ida accorsiMarzia Camarda* nel suo libro " Una savia bambina. Gianni Rodari e i modelli femminili" ( edizione settenove-2018) analizza con grande rigore e precisione i ruoli di genere nell'opera rodariana nei più diversi ambiti: la rappresentazione del corpo (che passa attraverso aspetto fisico, sport, abbigliamento, controllo della donna), il lavoro, domestico e non, il matrimonio, i suoi fondamenti e la divisione dei compiti, la famiglia (il modello che offre, esaminando i ruoli corretti e sbagliati), i giocattoli e i modelli educativi.
Attraverso uno studio sistematico dei testi di Rodari è emerso un modello assolutamente dirompente rispetto a quello tradizionale (le bambine decorative “per bene”). Le donne e le bambine rappresentate nei suoi scritti sono intelligenti, curiose, fiere, coraggiose, sportive, emancipate e di tutte le età. Rodari è uno degli autori per l’infanzia più amati e conosciuti del mondo, eppure alcuni aspetti dei suoi lavori risultano ancora inesplorati. Uno di questi è senz’altro l’attenzione all’equilibrio di genere presente in tutta la sua produzione letteraria, ma anche una profonda sensibilità che si ispira a un ideale di uguaglianza sociale, mai conservatore rispetto al ruolo della donna nella società e nella famiglia.

ida accorsiTerminato il ciclo delle scuole elementari mia nipote Ilaria, con i compagni della fantastica 5B come saggio conclusivo hanno presentato nel teatro locale il Musical " Peter Pan e l'isola che non c è “.
Ammirevole è stato l’impegno, i ragazzi ce l'hanno messa tutta! Hanno provato e riprovato le parti, e così, alla soglia della scuola media, tra sogno e realtà, tra la spinta all'andare e la nostalgia del restare, cominceranno un nuovo cammino.

Proprio pensando a questa loro ed esaltante esperienza, questa volta, vi racconto la storia di come è nata la favola di Peter Pan, l’affascinante ed eterno bambino e il sogno dell’infanzia che non vuole finire!
“Seconda stella a destra e poi dritto fino al mattino”, rispose Peter. “Che indirizzo bizzarro!”. Peter era mortificato. Per la prima volta si rese conto che, forse, il suo era proprio un indirizzo bizzarro". (1)

ida accorsiCi sono due modi di vivere il tempo; due modi che difficilmente si parlano. Un tempo lento in cui però ogni istante acquista il suo significato e il suo senso e un tempo veloce in cui si è sempre in attesa di quello che avverrà dopo e tutto sfugge ai nostri occhi, in cui ci perdiamo il bello che scorre davanti a noi, siamo disattenti a ciò che ci capita intorno, alle persone, alle relazioni.
Alla lentezza come forme di ribellione è dedicata questa nota, perché:
"Ci vuole il tempo che ci vuole".

ida accorsiVedo un bambino. E' piccolo.
Ce l'avrà almeno un pensiero?
Sorpresa! Guardate voi stessi:
sta pensando il mondo intero.
("Filastrocche per tutto l'anno")
« Andrà lontano? Farà fortuna? Raddrizzerà tutte le cose storte di questo mondo? Noi non lo sappiamo, perché egli sta ancora marciando con il coraggio e la decisione del primo giorno. Possiamo solo augurargli, di tutto cuore: - Buon viaggio! »
(Il giovane gambero, "Favole al telefono")

ida accorsi« Non importa che sia nato in un recinto d'anatre: l'importante è essere uscito da un uovo di cigno. »
(disse Il brutto anatroccolo)
Hans Christian Andersen fu uno dei grandi autori di fiabe dell'Ottocento, un periodo di intensa ripresa, in tutta Europa, di pubblicazioni, di raccolte e di rielaborazioni di fiabe tradizionali, anche da parte di narratori colti. Andersen riutilizzò in modo originale il grande patrimonio delle fiabe nordiche, infondendo in esso un caratteristico spirito ottimista.
Hans Christian Andersen nasce il 2 aprile nel 1805 in una cittadina del regno di Danimarca, Odense. Lui stesso ha descritto la propria infanzia povera e fantasiosa in un'autobiografia dal titolo “La fiaba della mia vita”. Conobbe l'agiatezza e la fama: fu ricevuto nelle corti di tutta Europa e vide persino erigere un monumento in cui lo si rappresentava nell'atto di raccontare fiabe ai bambini. La sua città natale, gli tributò, sempre, grandi onori.

ida accorsiIl Giro del Cielo di Daniel Pennac, Una favola per parole e immagini, un racconto dolce, tenero, intenso, commovente.
Un padre racconta a una figlia, partendo dal ricordo di un'operazione d'appendicite subita dalla bambina, una storia che incanta e commuove grandi e piccoli per la sua straordinaria dolcezza. Una lettura che è un piccolo gioiello nel quale parole e immagini si fondono dando vita a un insieme assolutamente strepitoso!

ida accorsiE’ interessante capire perché Perrault, uomo di notevole e vasta cultura, si sia dedicato con tanta attenzione alle fiabe. Si era in pieno Seicento; in Francia regnava il re Luigi XIV, il famoso Re Sole, la corte di Versailles era all’apice del suo splendore con feste, eleganza raffinata, ricerca di una cultura al passo con i tempi, e proprio a corte cominciò a diffondersi la moda letteraria dei racconti di fate.
Così dame e gentiluomini di corte, letterati e studiosi, si misero a scrivere e a trascrivere fiabe.
L’opera di Perrault, uomo sensibile e colto, nasce e si sviluppa in questo clima.

ida accorsi"Un postino di Civitavecchia riesce a sollevare carichi pesantissimi, Un solitario Cowboy usa il pianoforte come arma, un mistero avvolge I promessi sposi di Manzoni... personaggi bizzarri, situazioni imprevedibili, finali a sorpresa: con grande bravura Rodari costruisce un percorso fra vizi e virtù del nostro vivere quotidiano, non intende dare lezioni né trasmettere nozioni, ma i mille fuochi d'artificio del suo linguaggio e l'ironia sui modi di dire convenzionali sono un costante motivo di divertimento e di riflessione per piccoli e vi assicuro, anche per grandi lettori"
"Novelle fatte a macchina" venne pubblicato nel 1973 per la casa editrice Giulio Einaudi. Il libro si presenta come una raccolta di novelle che, come lo stesso autore afferma, vennero pubblicate sul giornale “Paese Sera” di Roma.

ida accorsiSi può viaggiare negli spazi interstellari a bordo di un cavallo a dondolo? Si può capitare su un pianeta dove ogni giorno è Natale, le vetrine non hanno vetri, gli orologi sono commestibili ed hanno un sapore di cioccolata? Queste e molte altre sono le domande, le avventure bizzarre e divertenti raccontate qui nel pianeta degli alberi di Natale!
Il Pianeta degli alberi di Natale è un racconto natalizio scritto da Gianni Rodari. Edito in volume per la prima volta nel 1962  dopo essere stato pubblicato il 24-25 dicembre del 1959 sul quotidiano “ Paese sera”.
Questo racconto “lungo” è una meravigliosa favola fantastica, solo all’apparenza semplice, ma ricca di significati preziosi e nascosti, che si adatta perfettamente all’atmosfera dell’attesa natalizia.

ida accorsi“Ogni uomo è stato un bambino”... Dal “Sigaro di fuoco” al “Vaporetto”

"Bambini che pensano negli occhi
hanno l’inverno, il lungo inverno. Soli
s’appoggiano ai ginocchi per vedere
dentro lo sguardo illuminarsi il sole.
Di là da sé, nel cielo, le bambine
ai fili luminosi della pioggia
si toccano i capelli, vanno sole
ridendo con le labbra screpolate”...
Versi di Alfonso Gatto in “Inverno a Roma” (da “Osteria flegrea”).

ida accorsiQuesto racconto è rimasto inedito in Italia fino al 2012 quando è stato pubblicato, insieme ad altri, nel libro Racconti dal focolare.
Gli inediti di Charles Dickens. L'adattamento e la traduzione che leggerete sono di ©ViDi.
"C'era una volta, molto tempo fa, un viaggiatore che decise di partire per un viaggio. Era un viaggio magico, che all'inizio dovette sembrargli molto lungo e poi molto breve quando arrivò alla metà del cammino.
Viaggiò per qualche tempo, lungo sentieri bui e solitari, fino a quando incontrò un bel bambino. Il viaggiatore gli chiese: "Cosa fai qui, tutto il giorno?". E il bambino rispose: "Gioco, gioco e gioco. Vieni a giocare con me!". Così, giocarono insieme, per tutto il giorno e si divertirono un mondo. Il cielo era così azzurro, il sole così brillante, l'acqua così splendente, le foglie così verdi, i fiori così delicati, il canto degli uccelli così melodioso e le farfalle così belle che tutto fu fantastico.

ida accorsiRitenuto il primo scrittore di favole, anche se nel mondo greco, il genere della favola si presenta inizialmente nella forma dell'«aínos», nella similitudine, come mostra l'esempio offerto, nell'VIII secolo a.C., dall'Usignolo e lo sparviero narrato nelle Opere e i giorni di Esiodo - non a caso definito il primo favolista da Quintiliano, nel quale un usignolo, catturato dal rapace, cerca di impartirgli una lezione sul significato della giustizia.
Secondo i grammatici antichi, fu Archiloco, poeta di Paros, attivo nel VII secolo, il creatore della favola del tipo che sarà poi sviluppata da Esopo, ma restano scarsi frammenti, come frammenti di favola sono in Solone e in Simonide, del VI secolo.

ida accorsi[...] Ricordo la forza magnetica per me di una favola, il registro della voce che cambia in chi legge, e rammento come sentir raccontare anche di un cane mi portasse a un altro livello, non realistico, ma nemmeno confuso, sconnesso. Perché ai bambini piace attivare l'organo metafisico dell'immaginazione e superare ogni frontiera mentre il padre o la madre li portano con la parola da qualche altra parte: insieme si prende a volare, ma al tempo stesso si è protetti. Ed è importante perché la loro mente è ancora caotica, non sa bene la differenza tra sogno e realtà: con la fiaba si entra nei sogni e li si accompagna, allargando l'esperienza della vita. E poi una storia legittima quasi sempre un humour che non sempre è usato dagli adulti, un'altra dimensione in cui entrare e sorridere.
Crescere oggi è più dura, servono più favole” [...]”.David Grossman ( intervistato da Susanna Nirenstein per “La Repubblica” (18 novembre 2016).
Grossman è uno scrittore e saggista israeliano. È autore di romanzi, saggi e letteratura per bambini, ragazzi e adulti, i suoi libri sono stati tradotti in numerose lingue.