Quando Marisa, due settimane fa, è entrata per la prima volta nel giardino di Casa Morando, accompagnata dal figlio minore e dalla badante, era agitata, a tratti furiosa, fissava il cancello d’uscita, pronta a darsi alla fuga, tenendo ben stretta la sua borsetta. Del tutto inutili i tentativi di farla accomodare su una panchina, distrarla con gli animali da cortile che scorrazzavano avanti e indietro, spiegarle il motivo per cui si trovava in quel posto, mai visto prima, dall’aspetto insolito.
Si sarebbe dovuta fermare lì per qualche giorno per un guasto idraulico che le aveva allagato l’appartamento, fin tanto che gli operai non fossero riusciti a riparare il danno.
Così era stato concordato con i due figli, disperati ed avviliti per il fatto che la badante, presente solo nelle ore diurne, non riusciva più a contenere la vivacità di Marisa, abituata ad essere indipendente ed a fare tutto di testa sua. Marisa inoltre aveva iniziato a confondere le ore della giornata e, in piena notte, da sola e indisturbata, si vestiva e vagava per la città, perdendosi , così che, raccolta dai carabinieri, finiva in Pronto Soccorso un giorno sì ed uno no, per poi essere recuperata dai figli e ricondotta a casa. I medici le prescrivevano visite specialistiche e terapie che servivano solo a renderla ancora più insofferente alle limitazioni, ad abbassarle la pressione arteriosa e ad aumentare il rischio di cadere e rompersi un femore. Nella mente di Marisa, ovviamente, non rimaneva alcuna traccia di tutto ciò.
“È un agriturismo, sarà solo per pochi giorni, finché non hanno riparato il danno!” continuavamo a ripetere Maria Grazia ed io, invitandola ad accarezzare Vittoria, la gatta rossa, sdraiata placidamente sulla panchina e tenendo d’occhio Grace e Rosy, le oche, affinché non si avvicinassero nel timore che, col loro starnazzare, si potesse spaventare o, ancor peggio, la beccassero. Ma nulla poteva intimorire Marisa che, con timbro di voce sempre più minaccioso, rispondeva alle nostre affermazioni con la solita frase: “Quale danno, cosa è successo? Voglio andare a casa mia!” e tutto ricominciava da capo, il guasto alle tubature, l’allagamento, i tappeti rovinati, gli operai ecc. ecc. mentre il tempo scorreva implacabile. Eravamo tutti esausti e il fallimento nell’accoglienza stava comparendo con prepotenza.
Poi, d’un tratto, un operatore intervenuto in nostro soccorso, invitò tutti ad andarsene e, prendendo a braccetto la new entry, riuscì a condurla all’interno della residenza, le mostrò la camera da letto, le sistemò nell’armadio gli indumenti che aveva in valigia e la riaccompagnò nelle zone comuni.
La prima notte fu un disastro, ma, il giorno successivo, Marisa, del tutto ignara di cosa era riuscita a combinare, era quieta e sorridente: asseriva di aver dormito bene, si era vestita con cura indossando collana e orecchini, aveva fatto colazione e incuriosita dal nuovo ambiente, passeggiava all’interno e all’esterno cercando compagnia e chiacchierando con chi impattava, operatori o ospiti. Di tanto in tanto reclamava che non sapeva cosa fare e che doveva a tutti i costi tornare a casa. Così ricominciava la storia dell’allagamento, degli operai che ritardavano la riparazione, del figlio che non poteva venire a prenderla fino a che non si distraeva con qualche battuta ironica o complimenti sul suo comportamento suadente e sul suo gradevole abbigliamento. Qualcuno provò anche a chiederle un aiuto sullo svolgimento di qualche mansione domestica, ma rifiutò categoricamente: “Non ci penso nemmeno, io non sono una serva e i lavori, se mai, li faccio a casa mia”. Come darle torto?
Nell’arco di qualche giorno la casa, il figlio, la badante, la fogna, i tappeti inzuppati e quant’altro sono svaniti nei recessi più profondi della sua mente. Marisa ora è affabile con tutti, sempre sorridente, assertiva ad ogni proposta e totalmente autonoma, peccato che esprima la sua massima autonomia ed indipendenza durante la notte in cui le ore di vagabondaggio per i corridoi superano di gran lunga quelle in cui riesce ad addormentarsi. Dei farmaci prescritti dagli specialisti del sonno se ne fa un baffo.
Il 9 ottobre 2021 è stata una giornata speciale in Casa Morando: per la prima volta, dopo il lungo periodo di isolamento dovuto alla pandemia, gli amici del Rotary Lanterna di Genova sono tornati a farci visita. Emilia, Rossana, Massimo, Domenico e Rosavio hanno portato una ventata di allegria, oltre la tipica focaccia di Voltri, con o senza cipolle, che non è affatto paragonabile a quella del Tigullio. L’arietta fresca ha impedito di stare all’aperto, come speravamo, nonostante tutti fossimo in possesso di green pass , così siamo rimasti in palestra a festeggiare, scambiandoci chiacchiere e brindando alla salute e alla fine della pandemia.
Un’atmosfera di gioia che dimostra come si possa essere felici con poco. Perché la gioia è contagiosa e persino Maria Luisa, la più brontolona che lamenta sempre qualche disturbo che vaga dalla punta dei piedi al cuoio capelluto passando per i gomiti, è riuscita ad apprezzare la serenità che si respirava, quasi fino alla fine. Poi, sostenendo che si faceva troppo baccano, ha chiesto di essere portata in un’altra stanza.
Marisa, invece, si è dimostrata entusiasta: ha intrapreso con loro chiacchierate interminabili, si è espressa con battute ironiche sulla sua data di nascita denunciando che non ci sapeva fare con i numeri, ma che comunque non era più tanto giovane. Alla fine abbiamo deciso che, anno più anno meno, lei ed io eravamo coetanee, avevamo entrambe i capelli tagliati cortissimi e grigi ma soprattutto condividevamo il pensiero che la cosa più importate era apprezzare la vita per quello che offre.
Su questa affermazione perentoria concordo appieno: essere soddisfatti della propria vita aiuta certamente a tenere alto l’umore a qualunque età e ben poco importa, penso io, se qualcuno si è permesso di appiccicarti l’etichetta di deteriorato mentale.
Per una persona anziana che vive in comunità ( voglio evitare l’odioso termine “istituzionalizzato” che mi risuona come escluso dalla società) la soddisfazione può derivare dal gustare una fetta di torta al cioccolato, anche se non è indicata per chi soffre di diabete, ascoltare musica o vedere la televisione in salone, nonostante non sia previsto dal piano di lavoro, o passeggiare in giardino, sul terreno sconnesso quando l’equilibrio ed i riflessi si sono intorpiditi o annaffiare una pianta o commuoversi per il sorriso di un bambino o alla vista del tramonto. Perché le emozioni che ci riempiono la vita le prova anche chi non sa ripetere tre parole pronunciate a caso o copiare su un foglio dei pentagoni incrociati.
Non è forse vero che ognuno ha l’età che si sente di avere?
Su questa affermazione non accetto alcuna critica perché è ben chiara nella mia mente: la mia età anagrafica è superiore di quasi 20 anni rispetto alla media dell’età delle mie compagne di allenamento nella camminata - corsa, eppure , quando percorriamo le strade della città, all’alba, senza strafare, non mi sento affatto più vecchia e con la saggezza donatami dalla maturità, sono sempre soddisfatta della mia performance, qualunque essa sia. Il futuro non mi spaventa, anzi mi fa sorridere il pensiero di quando le mie amiche runner avranno la mia età e saranno costrette a spingere la carrozzina su cui io, novantenne, sarò stabilmente accomodata, con tanto di cinture di protezione. Sono certa che le inciterei ad andare sempre più veloci, con una scusa o con l’altra, per potermi godere la brezza del primo mattino, stando ben attenta a non tirare troppo la corda per evitare che mi lascino schiantare contro un muro alla prima discesa, con la scusa di non essere riusciti a trattenere la carrozzina.
Quindi mi associo al pensiero di Roberto Vecchioni che scrive, rivolgendosi a chi ha molti anni di meno: “Io ho 80 anni, ma vi assicuro che quando arriverete alla mia età non sentirete differenze. La differenza arriva e si sente solo quando non si vive, quando non si ama la vita, quando non si vuol più fare qualcosa di nuovo. Ma se si rimane ancorati e aggrappati alla bellezza dell’amicizia, dell’amore, della musica, del mare e della poesia, la vita regala sempre delle sorprese. Alla mia età si sentono gli acciacchi, certo, ma nello spirito non c’è differenza. L’amore non cambia mai. Quando uno si innamora, non importa l’età. Cambiano il riflesso fisico e la potenza sessuale, ma dal punto di vista emotivo forse l’amore è ancora più forte […]”
E, aggiungo io, quando la mente non ci sostiene, le emozioni che proviamo nel “qui ed ora” sono fondamentali per farci sentire vivi.
Poco importa se non sappiamo il giorno del mese o dell’anno o la stagione in cui siamo, o se confondiamo il primo piano con il piano terra, l’importante è come percepiamo il nostro cuore: triste o felice, avvilito o soddisfatto.
A questo proposito, la risposta di Marisa alla domanda “Come ti trovi in questo posto?” è inequivocabile.
“In questo agriturismo, ci si sta da Dio!” ha declamato col sorriso mentre alzava il bicchiere di frizzantino invitando gli amici al brindisi.
E siccome l’ appetito, come la gioia, è contagioso, nonostante qualcuno lamentasse di avere problemi nella masticazione, pizza e focaccia sono sparite dal piatto di portata in men che non si dica.
Grazie, amici del Rotary, alla prossima!
Grazie, Marisa, per insegnarci a gustare ogni momento della vita!