Chi trova un amico trova un tesoro, dice il proverbio. Ma il modo di intendere l’amicizia cambia man mano che si invecchia, almeno per me è stato così.
Da piccola, erano miei amici tutti i compagni e le compagne di gioco senza distinzione; nel tempo libero dai compiti e dalle lezioni, uscivo di casa e chiunque fosse nei paraggi con una palla, una corda, una bambola, un barattolo con le bolle di sapone era l’amico giusto per passare qualche ora spensierata. Certo però non riuscivo a considerare amici quelli che si mostravano prepotenti o maleducati.
Quando però sono cresciuta un po’, ho cominciato ad essere più selettiva e la mia cerchia di amicizie si è ridotta drasticamente: avevo solo due o tre amiche e compagne di scuola con cui mi incontravo più spesso per studiare, per giocare o per chiacchierare di tante cose: di spettacoli TV, di piccoli pettegolezzi, dei compagni di scuola e dei professori, delle prime simpatie verso i ragazzi più carini, che ci si accontentava di guardare da lontano.
L’amica del cuore è arrivata solo qualche anno dopo e allora appena potevamo ci incontravamo: bastava una breve corsa in bicicletta e andavo a casa sua. Ci accoccolavamo sotto un grande albero nel suo ampio giardino/frutteto e ci raccontavamo pensieri, speranze, sogni, progetti più o meno utopistici, paure per un avvenire che non sapevamo ancora immaginare. Parlando sgranocchiavamo qualche ciliegia, qualche albicocca, qualche “marustican“ ancora acerbo e piacevolmente scrocchiante sotto i denti, mentre la bocca ti si riempiva di acquolina. Forse è da quei momenti che mi deriva uno strano gusto per la frutta non troppo matura.
Poi la vita mi ha sradicato dal mio paese natale e da quelle mie amicizie giovanili, che ho perso di vista, presa dalle tante incombenze e dagli affanni di dovermi adattare ad una nuova vita, a nuovi luoghi, a nuovi incontri.
Allora sono subentrate le amicizie di vicinato e con le colleghe di lavoro. Ho sempre trovato modo di instaurare rapporti solidali con le mie vicine, alle quali affidavo i miei bimbi quando erano ancora troppo piccoli per andare alla scuola materna; spesso trascorrevamo piacevoli serate preparando e gustando insieme semplici cenette: era molto più semplice e più rilassante scambiarci questi inviti piuttosto che andare al ristorante e dover controllare che i nostri piccoletti non turbassero la quiete del locale.
Con le colleghe (in un periodo in cui ogni insegnante considerava la propria classe un suo piccolo regno esclusivo) in genere riuscivo a stabilire rapporti cordiali, ma solo con alcune, poche, ho potuto veramente collaborare anche per sperimentare nuovi modi di organizzare le nostre classi. Un prerequisito indispensabile era saper condividere non solo obiettivi e metodi di insegnamento, ma avere anche lo stesso approccio didattico, la stessa disponibilità a mettersi in discussione e a cercare il modo migliore di affrontare i problemi.
Ora che siamo in pensione, ci si incontra molto raramente eppure siamo rimaste in sintonia: anche se non ci si vede per mesi, ad ogni incontro si riallaccia il filo dei ricordi e dei sentimenti e ci si sente vicine come un tempo.
Leggevo qualche giorno fa (ed è stato proprio quell’articolo a suggerirmi queste riflessioni) che le amicizie tra donne sono molto diverse da quelle che si instaurano tra uomini: questi ultimi infatti hanno amicizie legate ad attività svolte insieme: gli amici del bar con cui si gioca a carte, gli amici del calcetto, gli amici delle escursioni in montagna… Per le donne invece l’amicizia è mettere in comune le proprie anime e per questo sono più durevoli (anche se non mancano le delusioni) e quasi terapeutiche.