|
Numero monografico questo di PLV. È dedicato a colui che si prende cura di un famigliare, il caregiver. Abbiamo colto un evento già annunciato: la giornata del caregiver del 21 maggio, indetta a Carpi dal Consorzio “anziani e e non solo”. Con il consenso dei promotori ci siamo inseriti e abbiamo dato il nostro apporto di riflessioni, contributi, pareri di esperti, ma soprattutto di familiari, rappresentanti di associazioni, persone conosciute per le energie spese in questa direzione.
Rapporto ISTAT 2011. Dalle donne oltre due miliardi di ore (due terzi) all’aiuto. Nonne sovraccariche. Sempre più soli gli anziani con gravi limitazioni. |
Abbiamo svolto, con il suo consenso, un’ intervista immaginaria a Clara Sereni, nota scrittice, ma anche promotrice di attività e sperimentazioni, partendo dalla propria pesante esperienza personale.
Abbiamo inserito video di caregiver e video che aiutano i caregiver, trailer di documentari professionali , recensioni di libri .
Uno scopo unico: come aiutare chi si prende cura di una persona.
Vorremmo che questo fosse l’inizio perché anche in Italia, come in Europa, ci fosse una giornata pubblica ufficiale dedicata a chi si prende cura di un famigliare.
Chiediamo ai singoli e alle associazioni, ai siti web e ai portali coinvolti, che ricevono il nostro messaggio, di farsi portavoce e sostenitori di questa nostra campagna e di coinvolgere le organizzazioni a loro associate o da loro conosciute. Inviateci la vostra adesione. Grazie
Rapporto ISTAT 2011
Riprendiamo alcuni passi significativi del Rapporto ISTAT riguardante il welfare, il peso del lavoro di cura sui caregiver, la maggioranza donne.
...........................
Le donne
..................Nel corso del 2010, a fronte della stabilità dell’occupazione femminile, è peggiorata la qualità del lavoro delle donne: è diminuita, infatti, l’occupazione qualificata, tecnica e operaia ed è aumentata quella a bassa specializzazione, dalle collaboratrici domestiche alle addette ai call center. Lo sviluppo dell’occupazione femminile part time nel 2010 è stato poi caratterizzato dalla diffusione dei fenomeni di involontarietà, mentre è andato ampliandosi il divario di genere nel sottoutilizzo del capitale umano: il 40 per cento delle laureate ha un lavoro che richiede una qualifica più bassa rispetto al titolo posseduto.
La crisi ha ampliato i divari tra l’Italia e l’Unione europea nella partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Il tasso di occupazione delle donne italiane, gia inferiore alla media europea tra quelle senza figli, è ancora più contenuto per le madri, segno che i percorsi lavorativi delle donne, soprattutto quelli delle giovani generazioni, sono segnati dalla difficoltà di conciliare l’attività lavorativa con l’impegno familiare. ………….
In un Paese in cui le politiche di conciliazione lavoro-famiglia non hanno ancora realizzato la flessibilità organizzativa caratteristica di altri paesi europei, alle difficoltà che le donne incontrano nel mercato del lavoro si associa lo squilibrio nella distribuzione dei carichi di lavoro complessivi. La divisione dei ruoli nella coppia e l’organizzazione dei tempi delle persone, infatti, risentono di una forte asimmetria di genere, che interessa tutte le aree territoriali e tutte le classi sociali. Per una donna, avere un’occupazione e dei figli continua a tradursi in un sovraccarico di lavoro di cura, mentre per gli uomini il coinvolgimento nel lavoro familiare mostra una contenuta progressione nell’arco degli ultimi venti anni, soprattutto per quello orientato alla cura dei figli.
Per far fronte alla difficoltà di conciliare il lavoro e la famiglia (circa i tre quarti del lavoro familiare delle coppie è appannaggio della donna), confermando una tendenza documentata a partire dalla fine degli anni Ottanta, le lavoratrici riducono il tempo dedicato al lavoro familiare, operandone una redistribuzione interna, diminuendo l’impegno nei servizi domestici e dedicando più tempo ai figli. Al crescere dell’età della donna le differenze di genere nei carichi di lavoro familiare si acuiscono ulteriormente. Anche in età anziana, quando si potrebbero creare i presupposti per una maggiore condivisione del lavoro familiare per effetto dell’uscita dal mercato del lavoro di entrambi i partner, le differenze di genere restano forti e sostanzialmente stabili nel tempo: in altri termini, concluso l’impegno per il lavoro retribuito, gli uomini vanno in pensione, dedicandosi quasi a tempo pieno ai propri interessi, mentre le donne continuano a occuparsi del partner, della casa e degli altri membri della famiglia.
Le condizioni socio-economiche delle famiglie
Potere d’acquisto, consumi e deprivazione materiale
La leggera ripresa del reddito disponibile delle famiglie osservata nel 2010 (+1,0 per cento) non è riuscita a compensare né la riduzione del 2009 (-3,1 per cento), né
la contemporanea variazione dei prezzi, determinando una contrazione del potere d’acquisto delle famiglie dello 0,5 per cento. Di conseguenza, la stazionarietà degli indicatori di deprivazione materiale e la leggera ripresa dei consumi si associano a una diminuzione della propensione al risparmio, che si attesta, per le sole famiglie consumatrici, al 9,1 per cento, il valore più basso dal 1990.
L’aumento del reddito disponibile nominale è stato trainato essenzialmente dal reddito da lavoro dipendente e dagli altri utili distribuiti dalle società e quasi società; è stata ancora negativa la dinamica del reddito da lavoro autonomo, da capitale e dalla gestione delle piccole imprese. Inoltre, il reddito delle famiglie è stato sostenu- to dalla redistribuzione operata dal settore pubblico: in particolare, sono cresciute le prestazioni sociali in denaro, soprattutto le liquidazioni per fine rapporto di lavoro pagate dalle amministrazioni pubbliche, le indennità di disoccupazione e gli assegni d’integrazione salariale. Nel corso dell’anno è proseguita la regolarizzazione o il rimpatrio delle attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero dalle famiglie e sono aumentati i contributi sociali netti versati da queste ultime agli enti di previdenza e ai fondi pensione.
Nel 2010 il 15,7 per cento delle famiglie ha presentato tre o più sintomi di de- privazione: si tratta di oltre nove milioni di persone. I profili familiari e territoriali che caratterizzano le famiglie deprivate sono del tutto simili a quelli rilevati negli an- ni precedenti: famiglie numerose, con tre o più figli, abitazione in affitto, residenza nel Mezzogiorno. Gli indicatori di deprivazione hanno mantenuto una sostanziale stabilità rispetto all’anno precedente, sia perché a essere colpite sono state soprattutto le famiglie che già nel 2009 erano considerate deprivate, sia perché la perdita del lavoro ha interessato maggiormente i giovani che vivono ancora con i genitori. La condizione di deprivazione materiale, anche grave, è però aumentata tra le famiglie in cui la perdita di occupazione ha riguardato la persona di riferimento o il partner, interessando più spesso individui cha avevano un lavoro stabile e qualificato che apportava un contributo economico rilevante alle risorse familiari. Inoltre, è cresciuta la quota di famiglie costrette a contrarre debiti o a fare ricorso alle proprie risorse patrimoniali (16,2 contro 15,1 per cento nel 2009).
Le reti informali di aiuto
Anche quest’anno, come nel precedente, due ammortizzatori sociali hanno fatto sì che la deprivazione delle famiglie non aumentasse: la cassa integrazione, che ha protetto gli adulti capifamiglia (che continuano a essere la maggioranza dei cassaintegrati), e la famiglia stessa, che ha protetto i figli che hanno perso il lavoro. In questo contesto le donne continuano a essere un pilastro fondamentale del sistema italiano di welfare, facendosi spesso carico di compiti altrove svolti dalle strutture pubbliche, con effetti non trascurabili sull’ammontare di lavoro che grava su di esse, soprattutto se sono occupate, sul tasso di partecipazione femminile e, in generale, sul funzionamento della società: infatti, le donne erogano due terzi degli oltre tre miliardi di ore destinate in un anno dalla rete informale all’aiuto di componenti di altre famiglie.
Al di là delle difficoltà verificatesi nel periodo della recessione, la rete di aiuto informale mostra segnali di sofferenza di natura strutturale: negli ultimi venticinque anni, a fronte di un aumento della quota di popolazione che presta aiuto ad altre famiglie (dal 20,8 per cento del 1983 al 26,8 del 2009), si assiste a una diminuzione delle famiglie aiutate (dal 23,3 al 16,9 per cento), in particolare di quelle composte da anziani (dal 28,9 al 16,7 per cento). In tale periodo è aumentata l’età media di chi presta aiuto (ora pari a 50 anni), mentre si è ridotto il numero medio di ore che viene dedicato a questa attività, anche se il sostegno offerto diventa più articolato, con un crescente numero di tipi di aiuto fornito da ciascun care giver.
Cambiano profondamente anche le direttrici dei flussi di aiuto: crescono quelli rivolti alle famiglie con almeno un minore di 14 anni e madre occupata, le quali dal quinto posto nella graduatoria delle famiglie aiutate nel 1983, guadagnano la prima posizione (37,5 per cento); diminuiscono, invece, gli aiuti informali rivolti alle famiglie con ultraottantenni. Al contempo, diminuisce il peso delle ore dedicate dalla rete informale all’assistenza di adulti e alle prestazioni sanitarie, mentre aumentano quelle rivolte alla cura dei bambini, che rappresentano ora il 40 per cento del totale.
Dopo il forte calo registrato tra 1983 e 1998, la quota di famiglie che riceve sostegno dalle reti informali registra una sostanziale stabilità. Crescono però le famiglie che si avvalgono di servizi di assistenza o di aiuti economici da parte di enti pubblici (dal 2,8 del 1998 al 6,9 per cento) e di servizi a pagamento (dall’8,9 al 9,6 per cento). Se il Nord-est spicca per una rete di aiuto informale più diffusa e attiva, il Mezzogiorno appare particolarmente penalizzato da una rete più esigua – con meno care giver e meno famiglie aiutate – pur a fronte di bisogni derivanti da una povertà materiale più diffusa e da peggiori condizioni di salute della popolazione anziana.
Nel corso del tempo è poi aumentata in misura considerevole la quota di popolazione anziana, anche grazie alle migliori condizioni di vita; ciò ha incrementato la percentuale di chi, pur anziano, si attiva all’interno delle reti di aiuto informale. Nel contempo, è cresciuta anche quella degli ultraottantenni (i cosiddetti “grandi anziani”) con nuovi bisogni di assistenza. Si è ridotto, inoltre, il numero di componenti della famiglia a causa della diminuzione delle nascite, dell’aumento della speranza di vita nelle età anziane e dell’instabilità coniugale. Se, quindi, si tiene conto della maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro e dell’aumento della speranza di vita, risulta evidente come la rete di parentela sia diventata sempre più “stretta e lunga”: ogni potenziale care giver ha, cioè, meno persone con cui condividere l’aiuto nella rete di parentela, meno tempo da dedicare agli altri e un maggior numero di persone bisognose di aiuto per un periodo più lungo dell’esistenza.
In questo quadro assume particolare rilevanza il ruolo delle nonne che, tuttavia, considerato anche l’innalzamento dell’età pensionabile, avranno sempre maggiori difficoltà ad assolvere ai compiti che sono loro assegnati, schiacciate tra la cura dei nipoti, quella dei genitori anziani, spesso non autosufficienti, e, a volte, dei figli grandi ancora presenti in casa. L’auspicata crescita dell’occupazione femminile e il presumibile prolungamento dell’attività lavorativa farà sì che le nuove nonne avranno meno tempo da dedicare all’assistenza e alla cura degli altri membri della famiglia, cosicché il mutuo sostegno tra le generazioni di madri e di figlie diventerà sempre meno agevole.
Gli aiuti forniti ai bambini e agli anziani
Nel 2009 gli aiuti pubblici, privati e informali forniti esclusivamente per la cura e l’assistenza raggiungono il 36,7 per cento delle famiglie con almeno un minore di 14 anni, una quota in deciso aumento rispetto al 1998 (30,5 per cento). In particolare, il 26,6 per cento di queste famiglie riceve aiuto da parte della rete informale, con un incremento di quasi sei punti percentuali negli ultimi dieci anni. L’aumento è più importante nelle famiglie con madri che lavorano e per le madri sole occupate. Del resto, rispetto al potenziale bacino di utenza degli asili nido, la quota di domanda soddisfatta è ancora molto limitata: nel 2009, la percentuale di bambini tra zero e due anni iscritti a quelli pubblici è pari appena all’11,3, mentre il 40 per cento dei bambini che vanno al nido frequenta una struttura privata.
A crescere sono anche le famiglie con bambini che si avvalgono di servizi pubblici (dal 3,4 al 6,3 per cento), mentre la quota di quante ricorrono a servizi a pagamento, come baby sitter o nidi privati, rimane sostanzialmente stabile (11,5 per cento), ancorché con forti differenziazioni territoriali. …………………………
Tra i bisognosi di assistenza, oltre ai bambini, vi è un numero elevato di persone gravemente o parzialmente limitate nell’autonomia personale che non sono raggiunte da alcun tipo di aiuto e non sono adeguatamente sostenute in casa: si tratta di circa due milioni di individui, soprattutto anziani, che non trovano adeguata protezione all’interno della famiglia perché vivono soli o con altre persone con problemi di salute. Questo segmento di popolazione presenta anche condizioni economiche mediamente più svantaggiate, soprattutto nel Mezzogiorno.
Nel 2009 il 29,2 per cento delle famiglie con anziani ha ricevuto un aiuto di qualche tipo (gratuito o a pagamento o pubblico) per la cura e l’assistenza alle persone, una quota che aumenta al crescere dell’età e, soprattutto, all’aggravarsi delle condizioni di salute, fino a raggiungere il 46,9 per cento per le famiglie con anziani con gravi limitazioni e il 61 per cento per quelle con ultraottantenni in tale condizione. Il Nord-est è la zona in cui le famiglie di anziani sono aiutate di più, soprattutto quelle con persone in gravi condizioni (55,8 per cento), mentre il Mezzogiorno è quella dove le famiglie di anziani in gravi condizioni sono aiutate meno (46,9 per cento), benché le condizioni di salute degli anziani siano compara- tivamente peggiori.
La presenza di forme miste di aiuto per la cura e l’assistenza (pubblico, privato, informale) è più alta nel Nord-est dove è maggiore l’aiuto agli anziani, mentre nel Mezzogiorno il carico delle situazioni difficili è più frequentemente appannaggio esclusivo della rete informale. Dove i servizi pubblici sono in crescita e le condizioni economiche della popolazione consentono il ricorso ai servizi privati, come nel Nord-est, la rete informale (in particolare le donne) riesce maggiormente a contenere i carichi del lavoro di cura, ritraendosi da quelli più onerosi, ma garantendo la vicinanza affettiva attraverso la compagnia e l’accompagnamento. Al contrario, nelle aree in cui gli aiuti pubblici sono meno diffusi, come avviene nel Mezzogiorno, la rete informale è schiacciata sotto il peso delle esigenze degli anziani e si fa maggiormente carico di aiuti sanitari e di assistenza, raggiungendo comun- que una quota più contenuta di famiglie in difficoltà. Del resto, in questa ripartizione geografica l’anziano che necessita di cure e che non può essere aiutato dalla rete o da aiuti pubblici ha anche una minore probabilità di essere ricoverato in una casa di riposo, data la presenza più limitata di tali strutture.
In questo quadro un’eventuale riduzione della spesa sociale metterebbe seriamente a repentaglio la situazione delle famiglie di anziani raggiunti solo da aiuti pubblici o da un mix di questi ultimi con altri tipi di aiuto: si tratta di circa 700 mila famiglie. Se a queste situazioni a rischio si aggiungono i circa 2 milioni di individui, soprattutto anziani, che presentano limitazioni dell’autonomia personale e che, pur vivendo soli o con altre persone con problemi di salute, non sono raggiunti da alcun tipo di aiuto è evidente come gli anziani potrebbero in futuro diventare uno dei soggetti sociali più vulnerabili.
Gli interventi socio-assistenziali dei Comuni
Nel quadro appena delineato la forte sperequazione territoriale dell’offerta di intervento e di servizi sociali da parte dei Comuni costituisce un elemento di particolare criticità. I cittadini che risiedono al Sud ricevono dai Comuni circa un terzo delle risorse erogate nel Nord-est sotto forma di interventi e servizi sociali (si va da un minimo di 30 euro in Calabria a un massimo di 280 euro nella provincia auto- noma di Trento). Nelle regioni del Sud non solo si registrano i valori pro capite più bassi, ma anche la minore compartecipazione alla spesa da parte degli utenti e del Sistema sanitario nazionale.
Nel 2008 per una persona disabile residente in Italia la spesa media per assistenza è stata di 2.500 euro, oscillando dai 658 euro del Sud ai 5.075 del Nord-est; per l’assistenza agli anziani si va dai 59 euro di spesa media pro capite al Sud ai 165 euro nel Nord-est e per le famiglie con figli l’impegno dei Comuni varia dai 47 euro pro capite del Sud ai 165 del Nord-est. Nel 2009 la quota di bambini che si sono avvalsi di un servizio socio-educativo pubblico è del 13,6 per cento, ma mentre in alcune regioni (Emilia-Romagna, Umbria e Valle d’Aosta) si raggiunge quasi il 30 per cento dei bambini fra 0 e 2 anni, quasi tutte quelle del Mezzogiorno presentano percentuali inferiori al 10 per cento.
Nel corso del 2009, in presenza di una riduzione del 2,4 per cento delle spese complessive, si nota una certa ricomposizione del bilancio dei Comuni, i quali hanno ridotto le spese generali per l’amministrazione, aumentando la quota che va alle attività socio-assistenziali. Le difficoltà finanziarie di molti Comuni diventeranno più evidenti a partire dal 2011, quando la riduzione delle entrate da trasferimenti statali e i vincoli del Patto di stabilità interno li obbligheranno a contenere le spese in modo ancor più significativo. Inoltre, la prima fase del federalismo municipale, prevista dal 2012-2013, dovrebbe procedere alla soppressione di alcuni trasferimenti ai Comuni a fronte della devoluzione di alcuni tributi. Nel Mezzogiorno, dove il welfare locale risulta finanziato in misura maggiore dai trasferimenti statali, le modifiche prefigurate – in assenza di interventi perequativi – potrebbero tradursi in un contenimento delle risorse impiegate nel settore dell’assistenza sociale. Alla sofferenza delle reti di aiuto informale, dunque, rischia di aggiungersi quella delle politiche sociali, con il possibile aumento, in un contesto di forti differenziali territoriali, di bisogni non soddisfatti provenienti dai segmenti di popolazione più vulnerabile.
( Da ISTAT- rapporto annuale 2011)