Condivido volentieri su Perlungavita.it una mia riflessione sulla qualità dell'agire professionale e dell'assistenza nelle strutture residenziali per disabili mentali.
Non è poi così difficile oggi vedere certificata la qualità dei servizi residenziali, attraverso la certificazione ISO 9001. Basta trasformare in procedure standard le diverse attività assistenziali, organizzative, progettuali etc.. Ma questo è sufficiente per garantire davvero una buona qualità della vita per chi abita tali strutture? Purtroppo direi proprio di no. Troppo spesso si vedono strutture per disabili perfettamente a norma, pulite e ben curate, ma dove non c’è spazio per la soggettività di ognuno.
Ho iniziato la mia esperienza di lavoro come educatore nell’ex ospedale psichiatrico di Collegno, in una comunità residenziale per donne disabili anziane che avevano trascorso gran parte della loro vita in manicomio. Questa esperienza, molto forte e al tempo stesso molto formativa, mi ha segnato umanamente e professionalmente. Il nostro lavoro, che svolgevamo con passione, era finalizzato a ridare dignità di persona a chi per tutta la vita non era stato considerato tale, anche e soprattutto attraverso cose semplici: mangiare a tavola insieme agli altri, scegliere un vestito e curare il proprio aspetto fisico, avere una propria stanza e un proprio armadio, uscire al bar o al ristorante.
Successivamente ho lavorato e/o progettato diversi altri servizi per disabili, residenziali e diurni, gestiti dalla cooperativa Il Sogno di una Cosa di cui sono socio; in ognuna di queste esperienze il principio ispiratore che ha accompagnato il mio operare e quello dei miei colleghi è stato ed è “la persona al centro”.
Fuori da ogni retorica, sono infatti sempre più convinto che, nel parlare di qualità dell’abitare nelle strutture residenziali per disabili, il punto fondamentale sia considerare la centralità della persona. Un servizio residenziale è tanto più di qualità quanto riesce ad essere flessibile ed a trasformarsi in base alle capacità, autonomie, bisogni e desideri delle persone che vi abitano.
Considerare i bisogni e i desideri significa provare a far sentire coloro che abitano la struttura un po' più a casa, lavorando per personalizzare gli spazi, permettendo dove possibile di avere propri spazi privati con le proprie chiavi, dedicando del tempo all’ascolto e alla discussione, ad esempio attraverso riunioni periodiche con i residenti, durante le quali è possibile decidere insieme alcuni aspetti della vita quotidiana o delle attività.
Oltre quindi al garantire una buona qualità a livello assistenziale e sanitario, occorre fare lo sforzo di prendersi cura della persona nella sua globalità.
Insisto sulla parola persona perché, da quando ne ho scoperto la radice etimologica, è una parola che mi affascina e mi commuove. Il termine persona proviene del latino persōna, e questo probabilmente dall'etrusco phersu, cioè maschera dell'attore, personaggio. Essere persona quindi ha a che fare con l’interpretare un ruolo nel contesto in cui si vive, se non si ha più nessun ruolo si è un po’ meno persona.
Avere un ruolo per se’ e per gli altri, un ruolo che non sia solo e sempre quello dell’assistito ma anche un ruolo di responsabilità, permette alla persona con disabilità di uscire dallo stereotipo di eterno bambino in cui spesso è rinchiusa, per diventare pienamente adulta.
E’ proprio a partire da questa istanza che nasce la rete di “Immaginabili risorse”( www.includendo.net), un insieme di circa 80 realtà di vario genere del centro nord Italia, Cooperative (tra cui Il Sogno di una Cosa), Comuni, Uffici di Piano, Aziende Speciali, Fondazioni, singole persone, che sta facendo ricerca e sperimentando delle innovazioni attorno al tema del “valore sociale della disabilità”.
“Immaginabili risorse” è un punto di vista sulla disabilità e sulla società. Secondo questo punto di vista è importante provare a mettere a fuoco e concretizzare il contributo che la disabilità può offrire alla qualità della vita di tutti noi, affinché possa migliorare, se si vuole che si espandano le possibilità di inclusione sociale.
Prendendo parte al processo di crescita della nostra convivenza, infatti, le persone con disabilità, le loro famiglie, i servizi e gli operatori possono incidere in maniera significativa sulle condizioni che rendono possibile l’esercizio dei diritti di cittadinanza. E possono di conseguenza incrementare gli spazi e le forme attraverso le quali concretizzare effettivamente percorsi inclusivi: si è inclusi in un contesto se si è parte e si prende parte in maniera attiva ai suoi processi vitali ed al loro miglioramento. Questo orientamento non sottovaluta l’importanza delle azioni di denuncia, di lotta e di difesa di fronte alle innumerevoli forme di stigmatizzazione, di vessazione, di maltrattamento che, ancora oggi, troppo spesso, segnano i tragitti esistenziali di tante persone con disabilità e delle loro famiglie. Semplicemente ritiene che, per rendere concreti i diritti di cittadinanza delle persone con disabilità, sia necessario affiancare a queste azioni anche altre, finalizzate all’incremento dei legami sociali dei nostri territori, perché ci sia più giustizia per tutti. Percorrendo questa strada, inoltre, si aprono originali possibilità di azione sociale ed educativa per le persone con disabilità fortemente radicate nella vita reale; si rendono possibili legami interpersonali densi e pregnanti, che nessuna “prestazione” professionale può garantire; si riesce ad incidere in maniera significativa sulla diffidenza e sulla chiusura che caratterizzano ancora oggi gli atteggiamenti che le persone ed i gruppi dei nostri territori esprimono nei confronti della disabilità.
“Immaginabili risorse” è anche un insieme di esperienze concrete promosse dalle diverse realtà che coraggiosamente si adoperano per dare un contributo effettivo al miglioramento della convivenza nei nostri contesti sociali.
Tra queste numerose sono le esperienze di servizi residenziali per disabili che hanno dato vita a sperimentazioni di grande “qualità”, come ad esempio Il Progetto di San Paolo d’Argon della cooperativa Namastè di Bergamo, che vorrei descrivere in quanto a mio avviso particolarmente significativo.
Nel 2005 la Cooperativa Namastè ha acquistato un appartamento (posto al piano terra) all'interno di un condominio di San Paolo d'Argon da destinare all'accoglienza abitativa di cinque persone disabili lievi, trasformandolo quindi in un gruppo appartamento disabili. Il condominio, collocato nel centro abitato di San Paolo d'Argon e costituito da 14 appartamenti, è un condominio come tanti altri con le ambivalenze relazionali tipiche dei condomini. I primi anni del progetto sono serviti per favorire le migliori condizioni di convivenza tra le persone disabili che abitavano il gruppo appartamento, cercando di rispettare i tempi di ciascuno di loro. Successivamente, la necessità di arricchire e qualificare meglio le possibilità di “incontro” per le persone disabili ha portato la cooperativa ad aprirsi verso i vicini, gli altri condomini. Ciò è avvenuto provando a mettere in pratica il principio per cui “prima di chiedere e di ricevere bisogna imparare a dare”, facendo quindi vedere concretamente come la disabilità potesse essere una risorsa anche per gli altri: gli operatori e gli ospiti del gruppo appartamento si sono offerti di pulire le scale condominiali, curare il giardino del condominio (al posto della ditta che aveva l'incarico), fare piccoli favori e gesti nei confronti dei vicini. Il clima favorevole che si è costruito tra alcune famiglie del condominio ed il gruppo appartamento ha permesso di tracciare un'ulteriore tappa nel processo di costruzione di un luogo abitativo di condivisione.
Oggi Namastè è proprietaria di tre appartamenti all'interno del condominio: un quadrilocale ed un monolocale al piano terra ed un trilocale al secondo piano. Questi tre appartamenti sono destinati per persone disabili lievi con gradi di autonomia differenti e quindi con gradi di protezione, in termini di presenza educativa, differenti. I tre appartamenti permettono alle persone di svolgere i loro percorsi evolutivi/regressivi all'interno di luoghi abitativi studiati per favorire le relazioni e le trasformazioni che ciascuno deve affrontare.
Uno dei tre appartamenti è attrezzato con una cucina in grado di produrre e fornire i pasti per le persone che vivono negli altri due appartamenti e quando serve per gli altri condomini, in particolare per le persone anziane che vivono nel condominio. All'interno del condominio è stata attrezzata una lavanderia condominiale a disposizione di tutti. Inoltre, all'interno del progetto, la cooperativa a iniziato a prendersi cura delle persone anziane che vivono nel condominio, costruendo con loro dei percorsi di accompagnamento che non necessariamente sfocino o “nella casa di riposo” o “nell'avere la badante in casa”, ma studiando forme di aggregazione del bisogno delle persone anziane e risposte di assistenza e di cura in grado anche di aggregare ed ottimizzare risorse economiche. Ad oggi gli appartamenti delle persone anziane sono collegati con un citofono interno agli appartamenti dove vivono le persone disabili, permettendo alle persone anziane di avere sempre (e soprattutto di notte) un riferimento ed un sostegno negli operatori.
In conclusione, questa esperienza riassume a mio avviso in maniera molto chiara il concetto di qualità che credo sia importante promuovere, una qualità non asettica e fredda ma viva, partecipata e flessibile. I servizi residenziali, per essere davvero di qualità, pur senza sottovalutare l’importanza degli aspetti assistenziali e sanitari, devono essere a mio avviso al loro interno un po' meno piccoli ospedali e un po' più casa, all’interno della quale le persone possano sviluppare/mantenere le loro autonomie e soprattutto autodeterminarsi il più possibile. Allo stesso tempo devono favorire un vero lavoro di integrazione e inclusione con l’esterno, facendo sì che gli ospiti della struttura si possano sentire non solo residenti, ma bensì abitanti.