Era il 19 maggio 2017 quando l’alluvione interruppe bruscamente al km 9 la faticosa corsa della maratona “Arco della vita” ed ora, finalmente, dopo una serie infinita di discussioni sul da farsi, è arrivata la notizia che si può riprendere a correre e che il percorso raggiunto sarà considerato valido.
Quasi 3 anni di stallo non è poco, gli anni passano e la forza viene meno, come è naturale che sia, ma l’esperienza ci induce a non cedere e la passione di perseguire l’obiettivo ci spinge ad andare avanti, non importa se a piccoli passi.
Sono successe tante cose in questi anni, il maltempo ha causato frane, smottamenti di terreni, esondazioni e le mareggiate hanno distrutto parte del litorale causando danni per milioni di euro. Come se non bastasse la corruzione e la disonestà dell’animo umano ha permesso che crollassero ponti e si sgretolassero le pareti delle gallerie provocando morti inaccettabili in un’epoca in cui la parola rischio è sempre sottolineata in grassetto per qualsiasi azione quotidiana si abbia da compiere.
La mia regione, la Liguria, è stata particolarmente martoriata da eventi drammatici, in primo la caduta del ponte Morandi, che l’hanno letteralmente messa in ginocchio isolandola sempre di più dalle zone limitrofe. La fragilità del territorio è ben nota per varie ragioni: la sua forte pendenza, tra mare e monti, la ricchezza di corsi d’acqua che si restringono a mano a mano che si avvicinano alla foce o sono addirittura tombati, chiusi o sacrificati in poco spazio, le sciagurate scelte urbanistiche e l’assenza di manutenzione, anche quella piccola del vecchio contadino che quotidianamente andava a lavorare con la zappa.
E già! Una regione fragile come i suoi abitanti, che sono tra i più vecchi del pianeta.
È urgente porsi delle domande e il mio pensiero va subito all’amico antropologo Guerci, promotore insieme ad altri autorevoli esponenti, a Genova, la città più vecchia d’Europa, di un manifesto “Per una nuova cultura dell’invecchiamento - una questione cruciale dell’oggi”, nato dall’esigenza di considerare il profondo mutamento demografico in atto non solo come parametro statistico ma come ripensamento complessivo del vivere civile, delle relazioni tra le generazioni, dell’organizzazione della città.
“I giovani sono socialmente invisibili e la vecchiaia è rimossa, ricondotta a stereotipi negativi e pregiudizi o alla logica medico-assistenziale. Un grande spreco sociale. È tempo di cambiare passo. Genova può essere laboratorio di una nuova cultura della vecchiaia e del rapporto tra generazioni per l’intero paese”.
È questa, in sintesi, l’esortazione del manifesto, redatto al termine di un ciclo di incontri tenutisi a Palazzo Ducale nel febbraio – marzo 2017, aperto proprio dal Prof. Antonio Guerci con la conferenza dal titolo “Anziani ieri, oggi, altrove”.
I dati statistici parlano chiaro, come riportato nelle diapositive sottostanti, già presentate nell’articolo “Ora tocca a noi” pubblicato su questo stesso sito: in Liguria la percentuale di ultraottantenni è superiore di quasi 3 punti rispetto alla media nazionale e questa fascia di età è l’unica destinata ad aumentare.
Con quale atteggiamento si sta affrontando questo mutamento?
L’antropologo esprime le sue riflessioni con queste parole che non posso che condividere:
“La discrepanza tra essere e fare in una età in cui questa identificazione non regge più, manda in crisi un sistema socio-economico-politico che si preoccupa di trovare strategie per ovviare la vecchiaia in tutte le sue manifestazioni, dimenticando ciò che la natura ha predisposto da quando esiste Homo sapiens. Esistono due prospettive intersecantisi (e talora divergenti e persino conflittuali) sulla vecchiaia e sull’invecchiamento: quella legata ad una progressiva medicalizzazione del soggetto che invecchia, implicita in molti aspetti dell’approccio occidentale, e quella legata al tempo di vita, tipica di molte culture non occidentali e che emerge oggi come questione pressante nel cuore stesso dell’occidente. L’intento è di favorire la mescolanza e lo scambio di queste due prospettive, nella convinzione che se l’umanesimo dell’approccio tradizionale rischia l’inefficacia per carenza di mezzi, la potenza tecnica della biomedicina occidentale rischia la cecità per carenza di fini”.
Si impone, senza alcun dubbio, un cambiamento di passo che, per quanto declamato a gran voce, stenta ad arrivare.
Anzi, si va dalla parte opposta, considerato che la Regione Liguria preme per un sostanziale aumento del numero di posti letto nelle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA) e per la conversione delle Residenze Protette e Comunità alloggio in RSA, in grado di assistere (o forse, in modo più appropriato, dovrei dire contenere) persone il cui punteggio AGED supera il fatidico numero 16. E, vi assicuro, che ci vuole molto poco ad essere etichettati NAT (Non Autosufficienti Totali): è sufficiente sostenere di essere a Casarza Ligure, anziché a Chiavari, o di sbagliare il mese o non ricordare l’anno o provare a varcare la porta della struttura per fare una passeggiata. Divergenze di opinioni sul bisogno assistenziale che fanno davvero la differenza sulla qualità della vita.
Perché la scala di valori che ognuno di noi mantiene inalterati nel tempo, che spesso non corrisponde ai bisogni cosiddetti primari, è indiscutibile e va rispettata. Il principio che sta alla base della nostra maratona “Arco della vita” si basa proprio sulla necessità di avvicinarsi al problema in modo diverso, “pensare e costruire diversamente l’ambiente, puntare sull’educazione all’ambiente e al cambiamento delle proprie condizioni e abitudini di vita, proporre animazione e “terapia” del tempo libero pensata individualmente. Occorre creare, per ogni realtà, un modello organizzativo proprio, che, facendo tesoro di quanto la vasta letteratura in materia ci insegna, sappia tradurre in termini applicativi queste informazioni e sappia adattarle al contesto ed alle esigenze individuali investendo soprattutto sulle risorse umane, nel rispetto dei diritti e delle prerogative inalienabili della persona, declamati a gran voce da tutte le organizzazioni internazionali, ma, così difficili, da raggiungere nei fatti concreti”.
Creare, abbiamo usato questa parola, alla partenza della maratona avvenuta nel 2011, forse in parte inconsapevolmente, una parola importante perché il segreto del successo consiste proprio nell’imparare ad essere creativi.
Lo sostiene Ken Robinson nel suo libro “Out for our minds” dove, al capitolo "Tutte le scuole sono uniche” cita l’esperienza di una scuola nel distretto scolastico di Tulsa a Jenks che ha stretto una insolita collaborazione con il Grace Living Center , una casa di riposo situata dall’altra parte della strada. Precisamente un gruppo di bambini ha frequentato quotidianamente la classe istituita nell’atrio della struttura per anziani e gli ospiti ascoltavano il programma di lettura e leggevano a loro volta insieme agli alunni. I risultati ottenuti erano notevoli. Oltre il 70% dei bambini era in grado di leggere ad un livello superiore rispetto a molti altri nello stesso distretto approcciati con metodo tradizionale e questo era attribuito, oltre che all’ insegnamento personalizzato, anche alle loro relazioni con i membri della casa di riposo. Da parte degli anziani, si era ottenuta una drastica caduta del l’utilizzo dei farmaci , avendo essi acquisito un nuovo motivo per vivere, uno scopo e una nuova energia per le loro giornate.
Ed ecco le riflessioni dell’autore a questo proposito: “Nella maggior parte dei sistemi educativi le persone sono separate per età. Questo progetto mostra cosa può accadere quando le generazioni vengono riunite e ristabiliscono alcune delle loro relazioni tradizionali. Come per tutte le innovazioni autentiche, i risultati, sono una sorpresa, non una previsione. Piccoli cambiamenti creativi in qualsiasi scuola possono avere grandi benefici. Grandi cambiamenti possono avere, corrispondentemente, drammatici risultati”.
Con lo stesso spirito Casa Morando, nonostante la sosta obbligata, ha perseguito il suo impegno di dare dignità di vita ai suoi residenti rendendo il più possibile concreta la parola inclusione, nel pieno rispetto dei principi enunciati dai fondatori.
Nata nel 1942 come Istituzione Pubblica di Assistenza e Beneficienza (IPAB) per consentire un ritiro decoroso ai vergognosi, cioè a coloro che, pur essendo di buona famiglia, per varie ragioni erano caduti in disgrazia, nel 2004, a seguito dell’evoluzione normativa è stata ricondotta al regime giuridico di diritto privato, con denominazione “Fondazione Antonio Morando ed il nuovo statuto, redatto in conformità con gli atti originari, specifica che la Fondazione opera con autonomia statutaria e gestionale perseguendo scopi di utilità sociale e a tal fine si impegna a:
a) gestire una residenza protetta per anziani autosufficienti di sesso femminile e maschile;
b) ampliare l’utenza della Residenza Protetta
c) istituire un centro diurno o comunità alloggio per anziani;
d) rivolgere l’assistenza anche ad anziani provenienti dal circondario, zone limitrofe ed altre regioni.
Fin qui tutto bene, ma nel 2009 il Comune di Chiavari rilascia un certificato di autorizzazione al funzionamento della struttura come Residenza Protetta per N. 25 posti letto per anziani non autosufficienti totali. Un errore o una semplice distrazione, non è dato di sapere, inconciliabile con gli scopi statutari e con la normativa vigente che parla chiaro e specifica che le residenze protette sono dedicate all’accoglienza di persone autosufficienti o con solo lievi disabilità. Un certificato che, già nel percorso precedente, ha dato adito a interpretazioni ambigue, per non dire vere e proprie strumentalizzazioni e che, nonostante ripetuti tentativi, non siamo mai riusciti a modificare.
Malgrado ciò, Casa Morando, ha aperto le sue porte offrendo un “servizio casa”, così lo chiamiamo, per chi vuole trascorrere le giornate in compagnia, mangiare un pasto caldo e godere delle nostre continue occasioni di festosità.
Fra le diverse attività proposte e realizzate negli anni, dall’ottobre scorso alcuni ospiti, in genere in numero di 4-6, vengono accompagnati ogni martedì mattina nel vicino Istituto Maria Luigia e partecipano alla lezione di musica insieme ai bambini della Scuola Materna.
Il risultato, in linea con quanto asserito da Robinson, è davvero sorprendente , per tutti, e l’emozione che si avverte è talmente forte da lasciarci a bocca aperta. Se dovessi cercare una sola parola per descrivere il clima che si genera , direi ARMONIA . La commistione dei movimenti caotici e imprevedibili dei bambini con quelli lenti, misurati e sofferti dei vecchi , il sottofondo musicale interrotto qua e là dalle voci acute e sottili dei piccoli e da quelle forti e dissonanti dei nonni, le risate, i gridolini, le raccomandazioni delle maestre, dipingono l’ambiente con un armonioso accostamento di colori contrastanti, creando una atmosfera serena capace di arricchire i nostri cuori. Una armonia paradossale dove, chissà, le anime senza età si incontrano, ballano, ridono, si scambiano emozioni.
Nonno Carlo, il più gettonato per la sua simpatia, che ha stretto con Sebastian un forte legame, ha perso completamente la memoria breve, ma ogni martedì, alle 9,30 in punto è in perfetto ordine, pronto per salire in auto e andare a lezione di musica. Perché lui è in pensione, ma gli piace dare vita e andare dai bambini è vita. Queste le sue parole.
Lo stesso fanno Nina, Sara, Franco, Pietro e Nita che non dimenticano un solo istante dei momenti vissuti alla scuola d’infanzia.
Si tratta probabilmente di memoria emotiva che opera in sedi differenti del cervello rispetto a quella razionale ed è più intensa, selettiva e incancellabile, nonostante il decadimento cognitivo.
Chissà perché questa memoria non venga mai considerata?
Ora si parte, dobbiamo riprendere un passo sostenuto senza esagerare. Non manca molto al ristoro del Km 10 e dobbiamo arrivarci in buone condizioni per acquisire ulteriore energia e, a testa alta, battere i pugni affinché Casa Morando diventi a pieno titolo una Residenza Protetta aperta.