Nella zona in cui sono nata e cresciuta io, ci pensava Santa Lucia a portare i doni e questo pare sia dovuto a un’antichissima usanza antecedente l’adozione del calendario gregoriano. A quei tempi il solstizio d’inverno era anticipato al 13 dicembre (e da qui il detto non veritiero che dice che la notte di Santa Lucia è la notte più lunga che ci sia). Era l’inizio del periodo più freddo dell’anno e per i più poveri era anche l’inizio delle sofferenze più penose per scarsità di viveri e di possibilità di riscaldarsi. Allora molte delle famiglie più abbienti solevano distribuire cibo e generi di conforto ai meno fortunati e, nel tempo, è rimasta in alcune zone dell’Italia del nord la tradizione di portare doni ai più piccoli.
Oggi si incoraggiano i bambini a scrivere la loro letterina a Babbo Natale e li si guida a chiedere quello che poi effettivamente potranno ricevere. Quando ero piccola io, nella mia famiglia non si usava scrivere nessuna letterina, forse perché era assodato che non è che ci si potesse “allargare” tanto: Santa Lucia era povera e doveva accontentare tanti bambini anche più poveri di me.
Io ero la più piccola della famiglia e l’unica che ancora riceveva regali in quell’occasione.
La sera prima mettevo un recipiente con acqua e un po’ di fieno sul davanzale della finestra per l’asinello che aiutava la Santa a portare i doni.
La raccomandazione dei grandi era quella di dormire presto e di non cercare di vedere cosa sarebbe accaduto quella notte o niente doni.
Ricordo che tutto quel mistero mi metteva ansia e andavo a letto piuttosto agitata: - Chissà cosa avrei trovato svegliandomi? E se mi fossi svegliata mentre la Santa lasciava i suoi doni, cosa sarebbe successo?-
Un po’ per l’agitazione e un po’ perché si andava a letto prestissimo, mi svegliavo anche prestissimo mentre fuori nevicava abbondantemente e i vetri alle finestre erano abbelliti dai ricami del gelo.
Dormivo nella stessa grande stanza dove dormivano anche i miei genitori, che appena percepivano che mi ero svegliata, accendevano la luce e il mio sguardo correva subito ai piedi del letto.
C’erano di solito poche semplici cose: un libricino o una bambolina, un paio di mandarini (che allora erano piuttosto rari sulla nostra tavola), qualche caramella, qualche cioccolatino, un pupazzetto di zucchero, un croccante.
In particolare ricordo un libro di poche pagine, con la copertina lucida dove predominava l’azzurro; si intitolava “La storia più bella” e raccontava in poche frasi a piè di pagina la storia della nascita di Gesù. Io stavo imparando a leggere e l’ho sfogliato tantissime volte, gustando il piacere di poter decifrare da sola quelle scritte.
Era tutto così magico! Era l’unica occasione in cui si ricevevano regali e questo faceva sì che quelle semplici cose assumessero un valore straordinario: pensavo veramente che venissero da molto lontano e che si fossero materializzate lì sulle mie coperte per chissà quale magia. Erano il mio piccolo tesoro, che cercavo di far durare il più a lungo possibile.
Nella stanza faceva molto freddo e mia madre mi copriva le spalle con una mantellina di lana, mentre mi godevo quei momenti stando seduta sul letto.
Poi bisognava comunque andare a scuola e allora portavo con me qualche caramella da mangiare durante la ricreazione e il libro da mostrare alla maestra.
Infatti quella mattina in classe, l’insegnante non cominciava subito la lezione, ma passava tra i banchi chiedendo a ognuno cosa avessimo ricevuto in dono e io allora estraevo dalla cartella quel libro e ne ero molto orgogliosa.
Oggi i miei nipotini ricevono regali ad ogni piè sospinto da nonni e zii e, pur aspettando con ansia i doni di Babbo Natale, non potranno mai provare con tanta intensità lo stupore e la gioia che provavo io.
Noi bambini di allora avevamo molto poco, ma quel poco, atteso a lungo e a lungo desiderato, ci faceva sentire ricchi e appagati.
Santa Lucia e i doni
- Autore/rice Diana Catellani
- Categoria: Io e il computer di Diana Catellani