«Con il procedere del viaggio ho scoperto quanto sia complesso il tema della semplicità e non ho certo la pretesa di aver risolto la questione […] la complessità e la semplicità sono da me concepite come importanti l’una rispetto all’altra, in quanto necessariamente rivali […] la questione fondamentale è:
dove sta l’equilibrio?»
Scegliere un libro tra le centinaia di copertine esposte sugli scaffali è una questione d’istinto, un’immagine catturata con la coda dell’occhio, un frontespizio evocativo e, cosa più importante, il titolo. Ci sono intere sezioni dedicate a saggi e manualistica, con scintillanti frasi motivazionali.
Poi arriva un libriccino di modeste dimensioni: Le leggi della semplicità, di John Maeda [1], designer e teorico dell’informatica, insegnante al MIT. Se sei tra quelli che considerano la semplicità un valore aggiunto, se ancora ti piace scrivere una lettera a mano con carta e inchiostro, se apprezzi la genuinità delle cose e la spontaneità dei gesti, senza fronzoli né eccessi, un titolo così solletica la tua curiosità. Se poi sei appassionato di grafica, architettura, design e per di più stai scrivendo una tesi che indaga gli aspetti più profondi dell’abitare, guardando il mondo dal punto di vista degli anziani e delle loro fragilità, allora quel libro viene sicuramente a casa con te. Solo dopo inizi a riflettere sulla singolarità di quell’accostamento di vocaboli: leggi e semplicità. Partendo dal presupposto che una cosa semplice si spieghi da sé e si sviluppi con una certa naturalezza, com’è possibile che ci sia bisogno di spiegarla e di farne addirittura delle leggi? E’ forse il prezzo da pagare per il biglietto dell’accelerazione, viaggiare veloci seguendo i fili dell’iper connessione porta inevitabilmente a sacrificare qualcosa.
In Italia considerano la mia generazione, i nati a metà degli anni Ottanta, come i primi figli del computer. Di cose ne abbiamo viste, con una velocità che oramai non ci impressiona più. C’è chi osanna questa frenesia con assoluta devozione e chi cerca un equilibrio, ricordando con nostalgia il suono di un vinile o il sudore dei pomeriggi d’estate passati in cortile a giocare a nascondino.
«La tecnologia ha reso le nostre vite più piene, allo stesso tempo siamo diventati spiacevolmente “pieni”».
Non possiamo pensare che semplicità e complessità siano valori dicotomici, dove l’una equivalga all’assenza dell’altra. Nei concorsi di bellezza, tra le proprie qualità si annovera sempre l’essere semplici, come valore aggiunto di purezza incontaminata. In altre circostanze il termine può deviare negativamente in “semplicistico”, sinonimo di banale e riduttivo. Come sempre tutto dipende dai punti di vista, sconfinando nei dedali della filosofia e della semantica.
Il primo capitolo del volume, nel titolo originale, accosta il termine semplicità a quello di “sanity”, la cui traduzione rimanda a concetti di equilibrio, giudizio, ragionevolezza, salute e sanità mentale, riassunti nell’edizione italiana come “serenità” (contrapposta allo stress cui la vita moderna ci sottopone quotidianamente). Maeda ci offre dieci leggi e tre chiavi di lettura che, sebbene nate per il design, la tecnologia e il marketing, possiamo facilmente estendere ad ogni aspetto della nostra vita. Centotrenta pagine organizzate in dieci micro saggi, uno per ogni principio. Seguendo la stessa suddivisione dell’autore ho deciso di affrontarle in tre parti, un viaggio a puntate che analizza la semplicità con crescente complessità. Questo stesso ossimoro ci fa capire come il tema sia di natura tutt’altro che semplice. Le interpretazioni possono seguire vari campi di applicazione, io le ho declinate all’analisi di ambienti domestici a misura di Alzheimer. Al giorno d’oggi sembra che la semplicità sia direttamente proporzionale all’età: nonostante gli adulti cerchino continuamente di semplificare la realtà ai piccoli (rimanendo spesso spiazzati dalla loro capacità di comprensione) dobbiamo pensare all’enorme quantità di informazioni, di quel complesso sistema chiamato mondo, che devono immagazzinare. Su bambini e ragazzi la tecnologia, infarcita dalle storie di fantascienza e supereroi, esercita un richiamo irresistibile, oltre al senso di superiorità che ne deriva. Man mano che si cresce si cerca l’efficienza, la velocità, l’immediatezza di risposta, per fare sempre più cose e sempre meglio. «Il mercato è pieno di promesse di semplicità […] per rendere priva di complicazioni l’esperienza del consumatore». Stare al passo con i tempi diventa un lavoro. Invecchiare porta a guardare le cose con occhi diversi, non c’è più il bisogno estremo di primeggiare, ottimizzare o essere di tendenza, si apprezzano di più le cose per ciò che sono. Anziani e tecnologia non sono affatto agli antipodi, ma ho visto molti regali di Natale restare chiusi nelle scatole, da un semplice spremiagrumi elettrico al telefono senza fili. La verità è che non sempre ciò che permette di semplificare un’azione è percepito come semplice e, cosa più importante, desiderabile.
Data la numerosità dei deficit cognitivi di una malattia come l’Alzheimer, potremmo essere tentati di cercare risposte e soluzioni esclusivamente nella domotica. Pensiamo al dispositivo che permette, per sicurezza, l’accensione della luce non appena il paziente posa il piede giù da letto. Si tratta di un comando dal funzionamento “dolce” a intensità graduale e crescente fino al livello massimo, percepito come qualcosa di naturale. Immaginiamo, invece, che la risposta alla medesima azione (scendere dal letto) sia la riproduzione immediata della sua canzone preferita, l’accensione violenta di una luce ad alta intensità, l’apertura della porta del bagno e lo scorrere dell’acqua dal rubinetto. Probabilmente chiunque di noi, nel dormiveglia prenderebbe paura, figuriamoci una persona dall’apparato percettivo così fragile e delicato. Tecnologia e domotica sono ausili utili e fondamentali, specie nell’accezione della sicurezza, ma soprattutto per questo tipo di utenza vanno utilizzati con moderazione. Il rischio è di generare ulteriori traumi tali per cui l’ambiente, da Casa accogliente, si trasformi in una “trappola moderna”.
LEGGE 1 - RIDUCI
“Il modo più semplice per conseguire la semplicità è attraverso una riduzione ragionata” [2]
QUANTO PUOI RENDERLO SEMPLICE?
QUANTO DEVE ESSERE COMPLESSO?
Il modo più diretto per semplificare un sistema è eliminarne delle parti. Ciò che chiediamo a un prodotto o un servizio è la facilità di utilizzo, ma ciò che lo rende ancor più desiderabile è che ci fornisca diverse opzioni, secondo le necessità del momento. Tutto allora si riduce a una valutazione costi-benefici. L’esempio dell’autore è quello dei tasti del telecomando, in particolare per il lettore DVD. Basterebbe il tasto di riproduzione: un unico pulsante dalla semplicità estrema. Ma noi vogliamo di più. Chi segue i continui aggiornamenti di oggetti e sistemi freme nell’attesa dell’ultimissima versione migliorata, laddove per migliorata si intenda con più prestazioni. Tornando al telecomando…se avessimo bisogno di interrompere la visione perché suona il telefono? Se non avessimo capito una battuta o volessimo rivedere la scena? Se dovessimo rimandare la seconda parte a un altro momento? Ogni tasto è un “se” cui dare risposta pratica. Ancor più comunemente pensiamo al “dramma” della valigia da comporre per le tanto agognate vacanze. Spesso si torna a casa con tre quarti degli indumenti intonsi, mai usati e ancora perfettamente piegati nel proprio nascondiglio originale. Vestiti per ogni potenziale occasione, fenomeno atmosferico e, ahimè, umore. A cosa saremmo disposti a rinunciare? E soprattutto, quel sacrificio quanto pesa rispetto a una semplicità di utilizzo? Il dubbio è amletico. Ci vuole equilibrio e ragionamento, tanto ragionamento.
RIMPICCIOLISCI – NASCONDI – INCORPORA [3]
RIMPICCIOLISCI
La tecnologia, negli ultimi decenni, ci ha abituati al rimpicciolimento progressivo, potrei portare l’esempio di telefonini e macchine fotografiche ma si sta notando una certa inversione di tendenza. Pensiamo allora alla musica, dal giradischi, al mangianastri che ho consumato negli anni Novanta, fino ai moderni e minuscoli lettori da tasca. Rendere un oggetto piccolo, snello, leggero e sottile, magari dalle forme arrotondate significa ingannare le apparenze e indurci a credere che sia modesto, anche nell’uso.
NASCONDI - Cosa nascondere e Dove metterlo?
Quando non si riesce più a ridurre, si nasconde ciò che si usa di meno. Il classico coltellino svizzero da cui si estrae letteralmente la singola funzione desiderata, lasciando le altre nascoste, ne è l’esempio calzante. Ricordiamo poi lo sportellino che celava le funzioni meno utilizzate dei vecchi telecomandi, il design “a conchiglia” dei primi telefonini, fino ai più moderni meccanismi di scorrimento e scomparsa o i cosiddetti “menù a tendina” delle interfacce software.
INCORPORA
Dopo aver ridotto e nascosto è necessario incorporare nell’oggetto un senso di valore e qualità, la cui percezione diventa un fattore critico nella scelta tra il meno e il più. «Lo styiling è una forma di inganno che, sebbene fuorviante, può costituire un attributo desiderabile dal punto di vista del consumatore.»
In Casa Alzheimer tutto questo equivale a una valutazione ragionata delle informazioni che l’ambiente trasmette. Occorre una semplificazione calibrata, senza togliere al malato piccoli compiti quotidiani che lo facciano sentire capace e autonomo, consentendogli il più a lungo possibile la padronanza dello spazio. Alcuni interventi, anche se in buona fede, possono sortire effetti negativi, privandolo in anticipo di abilità non ancora compromesse ed esacerbando le difficoltà. Un corretto quantitativo di stimoli aiuta la persona a riconoscere se stessa e i propri cari, l’iperstimolazione disorienta provocando ansia e stress, mentre una deprivazione sensoriale non aiuta la memoria né focalizza l’attenzione, causando depressione, apatia o accentuando il vagabondaggio. Dobbiamo perciò eliminare gli oggetti non strettamente necessari in modo da rendere l’ambiente visivamente meno “carico”. In ogni stanza il malato deve poter porre l’attenzione su qualcosa lasciatogli a disposizione, soprattutto fotografie e ricordi che stimolino le capacità residue. Ciò che non possiamo eliminare va nascosto, sfruttando i deficit percettivi che la Demenza impone. La persona non deve in alcun modo sentirsi “prigioniera” o avere la percezione che vi siano luoghi “proibiti”, ma deve semplicemente essere messa nella condizione di ignorare e non distinguere accessi ed elementi pericolosi, attraverso l’uso del colore e la dissimulazione. Ad esempio i deficit visivi riducono la capacità di distinguere sfumature vicine e toni freddi, perciò se si vuole evitare l’accesso a determinati locali basterà dissimulare la presenza stessa della porta, rendendola dello stesso colore della parete, finiture comprese e, se non basta, camuffandola ulteriormente con soluzioni creative (stampe o mobili giorno). Quadri elettrici e comandi impiantistici possono essere nascosti da pannelli mobili dello stesso colore del muro. Attraverso tendaggi sempre tono su tono possiamo occultare gli infissi, spesso fonte di agitazione per la vista di un altrove irraggiungibile o per la paura dei riflessi che si generano sui vetri al calar del buio.
LEGGE 2 – ORGANIZZA
“L’organizzazione fa sì che un sistema composto da molti elementi appaia costituito da pochi”
RIDURRE = COSA NASCONDERE? DOVE METTERLO?
ORGANIZZARE = COSA VA CON COSA?
Avere a che fare con un numero limitato e determinato di categorie, anziché con la moltitudine dei singoli oggetti e quindi di scelte, fa apparire la quotidianità molto più semplice. «Dare struttura al caos fino a quando si è in grado di seguirne i principi organizzativi». Un primo esempio ci è dato dall’organizzazione dei nostri cassetti: posate, biancheria, cancelleria, attrezzi…
ORDINA – ETICHETTA – INTEGRA – PRIORITÀ [4]
Occorre anzitutto suddividere i nostri elementi in categorie dal nome riconoscibile, cercando di ridurne il numero integrando gruppi simili e classificandoli secondo priorità. Lavorare con un numero inferiore di oggetti, concetti e funzioni fa apparire la vita più semplice.
Organizzare permette di rendere oggetti e vani riconoscibili e accessibili. Per una mente che non riesce più a ricordare e ad apprendere è necessario e anzi fondamentale un ambiente che suggerisca costantemente se stesso, le proprie funzioni e i propri contenuti, allo scopo di mantenere il più alto livello di autonomia e conseguente autostima. Organizzare significa dare risposta concreta alle esigenze che mutano, con l’invecchiamento e con l’insorgere di patologie invalidanti come l’Alzheimer. Occorre agire su diversi livelli, dal generale al particolare. Una corretta disposizione dell’arredo è fondamentale per l’orientamento, la libertà di movimento e la sicurezza stessa. Una sistemazione troppo articolata, che ingombra quasi tutto lo spazio e intralcia la circolazione con troppi incroci, induce confusione e disorientamento aumentando le probabilità di caduta. Bastano piccoli spostamenti per ottenere una migliore e più “pulita” lettura della stanza e agevolare il vagabondaggio in sicurezza, mentre per suggerire percorsi e funzioni delle varie parti della casa si possono utilizzare parole e disegni, secondo le capacità residue.
LEGGE 3 – TEMPO
“I risparmi di tempo somigliano alla semplicità”
«Quando le interazioni con beni e servizi sono veloci, l’esperienza viene percepita come semplice.»
Un malato di Alzheimer vive in una completa dispercezione spazio tempo, non capisce concetti come “tra due ore, domani o la settimana prossima”, né i tempi necessari all’accensione e al funzionamento di determinati dispositivi che, già ora, mettono a dura prova la nostra pazienza. Maeda ci porta l’esempio del comando “shuffle” di riproduzione casuale dei brani musicali, l’invenzione che ci permette di rinunciare alla scelta, lasciando che sia la macchina a farlo per noi. La capacità di scegliere implica una complessa elaborazione dati, inibita dalla progressiva degenerazione cerebrale, scatenando così paura, frustrazione e aggressività. Ad esempio un armadio pieno di vestiti di ogni stagione può dar vita a confusione e combinazioni stravaganti, sarà meglio mantenere solo i vestiti consoni a quel periodo dell’anno o, nelle fasi più avanzate, solo gli indumenti da indossare quel giorno.
Semplificare la quotidianità e risparmiare tempo porta benessere non solo al malato, ma anche al caregiver in una migliore e più fluida gestione della casa, aumentando le potenzialità della giornata e le interazioni possibili.
«Tutti i migliori designer strizzano gli occhi quando guardano qualcosa.
Strizzano gli occhi per vedere oltre i dettagli, per trovare l’equilibrio tra il tutto e i particolari.
Vedrai di più vedendo di meno.»
Il piccolo Milo (protagonista di “Quello che gli altri non vedono”) sarebbe d’accordo...
“Less is more”
- Mies van der Rohe -
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[1] John Maeda, graphic designer, artista visivo e teorico dell’informatica, insegna Media Arts Sciences al Massachussets Institute of Technology, MIT. Alcune delle sue opere fanno parte delle collezioni permanenti del San Francisco Museum of Modern Art e del MOMA di New York. Nel 2004 ha dato vita al MIT SIMPLICITY Consortium presso il Media Lab, cui hanno aderito una decina di partner aziendali, allo scopo di definire il valore economico della semplicità nelle comunicazioni, nella sanità e nel gioco
[2] Maeda ha personalmente curato la rappresentazione grafica di ogni Legge, icone evocative composte da pochi “pixel” in un immediato bianco e nero. Si rimanda al suo sito
[3] Nell’originale inglese la prima Legge viene espressa attraverso il gioco di parole “SHE’s always right”, letteralmente “lei ha sempre ragione”, ma quel SHE non è il comune pronome femminile, bensì l’acronimo di Shrink (rimpicciolisci), Hide (nascondi), Embody (incorpora)
[4] Altro gioco di parole nel titolo originale “SLIP: what goes with what?”, letteralmente “SLIP: cosa va con cosa?” In lingua originale il termine significa “talloncino” o “errore” ed è qui usato come acronimo di Sort (ordina), Label (etichetta), Integrate (integra) e Prioritize (stabilisci le priorità).