La pandemia da coronavirus, in Italia e nel mondo, ha svelato lo stato di salute generale delle nostre società, mettendo in evidenza le gravi fratture in cui abbiamo vissuto negli ultimi anni: l’ambiente, il sistema economico, la sanità. Lo sostiene Gino Strada, fondatore di Emergency ONG Onlus. “Quella che ci troviamo di fronte è una sindemia, come la definiva il medico antropologo Merril Singer: la concentrazione e l’interazione di due o più malattie o altre condizioni di salute in una popolazione, soprattutto come conseguenza dell’ineguaglianza sociale e dell’esercizio ingiusto del potere”. Aggiunge molte altre argomentazioni sulla spesa, sui tagli, sulle scelte politiche, tutti basati sull’assunto che “essere curati è un diritto universale ed un bene comune” e sostiene che “l’idea di investire e ricavare denaro sulle sofferenze altrui è inconciliabile col concetto di cura come diritto umano” (tratto da La nostra idea di Sanità).
Come dargli torto? Penso io. Anche il “Progetto Arco della vita”, nato nel 2011 per dare un’anima a Casa Morando, fonda le sue radici concettuali sul “rispetto dei diritti e delle prerogative inalienabili della persona, declamati a gran voce da tutte le organizzazioni internazionali, ma così difficili da raggiungere nei fatti concreti”.
Ebbene sì, bisogna ammetterlo, quando si parla di diritti, è pressoché impossibile venirne a capo perché, sul piano dell’adesione teorica, non c’è praticamente nessuno che osi rifiutare apertamente i diritti umani, in altre parole, il loro riconoscimento è universale, mentre sul piano concreto, i diritti umani continuano ad essere violati in mille modi, sotto gli occhi di tutti, ovunque nel nostro pianeta.
Sono parole che traggo dal libro della filosofa Jeanne Hersch dal titolo “I diritti umani da un punto di vista filosofico” la cui lettura, propostami da Elisa, una mia cara amica, mi ha indotto non poco a riflettere sul fatto che, se è facile riempirsi la bocca di questi diritti, soprattutto da parte dei decisori politici delle nostre sorti individuali e della comunità, molto più fallimentare è definirli giuridicamente ed assicurarne l’attuazione. Qui “cade l’asino”, direbbe nonna Rosina. Le contraddizioni concettuali, se non addirittura i paradossi la fanno da padrone e i diritti e i contrapposti doveri rischiano di rimanere svuotati della loro ragion d’essere.
Ma quale è il fondamento dei diritti umani? In che modo questo fondamento può essere nel contempo assoluto e plurale? Che significato hanno? Sono utili per il mantenimento della pace, la conquista della felicità, la produzione di beni? In che senso si può parlare di universalità dei diritti umani? Ma, in primo luogo: che cos’è quest’essere umano di cui si tratta di rispettare i diritti?
L’autrice, che ha diretto la Divisione di filosofia dell’Unesco cerca di dare una risposta a queste domande proponendo una digressione filosofica che, per sua stessa ammissione, può sembrare inutile o persino inaccettabile, quasi indecente. A me, invece, è risultata chiarificante. So poco e nulla di filosofia, lo ammetto, sono un medico e mi occupo della salute delle persone, ma rileggere l’art. 1 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani alla luce delle considerazioni della Hersch e calandomi nella concretezza del contesto sindemico odierno che ho modo di toccare con mano, mi ha stimolato altre domande, che definirei piuttosto inquietanti.
L’Art. 1 della Dichiarazione, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.
Di primo acchito si direbbe che questo enunciato è menzognero, infatti gli esseri umani non nascono affatto liberi, essendo i più dipendenti e i più incapaci tra tutti i piccoli di mammiferi e tanto meno uguali, avendo occasioni di sopravvivenza assolutamente disuguali. Sono però liberi e uguali in dignità e diritto, spiega la filosofa, non a livello della realtà empirica, dei fatti oggettivi, ma al livello virtuale di ciò che possono e devono pretendere, vale a dire della loro libertà responsabile e di tutto ciò che le è dovuto. La seconda frase dello stesso articolo, continua la Hersch, constata il loro dono (non ancora attualizzato) della ragione e della coscienza e conclude con un imperativo morale: “(essi) devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.
L’uomo, infatti, è un’anima e un corpo. In quanto corpo vivente appartiene alla natura, che è il regno della forza: “Tutto mangia tutto” e non conosce né il diritto né i diritti. Se fosse solo un’anima, l’uomo potrebbe disinteressarsi della forza e la questione di mangiare o non essere mangiato non si porrebbe. Ma in quanto è un’anima e un corpo vive la propria umanità precisamente nell’intersezione dell’una e dell’altro e la realtà della natura, dei dati di fatto, assume una importanza decisiva, in quanto ogni individuo ha bisogno di vivere per …, cioè si propone dei fini: vuole, desidera, opta, sceglie.
È proprio questa esigenza di attualizzare e conquistare, per quanto diverse ne siano le sue espressioni, quella che la Hersch definisce “libertà responsabile”: fonte, fondamento e senso dei diritti umani. Una esigenza che supera, trascende o persino contraddice i dati di natura, cioè i caratteri biologici dove vige la forza. In ogni essere umano esiste la possibilità di una decisione assoluta e questo punto, il più radicato, il più concreto è la fonte della universalità dei diritti umani. In sintesi ogni uomo vuole "essere un uomo” ed essere riconosciuto come tale. Se non lo è, qualche volta preferisce morire, in quanto è in gioco la libertà con il suo assoluto. Un assoluto che non ha nulla in comune con l’arbitrario e non resta “allo stato selvaggio”, ma che occorre mettere in atto nelle realtà relative e vincolanti, nel corso della storia, in ogni società, a tutti livelli.
Insomma, secondo la Hersch, l’art. 1 non potrebbe essere più giusto: grazie all’equilibrio dei termini, esso riconosce la condizione dell’uomo tra il fatto e il dovere, e il compito infinito dei diritti umani, tra il relativo del dato e l’assoluto dell’esigenza sino alla fraternità inaccessibile.
L’art. 2 afferma l’unità e l’interdipendenza di tutti i diritti e di tutte le libertà proclamati dalla Dichiarazione, rifiutando ogni eccezione, quanto a coloro che ne devono beneficiare. Aspira cioè a una portata assolutamente universale che protegge tutti gli esseri umani e ciascuno di essi di fronte a un genere umano che in realtà sarà sempre alla ricerca di deroghe e scuse. Mentre, empiricamente, non c’è da nessuna parte vera libertà, la Dichiarazione chiama a renderla possibile. Mentre, empiricamente, non c’è da nessuna parte uguaglianza, la Dichiarazione chiama a un compito sociale, politico, storico, quello di rendere uguali, e quindi di migliorare, nel corso della storia, le occasioni della libertà responsabile.
Ma quali sono questi diritti e quale è la loro esigibilità?
La filosofa ne evidenzia tre:
-i diritti elementari, civili e politici, i più facilmente esigibili perché condannano ogni costrizione fisica esercitata dalla forza contro la vita, le scelte, gli spostamenti, l’azione, l’espressione di un essere umano, rendendogli così impossibile l’esercizio della sua libertà responsabile. Tra queste evidenti costrizioni, il ricatto, seppur meno flagrante e diretto, è, agli occhi dell’Autrice, la più terribile delle violazioni dei diritti umani, in quanto s’insinua nel centro stesso della libertà possibile di un soggetto. Se egli cede, tradisce la sua essenza. C’è una libertà che si suicida.
-i diritti economici e sociali che tendono ad alleggerire le costrizioni della “natura” che pesano su ciascuno a causa dei bisogni vitali che deve soddisfare, per sé stessi e i suoi cari, pena la morte, e il cui onere, se assorbe tutto il suo tempo e tutte le sue forze, lo asservisce al corpo riducendo le possibilità di accedere alla propria libertà responsabile. Le società umane non forniscono a nessuno la libertà responsabile, ma è compito di ogni società accrescerne le occasioni. Dipendendo dal contesto di sviluppo, dall’ambiente, dalle risorse date, è evidente che la loro esigibilità è di gran lunga inferiore a quella degli altri diritti.
-i diritti culturali che riguardano più direttamente l’esercizio effettivo della libertà responsabile, ritenuti da alcuni meno necessari dei precedenti, ma, sostiene la Hersch, non è affatto così. L’uomo non diventa un essere libero e responsabile e non permette agli altri di accedere a questa libertà se resta solo e allo stato bruto, tale quale la natura l’ha fatto. Qualunque sia il luogo e l’ambiente in cui è nato, bisogna che abbia vissuto in un contesto culturale, che ne abbia imparato la lingua, che vi abbia ricevuto una educazione e una formazione. Per fare uso della sua libertà responsabile, ha inoltre bisogno di uno spazio ulteriore che si apra al di là del suo ambiente prossimo e gli permetta di orientarsi e di situarsi nello spazio e nella storia. La minaccia è il vuoto interiore, una sorta di opacità della coscienza, che si arrende al regno naturale della forza.
A questo punto i pensieri si ingarbugliano e mi compaiono immagini confuse e frammentarie, ma nel contempo chiare ed esplicite, che sono rimaste impresse nella mia mente in tanti anni di professione medica.
Rivedo lo sguardo attonito dei vecchi quando varcano la soglia di un luogo che non conoscono e non scelgono, alla ricerca continua di un qualcosa a cui aggrapparsi , rivedo i volti spauriti e rassegnati allo stesso tempo, di coloro che, all’ennesimo trasferimento, accedono nei centri Covid per essere isolati quanto basta, rivedo la tristezza mista a stupore dei famigliari quando apprendono che non potranno mai più vedere i loro cari che se ne sono andati senza nemmeno un saluto, perché il tempo non è bastato.
Mi chiedo se nell’invecchiamento o negli stadi avanzati della demenza, l’esigenza assoluta, che ha a che fare con la libertà e che è insita in ognuno di noi, si attenui fino a svanire del tutto oppure rimanga intatta nell’anima.
E poi mi immobilizzo di fronte ad una domanda cruciale: che senso ha appellarci ai diritti, sempre più numerosi, ma nel contempo sempre più vaghi, talvolta addirittura ambigui, per la loro stretta dipendenza da condizioni naturali, se poi è impossibile realizzarli in questo mondo?
Il mio pensiero ritorna al “Progetto arco della vita” e rileggo la frase che conclude la premessa: “L’anziano deve sentirsi utile, considerato, amato e rispettato per quello che è stato, che è, e potrà ancora essere e ha il diritto, che diventa il nostro dovere, di portare a conclusione il suo arco di vita nel modo migliore possibile. L’arco della vita che, come un arcobaleno, ha infiniti colori con infinite sfaccettature, diversi e indistinguibili al tempo stesso”.
Come è possibile attuare questo progetto nel contesto operativo? Mi chiedo con un certo imbarazzo.
Come conciliare i buoni propositi con le innumerevoli disposizioni e raccomandazioni alle quali attenersi, in nome della salute e sicurezza degli anziani, che limitano non poco le libertà di pensiero e di espressione? Disposizioni standardizzate non sempre applicabili in contesti specifici, talvolta addirittura inaccettabili che, in epoca pandemica, si sono moltiplicate a più non posso.
Sono presa dallo sconforto, ma non fa parte della mia natura rassegnarmi alla disfatta e abbandonare il campo.
Riprendo in mano il libro della Hersch e vado all’ultima pagina, la 102 dell’edizione Mondadori del 2020, dove l’autrice, dopo aver scritto così a lungo sui diritti umani e guardando all’attualità (e non era epoca pandemica) ammette di aver voglia di posare la penna.
Tuttavia, come tacere quando sembra che la radice interiore dei diritti umani rischia di atrofizzarsi?
Quella radice che dice “tu devi” o che dice “no, a nessun costo”, senza la quale i diritti perdono tutto il loro senso,” bisogna curarla, nutrirla, stimolarla, pur preservando in sé e negli altri la misura di una incarnazione sempre imperfetta e progressiva, da realizzare in molti modi e, in particolare, con l’ausilio di strumenti giuridici ispirati alla Dichiarazione universale”. Queste le sue parole conclusive.
Mi rincuoro e, con un pizzico d’orgoglio, sento crescere in me la forza per andare avanti, perché la minaccia della tabula rasa, dell’apatia, del vuoto di esseri umani che non sanno più chi sono è molto peggio della minaccia di sanzioni pecuniarie.
E rivolgo un invito, a tutta la società: fermiamoci un attimo a riflettere per ri-pensare al domani.
Ri-Pensare al domani
- Autore/rice Rosanna Vagge
- Categoria: I vecchi e il medico di Rosanna Vagge