“Massimo livello di allerta, bollino rosso, per l’ondata di caldo che ha colpito sette città d’Italia tra cui Genova: pericolo per tutta la popolazione! Bollino arancione in altre città: pericolo per le persone fragili, vecchi e bambini!”
Urla a gran voce il Ministero della Salute e detta le sue raccomandazioni.
"Estate sicura. Come vincere il caldo” è il documento elaborato dal Centro Nazionale per la prevenzione e il Controllo delle Malattie ( CCM) del Ministero.
Basta leggerlo e sei a posto.
Il documento descrive innanzitutto che cos’è un’ondata di calore, quali sono i suoi effetti sulla salute , quali sono i sottogruppi di popolazioni più a rischio e a chi dobbiamo rivolgerci in caso di bisogno, dopo di che fornisce un esaustivo elenco dei consigli generali a cui attenersi:
• Uscire di casa nelle ore meno calde della giornata ( evitare le ore comprese tra le 11 e le 18)
• Indossare un abbigliamento leggero e comodo
• Adottare alcune precauzioni se si esce in macchina
• Rinfrescare l’ambiente domestico e di lavoro
• Climatizzatori, occorre utilizzare alcune precauzioni
• Bere molti liquidi, mangiare molta frutta e verdura, non bere alcolici
• Fare pasti leggeri e porre attenzione alla conservazione domestica degli alimenti
• Usare il potere rinfrescante dell’acqua
• Conservare correttamente i farmaci
• Prestare attenzione alle persone a rischio
Credo che anche i più anziani, persino coloro che presentano qualche defaillance cognitiva, non abbiano nulla da obiettare su queste raccomandazioni e sul conseguente comportamento da tenere per affrontare in tutta sicurezza la calura estiva.
D’altra parte, dal momento che le stagioni sono sempre esistite, e che non è certo una novità che d’estate faccia più caldo che d’inverno, in equatore come al polo nord, mi sembra prevedibile quanto auspicabile che l’essere umano abbia avuto modo negli anni di pensare e attuare le misure precauzionali ritenute di volta in volta migliori per far fronte a temperature di tal fatta e tramandarsele di generazione in generazione.
Oggi, nell’era di internet, con la possibilità di far viaggiare le informazioni alla velocità della luce, tutto è più semplice, rapido, sicuro. Oppure no? Mi chiedo.
Dovessi rispondere a bruciapelo, mi verrebbe da dire che oggi il caldo fa star peggio di una volta, come se fossimo diventati meno tolleranti, meno capaci di mantenere l’equilibrio del nostro organismo, cioè l’omeostasi, nel corso delle variazioni climatiche ambientali.
Una risposta assurda, nell’era tecnologica, come se l’organismo umano tendesse all’involuzione anziché all’evoluzione.
Tale ragionamento mi lascia alquanto perplessa.
Ma andiamo avanti con la lettura dei consigli ministeriali e passiamo al capitolo più specifico che riguarda le sottopopolazioni a rischio.
Il primo punto è dedicato alle “Persone che assumono regolarmente farmaci” che, come ben sappiamo, sono in numero considerevole soprattutto tra la popolazione anziana ancor di più se istituzionalizzata.
Il CCM parla chiaro e raccomanda sempre e comunque di rivolgersi al medico “per qualsiasi malessere, anche lieve, che sopraggiunga durante una terapia farmacologica “anche se, precisa, “non tutti i farmaci possono avere effetti facilmente correlabili al caldo”. Prosegue specificando che “I medicinali che possono potenziare gli effetti negativi del caldo sono soprattutto quelli assunti per malattie importanti […]” e che “una sospensione, anche temporanea, della terapia senza il controllo del medico può aggravare severamente uno stato patologico.”
Il monito, senza mezzi termini, suona così, almeno alle mie orecchie: guai a chi riduce o sospende le terapie prescritte dal medico! La pena è garantita.
Come se non bastasse al paragrafo successivo dedicato ai pazienti ipertesi e cardiopatici, l’accento è posto sull’abbassamento della pressione arteriosa, favorito dall’afa, nel passare dalla posizione sdraiata alla posizione eretta. Il consiglio è quello di non alzarsi bruscamente, specie di notte, misurare la pressione arteriosa più spesso e, guarda caso, richiedere il parere del medico curante per eventuali aggiustamenti della terapia ( per dosaggio e tipologia dei farmaci).
I due ultimi paragrafi sono dedicati ai pazienti affetti da diabete e a quelli con insufficienza renale e dializzati. I primi, soprattutto se anziani, sono a rischio di disidratazione, per cui il consiglio consiste nell’aumentare la frequenza dei controlli glicemici e idratarsi adeguatamente evitando, ovviamente, bevande zuccherate e succhi di frutta. I secondi, invece, sono a rischio di sbalzi di pressione per cui devono prestare particolare attenzione al loro peso e controllare la pressione arteriosa. Il medico curante deve essere obbligatoriamente consultato. Per chi soffre di diabete esiste un ulteriore spauracchio: deve esporsi al sole con cautela, per evitare ustioni serie. Certo, potrebbe avere una ridotta sensibilità al dolore, spiegazione che non mi lascia affatto convinta.
Sintetizzando, per un motivo o per l’altro, chi più e chi meno, di una cosa piuttosto che un’altra, siamo tutti a rischio di sviluppare un qualche maleficio per la nostra salute dovuto alla calura estiva. Ma non vi preoccupate, declama la più alta istituzione in materia di prevenzione e controllo, con le nostre linee di comportamento, potrete avere un’estate sicura e vincere la battaglia contro il caldo.
Basta consultare il medico per qualunque sintomo, anche lieve, controllarsi la pressione arteriosa e la glicemia più frequentemente, non esporsi al sole se si è diabetici ed il gioco è fatto. Il caldo è KO. La tua salute è salva.
Semplice e garantito. Eppure io continuo a pensare che in questo ragionamento ci sia qualcosa che non quadra.
Ammesso che tra le sottopopolazioni di persone a più alto rischio, come gli anziani, gli ipertesi, i diabetici, i bambini, ci sia qualcuno che abbia possibilità di accesso online alle raccomandazioni sopraindicate, siamo proprio sicuri che queste contribuiscano a limitare i rischi e vincere la battaglia contro il caldo?
Qual è il messaggio che passa, al di fuori di quello medicalizzante che sottolinea la necessità di aumentare la frequenza dei controlli per poi chiedere l’adeguata soluzione al medico?
E’ questo l’empowerment del cittadino di cui si parla da anni con tanta enfasi?
Che sia perché non è chiaro il significato della parola che non ha ancora trovato una degna traduzione nella nostra lingua?
Il gruppo di lavoro interregionale promosso dall’Agenas (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) definisce così l’empowerment: “Processo dell’azione sociale attraverso il quale le persone, le organizzazioni e le comunità acquisiscono competenza sulle proprie vite, al fine di cambiare il proprio ambiente sociale e politico per migliorare l’equità e la qualità di vita.
Definizione di tutto rispetto, capace di lasciare a bocca aperta coloro che ne intravedono le salutari potenzialità. Competenza sulle proprie vite: non è certo roba da poco. Anche perché sembrerebbe proprio che accrescere le competenze delle persone sia in grado di incrementare, oltre l’efficacia e l’equità delle cure anche la sostenibilità dei sistemi sanitari.
Il buon senso m’induce a ritenere che il CCM qualche sforzo in più poteva farlo per promuovere l’empowerment, se non altro relativamente al punto 3 del ciclo per le buone pratiche al quale è stato dato il risonante titolo di “Trasferimento di saperi”.
Per lo meno per quanto riguarda i farmaci, assunti a bizzeffe soprattutto dagli anziani, come i diuretici e gli antiipertensivi, i cui effetti, nel bene e nel male, sono facilmente comprensibili anche dalle persone cognitivamente meno brillanti. Non mi sembra si possa definire empowerment far di tutte le erbe un fascio e delegare qualsiasi decisione al medico che, ammesso che sia rintracciabile in qualsiasi momento, interverrebbe tardivamente, quando i sintomi sono già comparsi. Altro che prevenzione! Altro che anticipazione di diagnosi!
Chi vive accanto ad un vecchio sa bene quanto sia difficile convincerlo a fare qualcosa di diverso dalle sue abitudini! Che sia sano di mente o no, poco importa, se sostiene che non patisce il caldo e che non suda e vuole tenersi tre maglie di lana sulla pelle a 40° gradi all’ombra, anche se ai vostri occhi appare grondante di sudore e traballante sulle gambe e con la testa riversa all’indietro, non lo convincerete mai che vestirsi troppo potenzia gli effetti della calura estiva. Al massimo potrà ammettere di sentirsi male, ma certamente, non è per il caldo, né per il sudore, né per la pressione bassa.
Che fare in questi casi? Sapere che con i diuretici, così come quando si ha la febbre alta o si suda molto, si perde acqua e anche un po’ di sale e che se la pressione arteriosa si abbassa troppo il flusso di sangue al cervello, che ne è il nutrimento, va a farsi friggere e possono verificarsi danni cerebrali, temibili e sgradevoli come quelli correlati alla pressione troppo alta, permetterebbe di prendere provvedimenti sensati da parte del care giver, anticipando la comparsa delle prime avvisaglie. Per esempio sospendendo o riducendo i diuretici e gli antipertensivi, spesso prescritti in generosa abbondanza. L’anziano continuerà a coprirsi come in pieno inverno, ma, per lo meno, non avrà assunto i farmaci che aggravano la situazione. Segnalare e chiedere conferma al curante del buon agire è sempre bene farlo, non c’è dubbio, ma in un secondo momento, non quando il patatrac è già avvenuto.
Esattamente l’inverso della raccomandazione Ministeriale.
Eppure dovrebbe essere ben noto ai professionisti della salute, come spiega l’amico Ferdinando Schiavo che “[…] Gli effetti di un’ipotensione sono quasi sempre ed esclusivamente un elemento negativo per gli anziani […] in molti casi alcuni danni emodinamici cerebrali sono silenti ovvero asintomatici, almeno fino a quando, accumulati nel tempo, si manifesteranno insidiosamente con segni di deterioramento cerebrale diffuso e quindi con sintomi e segni clinici a vari livelli, cognitivo (attenzione, memoria, soluzione di problemi complessi, alterazioni visuo-spaziali, ecc.), comportamentale (spesso apatia, depressione, irritabilità, ecc.) e motorio (disfagia, disequilibrio, parkinsonismo, cadute, ecc.).[…]”.
Insomma, mi pare ce ne sia abbastanza, per comprendere, anche da chi non è avvezzo alla terminologia e al ragionamento della saccente medicina moderna, che, considerato che sugli agenti atmosferici possiamo fare ben poco, occorre concentrarci sui danni evitabili, imparando per prima cosa a scegliere il minore dei mali. Non mi sembra peraltro difficile capire che una compressa, di qualsivoglia natura, una volta assunta, diventa impossibile eliminarla dal nostro organismo, se non per le vie naturali e col tempo che è necessario.
Non sarà che questo “star peggio” rispetto ad una volta sia dovuto al potere senza limiti attribuito alla medicina moderna e alla medicalizzazione della vita?
Ebbene sì, credo sia questo il punto sostanziale della questione.
Stiamo perdendo il senso delle cose, ci aggrappiamo ad una fede smisurata nella tecnologia e nella scienza di cui il medico rappresenta l’unico intermediario che ci porta a credere che a tutto ci sia rimedio, persino alla morte. E’ un invito alla lotta in cui le armi chimiche e fisiche di cui disponiamo, in primo i farmaci, frutto della ricerca più sofisticata, sovrastano di gran lunga il buon senso, la volontà e il coraggio. La relazione medico-paziente traballa tra i rimasugli del paternalismo, basato su quella fiducia che giorno per giorno si sta affievolendo, e un’autodeterminazione che stenta ad affermarsi. Perché non c’è autodeterminazione senza empowerment, non ci piove. Come possono le persone scegliere liberamente se non è dato loro il potere di conoscere le alternative e i limiti, onestamente, senza mezzi termini e ambiguità?
Dopo questa evasione “filosofica” il mio pensiero torna sulla terra e mi vengono in mente domande che le mie orecchie hanno sentito più volte, come queste: “Dottoressa, scusi, patisco il caldo e sudo parecchio e ciò mi procura un certo imbarazzo. C’è qualche farmaco per ridurre la sudorazione?” oppure “Ma è mai possibile che nel 2015, non sia stato ancora trovato un farmaco per evitare che mio padre non mi faccia più la pipì davanti al comodino?”.
No, care Signore, questi farmaci non esistono e spero davvero che non esisteranno mai. In compenso tante altri effetti dannosi dei farmaci si potrebbero evitare con semplici accorgimenti: un po’ meno arroganza, un po’ più di umiltà, un briciolo di onestà e di riflessione.
Dopo anni e anni di campagne contro l’ipertensione arteriosa, il diabete, l’ipercolesterolemia ed i rischi conseguenti in cui i fatidici numeri che limitano il range di normalità si sono sempre più ristretti ampliando progressivamente il numero di malati e farmaci su farmaci sono stati prescritti e pure esentati dal ticket, almeno per alcuni, per far rientrare nel fatidico range il maggior numero possibile di persone rendendoli di nuovo “normali” , ebbene, in questo clima, afoso e insostenibile, anche economicamente, cosa altro si può pretendere?
Certamente il paziente avrà più paura di avere 180 di pressione massima piuttosto che 100 o 118 di glicemia, piuttosto che 70. Ancor più difficile sarà “trasferire il sapere” alle persone che “fare di più non sempre ( anzi quasi mai) significa fare meglio”.
Mi fermo qui, ma molto avrei da dire su questo argomento. Spero solo che i colleghi del CCM, se per caso dovessero imbattersi in questo mio scritto, non “se la prendano a male”.