All’inizio dell’anno scolastico, anche noi nonni attendiamo con un pizzico di apprensione la riapertura delle scuole e coi nipoti partecipiamo ai preparativi e alle ansie legate alle incertezze che da sempre accompagnano l’inizio delle lezioni: si spera che i nostri nipoti sappiano impegnarsi in modo da superare le difficoltà dei programmi e soprattutto che sappiano stabilire buoni rapporti con i loro professori. Spesso quando si indugia in questi pensieri, la mente va ai tempi in cui anche noi andavamo ancora a scuola e aspettavamo di incontrare i nostri insegnanti o aspettavamo di conoscere quelli di nuova nomina. Nella scuola, da sempre, come in altri campi, è determinante il valore delle persone che si incontrano e che incrociano le nostre vite.
Già… gli insegnanti, i miei insegnanti…. Certo ormai saranno tutti nel mondo dei più, ma molti di loro vivono ancora, dopo oltre mezzo secolo, nei miei ricordi per quanto hanno saputo trasmettermi di amore per il sapere e di curiosità per il mondo attorno a me; con altri, invece, non sono mai riuscita a mettermi in sintonia con il loro modo di interpretare il loro ruolo e il loro ricordo è più sfuocato.
Il mio primo contatto con la scuola è stato abbastanza traumatico: non avevo mai frequentato la scuola materna e in casa si parlava solo il dialetto, perciò per me era difficile forse anche capire ciò che la mia maestra diceva. I primi giorni furono così tanto penosi che a un certo punto decisi che non sarei più tornata a scuola, visto che non sapevo fare nulla di quello che mi veniva richiesto. I miei avevano un bel dire che a scuola si andava proprio per imparare, ma per me era troppo umiliante non sentirmi in grado di tenere il passo con le mie compagne.
Una mattina puntai i piedi e mi ribellai con tanta forza che dovette intervenire mio padre, che, con uno sculaccione (l’unico che io abbia mai preso) pose fine alle mie proteste e, da quel momento, mi rassegnai al mio destino. Purtroppo, a rendere anche più ardua la mia situazione c’era anche il fatto che l’insegnante non sorrideva mai: aveva i capelli scuri ondulati come voleva la moda di quegli anni, aveva il rossetto sulle labbra, ma era pallida e non sorrideva. Solo più tardi capimmo il perché: una malattia latente la stava devastando e la portò a morire nel giro di pochi mesi; io ricordo ancora con quale angoscia partecipai, con tutte le mie compagne, a quel funerale sotto una pioggia battente in un freddo mattino di fine inverno.
Venne una supplente: era giovane, carina e molto dolce: non piansi più la mattina per andare a scuola e, anche se è rimasta con noi alunne solo qualche mese, l’ho sempre ricordata con affetto. Negli anni seguenti, quando la incontravo per le vie del paese, era sempre un piacere reciproco scambiare qualche parola affettuosa e qualche aggiornamento sulle nostre vicende.
Trascorsi i restanti quattro anni delle elementari con una maestra già esperta e innamorata della scuola che mi consentì di affrontare con profitto l’esame di ammissione alle scuole medie.
Fu lì, a Suzzara, che incontrai la professoressa di lettere che mi fece innamorare del latino: era alta e robusta, coi capelli corti, ricci e grigi non sempre perfetti e con lo sguardo severo dietro gli occhiali da vista; da tutta la sua persona emanava un’aria di autorevolezza tale che si era istintivamente portati ad ascoltarla con reverente rispetto. Le sue parole erano sempre misurate e le sue spiegazioni essenziali e puntuali: mi bastava ascoltarla per ricordare poi senza sforzo le sue lezioni. Alla fine del primo anno, l’ultimo giorno di scuola, appena entrata in classe, la sentii dire con mia sorpresa:- Catellani, venga alla lavagna (ci aveva sempre dato del lei)! -
Mi pareva strano: forse erano già stati fatti gli scrutini, perché questa interrogazione? La professoressa, con voce insolitamente dolce, mi fece fare qualche frase in latino alla lavagna, poi mi disse:- Mi raccomando, Catellani, continui sempre così!- e mi mandò al posto. Poco dopo ci disse che quello era il suo ultimo giorno di scuola e, dopo qualche raccomandazione di rito, accennò alle elezioni politiche che ci sarebbero state pochi giorni dopo: ce ne spiegò l’importanza per tutto il nostro paese e concluse dicendo:- Quando da grandi voterete ricordatevi di farlo in modo che sia possibile votare ancora una prossima volta e un’altra ancora..-
Forse allora non compresi fino in fondo il significato di quelle parole, ma intuii certamente che erano parole importanti, da scolpire nella mente e io non le ho mai scordate.
Fortunatamente fu sostituita da un altrettanto valido insegnante. Forse sulla quarantina, tempie brizzolate, sorriso timido e dolce, ma preparatissimo: convinse con le sue raccomandazioni i miei familiari a farmi proseguire gli studi e di questo gli sono sempre stata grata.
Alle superiori, si alternarono moltissimi docenti sulla mia classe della sezione G. Solo di alcuni ho un ricordo nitido.
Il prof. Amorth ci leggeva la Divina Commedia con grande trasporto: tutta la sua esile figura, quasi diafana, accompagnava la sua voce espressiva che ora declamava vibrante i versi del Sommo Poeta, ora li sussurrava con grande dolcezza alzando spesso lo sguardo per verificare se il suo uditorio dava segni di partecipazione.
Ricordo anche sempre con piacere don Mussini, l’ insegnante di religione: era entrato in classe, la prima volta, brandendo come un’arma un libretto intitolato: De tolerantia. E ci spiegò che il suo primo imperativo sarebbe stato sempre e comunque quello del rispetto delle idee di ciascuno. Credo che ognuno di noi alunni almeno una volta nei quattro anni di superiori si sia avvicinato alla cattedra per confidargli una pena, un dubbio, per chiedere un consiglio. Lui ascoltava sempre con serietà, con rispetto e rispondeva come avrebbe fatto un padre (o sarebbe meglio dire: come avrebbe dovuto fare un padre). Ed è per questo che alla cena post-diploma tutti gli abbiamo dedicato la canzone “O mein papà” suscitando in lui un sorriso in cui si leggeva un po’ di imbarazzo e un po’ di commozione.
Sono convinta che i ragazzi di tutti i tempi (anche quelli di oggi) abbiano sempre saputo riconoscere tra i loro insegnanti quelli che amavano il loro mestiere e non lo consideravano un triste ripiego per portare a casa uno stipendio non certo stellare.
Tra i ricordi dei miei insegnanti, spiccano alcune figure...
- Autore/rice Diana Catellani
- Categoria: Io e il computer di Diana Catellani