Che dire di me? Sono un’educatrice un po’ pazza (come mi ha definito Gianni stesso nel suo libro, e devo dire che mai descrizione mi è calzata di più a pennello!), felice e fiera di esserlo! La strada che mi ha portato fin qui è fatta di casualità, coincidenze e un pizzico di fortuna al punto giusto.
Sono nata nel 1985 a Voghera, in provincia di Pavia. Da sempre ho sentito un certo bisogno di accudire e curare chi era in difficoltà, perciò ogni animale sperduto, ferito o presunto tale, veniva da me prontamente recuperato per essere salvato! Aggiungo con un certo disappunto da parte dei miei familiari, anch’essi vittime della mia sindrome da infermiera!!!
Ho seguito un indirizzo scolastico del tutto estraneo a ciò che faccio ora: mi sono iscritta all’istituto tecnico agrario e una volta diplomata, nel 2003, ho proseguito sempre su quel percorso, buttandomi sull’indirizzo “Scienze e Tecnologie della Ristorazione” presso l’Università degli studi di Milano, laureandomi nel 2007.
Appena dopo essermi laureata e aver trovato il mio primo lavoro presso un laboratorio analisi della zona, la prima svolta: la conoscenza di una realtà totalmente nuova, la “Casa di Accoglienza alla Vita" di Belgioioso (PV).
Era una fondazione che accoglieva ragazze madri e minori soli di ogni età. La mamma del mio compagno di allora vi lavorava, e noi, un po’ per svago, un po’ per dare una mano, passavamo molto tempo in quel luogo. Ed io mi accorgevo che il mio lavoro, così sicuro e in apparenza perfetto, mancava di ciò che a me diventava via via più necessario: il lato umano, la cura, la vicinanza.
Un giorno, quasi per caso, il lampo di genio: ma se a me veniva così spontaneo stare bene con le persone in difficoltà, e fare stare bene loro, perché non cambiare tutto? Perché non rimettersi a studiare, se era ciò in cui credevo? Quindi, complice anche la maternità, trovai lo slancio per iscrivermi di nuovo all’Università, stavolta a Genova, per laurearmi tre anni dopo in “Scienze pedagogiche e dell’Educazione”, nel 2011. Amai profondamente quel corso di studi. Potei così cominciare a lavorare ufficialmente in comunità a Belgioioso, provando un po’ tutte le realtà: adolescenti stranieri, nido, centro estivo, casa mamma/bambino, casa 0/6… più altre collaborazioni con un asilo nido esterno e un centro diurno disabili, anche se per poco tempo.
Nel frattempo ero diventata mamma di una piccola peste di nome Gabriel e avevo in affido A., di 12 anni… purtroppo, arrivò il giorno in cui dovetti fare una scelta prettamente “logistica”…stavolta dovevo mettere a tacere il cuore e guardare la praticità: avevo bisogno di un lavoro a tempo pieno, ma con orari più consoni alla cura del mio bambino. Mi offrirono di nuovo un posto in ufficio in laboratorio analisi… di nuovo tornavo alla prima fase della mia vita lavorativa. Mi offrivano sicurezza e orari ben definiti, un buono stipendio… cos’altro mancava…eppure, mi sentivo vuota.
E più cercavo il benessere in questa pseudo-stabilità, più tutto sembrava sgretolarsi… il mio umore era quasi sempre tetro… poi arrivò la separazione, A. che volle tornare in comunità, una lunga malattia e un lutto si portarono via il compagno di mia madre…la mia vita andava letteralmente in frantumi…
Fu allora che accadde qualcosa di magico: un giorno come tanti, squillò il telefono.
Era una cooperativa che cercava un’educatrice per una sostituzione maternità. Non ricordavo nemmeno di aver inviato il mio Curriculum, poi insomma… Niente di stabile, utenza del tutto nuova: anziani, anche con Alzheimer, psichiatrici…non faceva per me, non era il mio mondo quello, o no?!
Non so neanche perché, ma mi recai al colloquio…speravo andasse male per confermarmi che dovevo stare buona buona nella mia “confort zone”. Invece quello fu il colloquio più bello della mia vita.
Per farla breve, il 9 dicembre 2015 lasciai tutte le mie sicurezze per buttarmi in una nuova avventura in teoria “a termine”... prendere quel treno?
La decisione migliore della mia vita. Il mio nuovo lavoro e la mia nuova utenza? Una famiglia, un innamoramento istantaneo. Scoprii che ero nata per questo. Per loro. Per farli ridere. Per gioire dei loro sorrisi. Il mio primo giorno, specchiandomi con la divisa, mi sembrò di indossare l’abito più bello che avessi mai avuto. Ho gioito, pianto, ballato, cantato, ascoltato e confidato segreti, riso a crepapelle… e mentre la mia vita lavorativa si sistemava, inoltre, si rimetteva a posto anche quella privata.
Sono ancora qui alla fine, indeterminatamente a Villa Serena di Godiasco Salice Terme, un posto che per me avrà sempre qualcosa di magico, un posto che mi ha salvato, assieme alle persone che la abitano e che vi lavorano, dal primo all’ultimo, anche se per noi non esistono né primo né ultimo, siamo tutti uguali… competenti, preparati e umani… viviamo oggi nell’emergenza, ma abbiamo imparato a sorridere con gli occhi, e con tanta fatica, cerchiamo di mantenerla la nostra isola felice (a oggi nessun caso positivo al mostro Covid).
So che ciò che scrivo può sembrare pubblicità o una sviolinata, ma io veramente AMO ogni tassello di questo bellissimo puzzle.
E tutto questo, alla fine, mi ha portato anche a Gianni e Claudia, alla loro bellissima storia e al pezzetto di quella che stiamo scrivendo assieme…
In ogni persona che incontro forse cerco un po’ di quel papà e di quei nonni di cui non ho potuto prendermi cura perché ancora ragazzina… mi immagino a rincorrerci e a scherzare nei corridoi del reparto Alzheimer, come faccio con i miei ospiti… ha ragione Gianni quando chiede se questa malattia sia solo una tragedia… io li trovo bellissimi, pura essenza, più simpatici di noi tutti “costruiti”…entro in reparto e ogni preoccupazione cessa, ogni pensiero “no” svanisce… si entra in scena con il più bello dei sorrisi.
Sono d’accordo con quella massima secondo cui se ami ciò che fai, non lavorerai mai un giorno della tua vita. Cerco di restare sempre la solita pazza, a lavoro come a casa, e di non prendermi mai troppo sul serio… e so che questa è la strada giusta!
Sabrina Poggi
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