Sono le 8,30 del mattino e gli ospiti di casa Morando sono accompagnati nel locale multiuso e invitati a sedersi un po’ più distanti gli uni dagli altri rispetto al solito, come è opportuno fare in questo periodo di pandemia, ma anche per evitare qualche sanzione di troppo.
Da mesi, ormai, oltre alle assillanti richieste di procedure, report, avvisi di vario genere, può capitare che spuntino, di punto in bianco, inviati speciali dell’ASL, della Protezione Civile o di qualche altro ente preposto al controllo, capaci di monopolizzare la mattinata per ispezionare centimetro per centimetro la residenza ed inventarsi modifiche strutturali, costose e inutili, per arginare la diffusione del coronavirus.
Infatti, nella fase 1, Casa Morando ha dovuto riservare due camere con bagno attiguo e allestirle come area Covid con tanto di porta in PVC, zona filtro, uscita esterna coperta da materiale in plexiglas come stabilisce la norma, fortunatamente mai utilizzate. Nella fase 2, cambiate le disposizioni regionali, la stessa area è diventata “buffer”, cioè cuscinetto, per contenere eventuali nuovi ospiti che, se anche non hanno avuto alcun sintomo di infezione ed hanno tampone e sierologia negativa, devono restare rinchiusi per altri 8 giorni, assistiti da personale dedicato e bardato da astronauta fino ad una nuova determinazione del tampone a conferma della negatività. Solo allora potrà accedere nei restanti locali e incontrarsi con gli altri ospiti.
Come si fa, mi chiedo, ad accogliere una persona in tale modo? Pazienza, i due posti disponibili rimarranno vuoti fino a data da destinarsi.
A parte queste considerazioni, un po’ ribelli, che con l’avanzare dell’età riesco sempre meno ad arginare, mi soffermo ad osservare lo sguardo dei miei vecchi ed, avvicinandomi ad uno ad uno, con il sorriso nascosto dalla mascherina, propongo loro una intervista per sapere come hanno vissuto questo periodo di reclusione e isolamento. Perché, anche se Maria Grazia, la Direttrice, ha fatto di tutto e di più per farli sentire a loro agio, il distacco da parenti e amici e la rinuncia alle uscite, solo per fare alcuni esempi, hanno provocato un netto cambiamento nelle abitudini degli ospiti di Casa Morando.
Franca, la gattara, quieta e misurata, è la prima a rispondere alla mia domanda ed esordisce così: ”Questo periodo l’ho passato molto male, tutto limitato, arrivare sempre col fiato sospeso. Oggi si sa tutto perché c’è la televisione, una volta non si sapeva, magari sarà successo lo stesso … chissà! Comunque non ci sono parole per descrivere quello che sta succedendo!”.
“Hai paura?” Aggiungo io. La risposta è netta: “Non ho mai avuto paura perché penso che siamo abbastanza protetti”.
È la volta di Carlo, allegro, intraprendente, solidale, capace di rasserenare le persone e di confortarle anche nei momenti più bui. Sembra smanioso di rispondere, ma, alla mia domanda sul coronavirus, i suoi occhi si rattristano e sentenzia: “Da un giorno all’altro non siamo più usciti, per la sicurezza della nostra vita. Non sono tranquillo, sono preoccupato, mi sento in bilico, non sono sicuro di niente, neanche adesso. Ho avuto paura perché quando non c’è tranquillità non si sta bene. Ricordo la guerra del ’40, il peggio, avevo 18-19 anni, più o meno, e anche allora non ero tranquillo, come adesso, anche se sembra che sia finito. Qui comunque si è vissuto abbastanza bene. La cosa che non mi è piaciuta è non avere parole per l’avvenire e vedere tutti mascherati è una cosa brutta. Anche molto spiacevole è sentire il numero dei morti alla televisione”.
Carla, entrata in residenza poco prima che scoppiasse il putiferio pandemico, sorride con ironia e dice: ”Questo periodo l’ho passato qui, che dire? Succede nella vita! Non è come la guerra, lì sì che eravamo limitati, eravamo giovani, soffrivamo. Ora siamo vecchi e le limitazioni si sentono meno. Io non ho affatto paura. La paura non serve, le cose se devono succedere, succedono e avere paura è del tutto inutile”.
Passo a Rita, 94 anni ben portati, una donna ancora in gamba che ha scelto di vivere in comunità perché a casa propria aveva ben poca compagnia e di tanto in tanto si lasciava prendere dalla tristezza e invadere da quel senso di impotenza che è poco gradito a chiunque. “Il periodo è stato brutto” dice scrollando il capo “soprattutto non si poteva uscire, fare le solite cose, vedere gente. La paura è tanta ma c’è anche la sicurezza di essere protetti”.
Pietro ascolta, in silenzio, le parole degli intervistati. Poi, ad un tratto, si alza dalla sedia aiutandosi con il bastone, si avvicina a me e scandisce sicuro di sé queste parole: “Io sono stato bene, come al solito. L’unica cosa che mi ha infastidito è di non poter andare a casa. Paura no, per niente”.
Tocca a Nina, verso la quale sento una profonda compassione per la triste vita che le è toccata. Ha perso l’unica figlia, grande concertista internazionale, a seguito di una malattia devastante a soli 35 anni di età e da allora ha annegato i suoi dispiaceri nell’alcol fino a non sapere più nemmeno che nome avesse. Dopo un lungo periodo di ricovero in Psichiatria, è entrata in Casa Morando e siamo diventate amiche e confidenti.
È sempre cordiale, premurosa, attenta alle mie mosse, ma mai invadente.
Ecco il suo pensiero: “Come prima cosa sono rimasta allibita, preoccupata, sconvolta. Ho avuto l’impressione che la natura volesse scombinare le cose. Un cataclisma! Non ho capito cosa stava succedendo, ma di una cosa sono certa: se fossi stata a casa mia sarei stata peggio. Mi stupisce anche che di fronte a certe tragedie c’è gente che rimane indifferente. Comunque non ho mai avuto paura, è successo, fa parte della vita”.
Nita è seduta su una sedia, in disparte, come sempre. E’ una brontolona, strapparle un sorriso è veramente cosa ardua. Gli acciacchi che indiscutibilmente si porta dietro non le permettono di essere serena, né tanto meno di dormire di notte e purtroppo le sue riferite allergie o intolleranze alle medicine e pure alle caramelle, proprio così, lasciano ben poco spazio alla terapia farmacologica, cosa che contribuisce ad amplificare la sua sfiducia e disistima nei confronti di tutto il personale sanitario, me compresa.
Esordisce sostenendo che il periodo l’ha vissuto male, senza poter vedere nessuno, soprattutto le persone e che forse a casa sua sarebbe stata meglio. Poi mi lascia di stucco perché prosegue dicendo: ”Mi sono però sentita protetta. Tutte le settimane la disinfezione dei locali. Paura? No, non ne ho avuta. Dicono che finirà. Tu ci credi?”
Annuisco, mentre i miei occhi continuano a esprimere lo stupore di aver udito con le mie orecchie una affermazione positiva di Nita nei confronti di casa Morando.
Mentre cerco qualche altro ospite in grado di darmi una risposta, mi imbatto in Luciana, che cammina avanti e indietro nel corridoio, appoggiandosi al corrimano. Di lei ho parlato nell’articolo dal titolo “Luciana, l’operaia di una catena di montaggio” pubblicato su Per Lunga Vita il 17 dicembre del 2017. La fermo e a bruciapelo le chiedo cosa ne pensa del coronavirus. Scoppia in una fragorosa risata, poi, come fa solitamente, si ferma davanti allo specchio, saluta con la mano la sua immagine riflessa e inizia a borbottare parole incomprensibili.
L’importante è essere sereni!! Penso io.
Inaspettatamente incontro la Sig.ra Bruna, di ritorno dalle sue puntuali uscite di primo mattino per fare la spesa, carica di sacchetti, che nessuno può toccare. Bruna, un ex insegnante di 93 anni, residente in Casa Morando da oltre 11 anni, a parte far la spesa nei negozi alimentari del circondario, si barrica nella sua camera e legge tre quotidiani ogni giorno, più libri di vario genere. Non si fida di nessuno, è schiva di tutto e tutti e, in questo periodo pandemico, dopo che è stata beccata in strada dalla polizia locale da sola e senza mascherina, non è stato affatto semplice spiegare alle forze dell’ordine le consolidate convinzioni della bizzarra vecchietta che guidano i suoi altrettanto insoliti comportamenti. Per fortuna la vicenda si è conclusa con un articolo dal titolo “Il caso” sul Secolo XIX che definirei senza infamia e senza lode.
Con non poca titubanza, chiedo a Bruna se posso rubarle pochi minuti per conoscere il suo pensiero su quanto sta succedendo e lei mi sorride, con aria furbesca e risponde così: ”Io questo periodo di coronavirus l’ho passato come al solito, sono sempre uscita. Spero solo che passi presto, però ho letto sui giornali del probabile ritorno del contagio in autunno. Speriamo di no”.
“Si ricorda che Lei ha avuto problemi con i vigili urbani quando l’hanno fermata?” Aggiungo io.
“Ah sì! Ma sa, i bambini sotto i 6 anni non portano la mascherina … io non la posso portare”.
“Ma Lei ha un po’ più di sei anni?” Replico io.
“Ma …. Faccia Lei !"Mi risponde ironicamente e se ne va sorridendo; poi si volta di scatto e puntando il dito contro di me afferma “Si ricordi! Io sono un codice 1721 e pure C3!”.
E già! E’ anche figlia di Napoleone Bonaparte e discendente degli Asburgo, e si è sempre rifiutata di assumere i farmaci che gli specialisti ritenevano opportuni per limitare le sue stranezze.
Menomale, penso io ! Se l’avessero inondata di Serenase o qualche altro antipsicotico, chissà se sarebbe ancora al mondo? Se sì, non avrebbe certamente la stessa grinta.
Ed ecco che mi viene in mente la parola “vitalità”, intesa come quella energia fisica e morale che ci spinge a restare al mondo e a comportarci ognuno a modo proprio.
Credo che il segreto di Casa Morando sia proprio il fatto di essere vitale: di permettere ad una persona di chiudersi in camera, di innaffiare i fiori, di accarezzare un gatto, di aiutare in cucina, di ballare, ridere scherzare, ma anche litigarsi, criticare, tenere i musi e tante altre cose. Credo anche che la vitalità possa essere contagiosa, così come il coronavirus.
Maria Grazia, la Direttrice, coadiuvata da Angela, l’infermiera, nonostante i ridotti stimoli imposti dall’isolamento, hanno fatto il possibile affinché gli ospiti si mantenessero vitali e li hanno sempre resi partecipi di quanto stava accadendo nella convinzione che il senso di responsabilità non appartenga solo ai sani di mente e che questo sia indispensabile per affrontare nel migliore dei modi le situazioni di emergenza. Dal lavaggio delle mani, al distanziamento fisico, alla misurazione della temperatura, alla spiegazione del perché non si potevano fare entrare parenti e amici, ogni procedura ed ogni aggiornamento venivano esplicitati in modo semplice e chiaro ottenendo la collaborazione dei più, se non di tutti.
Le risposte lo testimoniano, hanno riconosciuto il difficile periodo, hanno avuto paura, chi più chi meno, ma non se la sono passata troppo male e soprattutto si sono sentiti protetti.
Il loro vissuto è per noi la migliore gratificazione.
Grazie, Maria Grazia, Angela e tutti gli operatori!
Un grazie di cuore anche al Presidente Francesco e ai consiglieri che ci permettono di realizzare ciò in cui crediamo.