Eravamo circa a metà febbraio quando ci commuovevamo per le immagini che venivano da Wuhan: dai balconi dei palazzi la gente in quarantena si affacciava per gridare:- Forza Wuhan!!- mentre le loro voci rimbombavano nel silenzio irreale delle strade deserte.
Allora pensavamo ancora che il problema fosse lontano da noi, che non ci avrebbe mai riguardato, ma la settimana successiva ecco la scoperta di un paziente affetto dal virus nel Lodigiano, cui sono seguiti i primi servizi giornalistici allarmati: si cominciava a capire che presto anche da noi sarebbero stati presi provvedimenti drastici.
Il mio primo pensiero è stato: E se dovessi anche io restare in casa per molti giorni? Se dovessi ammalarmi? Così la mattina presto di sabato 22 febbraio sono andata al supermercato e ho comprato ciò che poteva rifornire il freezer che era quasi vuoto e altri generi a lunga conservazione: in caso fossi stata contagiata avrei potuto affrontare anche un lungo periodo di isolamento, avrei potuto resistere senza aver bisogno di chiedere aiuto. Subito dopo sono state annunciate le restrizioni col conseguente assalto ai supermercati, ma io ero già a posto e potevo pensare solo a come trascorrere queste giornate in solitudine.
29 febbraio- Dopo la prima ordinanza del governo nazionale e regionale che istituiva le zone rosse, si è levato un coro di proteste: come era possibile fermare l’economia delle zone più produttive del paese? In fondo non si trattava che di un’influenza!!! E sono volate parole grosse per un paio di giorni, poi i dati riguardanti le vittime del contagio hanno parlato chiaro e la zona rossa si è allargata a buona parte del Nord-Italia. Allora ecco tutti a dire che si era perso tempo!!!…è facile parlare col senno di poi.
Essendo state sospese tutte le attività cui partecipo di solito, fin dai primi giorni di forzata clausura ho ripreso vecchi lavori a maglia o di cucito lasciati in sospeso da anni, ho dedicato più tempo alla lettura, al sudoku e alle parole crociate, a fare lavoretti in casa di ogni genere: riordinare cassetti, eliminare i documenti scaduti nel piccolo archivio domestico, sistemare le piante nei vasi e nell’orto…. il tutto accompagnato dalle lunghe maratone televisive che raccontano l’evoluzione del contagio, l’eroismo di chi combatte negli ospedali, a rischio della propria incolumità e l’irresponsabilità di chi ancora crede che sia un affare che non li riguarda.
Provo una grande gratitudine per le tecnologie che riescono a mitigare il peso della solitudine: i social mi consentono di scambiare pareri e notizie con amici reali e virtuali, comunico con Skype con mia sorella in Thailandia, con Whatsapp parlo e vedo figli e nipoti lontani. Internet è poi una fonte inesauribile di argomenti di ricerca e vi ritrovo le canzoni, le poesie che mi hanno sempre scaldato il cuore.
3 marzo- Forse non ho mai cantato tanto in casa come in questi giorni: ripesco su youtube le canzoni che hanno accompagnato la mia giovinezza, canzoni intrise di ideali che oggi appaiono in tutta la loro ingenuità, ma che allora animavano noi giovani. Quelle canzoni, come quella che allego qui, oggi ci richiamano quei tempi, la speranza che ci riempiva il cuore in un mondo migliore e la volontà di impegnarsi per realizzarlo.
Ogni tanto mi ritrovo a parlare con me stessa per esorcizzare le mie angosce.
Questo virus ha travolto il nostro modo di vivere, la nostra convinzione di essere forti, padroni del nostro destino, di poterci crogiolare egoisticamente nel nostro benessere, ignorando le sofferenze di tanta parte dell’umanità. Ora ci riscopriamo deboli e indifesi di fronte a una natura che abbiamo saccheggiato e oltraggiato e che ora ci presenta un conto salatissimo.
10 marzo- Quanto durerà questa emergenza? Nessuno lo sa ancora…. Sapremo trarre una lezione da quanto sta accadendo? Sapremo ritrovare un’altra scala di valori che non sia quella dettata da un edonismo e da un egoismo individuale e collettivo che porta a mettere al di sopra di tutto il guadagno e il successo?
Sono domande cui non si può rispondere per il momento; ora dobbiamo accontentarci di resistere obbedendo alle disposizioni del governo.
20 marzo- È quasi un mese che dura questa clausura: sono uscita una volta sola per fare la spesa e una volta per una visita medica.
Ho avuto modo di stare in silenzio per molte ore e di rabbrividire ogni volta che si sentiva l’urlo di una sirena passare nella strada vicina, sia di giorno che nel cuore della notte.
In quei momenti, il mio pensiero andava a chi era in quell’ambulanza: prima di tutto a colui che veniva portato all’ospedale e poi a chi lo assisteva e a chi guidava il mezzo: tutti accomunati in una guerra del tutto nuova senza avere la certezza di aver tra le mani le armi più adatte.
Immagino quanto sia terribile trovarsi improvvisamente trasformati in una fonte di contagio, essere diventati tutt’uno col virus che ti porti dentro: oltre alle sofferenze derivanti dalla malattia, che dicono essere terribili, deve essere straziante doversi sentire un pericolo per chi ti sta vicino e per chi ti soccorre .