Nel mondo occidentale -e questo fenomeno sta diventando ‘globale’-
viviamo sempre più a lungo ma le statistiche ci avvertono che l’ultimo decennio di vita spesso è segnato da sofferenze, disagi e difficoltà dovute a malattie croniche invalidanti e a pluripatologie con le quali dobbiamo imparare a convivere. Tanto è vero che comincia a sorgere insistente tra molti la domanda: fino a che punto certe condizioni possano essere accettate come ‘vita’.
Allora vale la pena prendere in considerazione questo testo a mio parere interessante, del ricercatore biochimico italiano Valter Longo, che prova a considerare il processo di invecchiamento del corpo superando la questione piuttosto controversa del perché invecchiamo, e avvicinandolo da un nuovo punto di vista: “come gli organismi potrebbero restare giovani più a lungo”. La sua ricerca, più che ventennale, nasce dalla curiosità e dallo studio delle diete degli ultracentenari sparsi in tutto il mondo, nelle cosiddette ‘zone blu’: Okinawa (in Giappone), Loma Linda (in California), Sardegna, Calabria, Costa Rica e Grecia, dove una longevità record si abbina a condizioni di buona salute.
Cosa hanno in comune questi centenari di luoghi così diversi, oltre a un patrimonio genetico particolare? Li accomuna un’alimentazione sostanzialmente vegana, con l’aggiunta di un po’ di pesce, poche proteine, pochi zuccheri e grassi saturi, una costante attività fisica e una certa propensione alla spiritualità.
Allora se, al di là di queste eccezioni, l’esperienza quotidiana ci mostra che l’”età è il principale fattore di rischio nel contrarre tutte le malattie più gravi” (e il riferimento è al cancro, alle malattie cardiovascolari e al morbo di Alzheimer), l’ipotesi di Longo è che “bisogna investire nella protezione dall’invecchiamento”, cioè migliorare i propri sistemi di protezione e di riparazione cellulare attraverso “una strategia biologica evoluta” che consenta agli individui di vivere più a lungo e soprattutto in buona salute, prendendo a riferimento proprio quei centenari. E individua, come elemento portante di questa strategia, l’alimentazione, affiancata da un costante e moderato esercizio fisico.
Da biochimico, infatti, Longo considera i cibi come “insiemi complessi di molecole, ciascuna delle quali può provocare notevoli cambiamenti nel nostro corpo” e quindi l’alimentazione diventa un elemento determinante del nostro benessere e del nostro aspetto, che ha effetti sulla qualità e durata del sonno, sulla possibilità o meno di sviluppare malattie e sulla nostra qualità di vita in generale. Allora per ridurre l’insorgenza di malattie e rallentare il processo di invecchiamento delle cellule, le sue indicazioni sono a vantaggio di un regime alimentare a basso contenuto di proteine, zuccheri e grassi saturi e a un alto contenuto di verdure, legumi, cereali integrali, un po’ di pesce, olio d’oliva e frutta a guscio. Troppe proteine, infatti, soprattutto se di origine animale e combinate con un eccesso di zuccheri, promuovono i fattori di crescita che spingono le cellule a maturare ma anche a invecchiare e a volte degenerare.
Quindi la restrizione calorica può avere un effetto importante nel ridurre le numerose malattie legate al processo di invecchiamento. Ma le restrizioni che suggerisce Longo riguardano anche il numero dei pasti (meglio farne due con uno spuntino), le ore impegnate nel mangiare (meglio stare nell’arco temporale delle 12 ore) e la pratica periodica del digiuno (come nelle esperienze di tante pratiche religiose) o, meglio ancora quella della Dieta Mima-Digiuno (DMD), da lui stesso elaborata.
Da numerosi studi risulta, infatti, che il digiuno incentiva la rigenerazione delle cellule, la sostituzione di quelle danneggiate con altre di nuova generazione e quindi mette in atto un “programma di autoguarigione”. Questi effetti diventano poi molto interessanti nel caso di malattie oncologiche dove la “resistenza differenziale allo stress” attivata dal digiuno o dalle DMD, diventa come uno scudo protettivo nelle cellule sane, mentre affama quelle tumorali, rendendole così più vulnerabili alla chemioterapia. Ne deriva che paradossalmente il digiuno potenzia l’effetto della chemioterapia, così come è risultato provocare dei miglioramenti nell’apprendimento e nella memoria negli esperimenti sia con topi sani che con quelli affetti dal morbo di Alzheimer.
E’ a mio parere interessante e incoraggiante osservare che le indicazioni di questo studioso vadano nella direzione contraria alla società dell’abbondanza, qual è la nostra, dove il consumo di ogni cosa: dal cibo agli oggetti, dalla cultura alle risorse, è diventata una pratica compulsiva cui difficilmente riusciamo a sottrarci. Ci propone infatti, per mantenere un buon livello di salute, una dieta che, come nella sua radice etimologica greca δίαίτα, va intesa più come un modo di vivere, uno stile che disciplina e regola la vita quotidiana, piuttosto che un rimedio per dimagrire.
Si tratta di prendersi cura di se stessi, avere il coraggio di cambiare le nostre abitudini, quando sono nocive, attraverso un messaggio di sobrietà e di misura, mutuato probabilmente da quei centenari che ha intervistato, studiato e apprezzato. La sua proposta mi sembra anche un invito alla consapevolezza: se pensiamo al nostro mondo prossimo futuro popolato da un numero sempre crescente di vecchi, dove le risorse economiche e umane saranno sempre più scarse e l’assistenza sanitaria probabilmente più discriminata, cosa c’è di più lungimirante che cercare di mantenersi in buona salute il più a lungo possibile? E in un modo accessibile e non elitario? Anche il celebre oncologo U.Veronesi diceva spesso: “Chi mangia poco e bene vive di più. Mangiare poco non significa privarsi del necessario” (1).
Il libro ha una buona leggibilità anche per il lettore che non possiede specifiche conoscenze scientifiche. A questo proposito, Longo ci fa partecipi del suo percorso per giungere alla formulazione delle linee guida dell’alimentazione attraverso vari contenuti, cui ha dato il nome di “metodo dei 5 Pilastri della sana longevità”. Ci rende così più consapevoli dei diversi fattori in gioco e dell’importanza di incrociare i dati delle ricerche e degli studi multidisciplinari esistenti per poter arrivare a formulare indicazioni significative e realizzabili. Certo, l’eterogeneità dell’invecchiamento richiederebbe delle diete personalizzate e una maggior considerazione delle condizioni ambientali di vita di ogni persona, ma le proposte sono indicative, da declinare sempre con il supporto di specialisti o medici di base, soprattutto nelle situazioni in cui sono presenti delle patologie.
I proventi delle vendite del libro saranno poi devoluti alla Fondazione non profit Create Cures per continuare a promuovere e sponsorizzare questi studi.
Da pochi giorni è uscito il seguito: "La tavola della longevità" con aggiornamenti (anche sui proventi del libro) e approfondimenti che lascio a voi scoprire.
[1] U.Veronesi, Longevità, Bollati Boringhieri, 2012