La mia mamma ha compiuto questa estate 101 anni.
Vive in Abruzzo, e, per sua scelta, dopo aver provato a convivere con tre badanti, ha optato per una casa di riposo.
Io vivo a Como e vado a trovarla quando posso, sono stata da lei per il suo compleanno, e mentre stavamo chiacchierando, mi ha detto:
“Mi piace parlare con te, qui non parlo mai con nessuno, guardati intorno, sono tutte vecchie, di che posso parlare? Guardo la televisione e lavoro all'uncinetto, ma non ti preoccupare, il tempo mi passa lo stesso!”.
Mi giro a guardare, le altre signore sono tutte sedute intorno alle pareti della sala ed hanno lo sguardo assente, qualcuna borbotta, qualche altra ci guarda, mia madre è la più vecchia, ma è l'unica che lavora all'uncinetto, che ha un cruciverba e un giornale sul tavolinetto della sua sedia a rotelle ed è girata verso la televisione, c’è il telegiornale e di tanto in tanto legge le notizie che scorrono in sovraimpressione senza l’aiuto degli occhiali, mi volto verso di lei e incontro il suo sguardo vigile e attento che mi sorride. Le sorrido anch'io mentre le dico:
“Mamma, quest'anno ho compiuto settanta anni”.
“Eh, eh, ti sci fatte vecchie pure tu, ma nin ti rassegnà!” me lo dice in dialetto per evidenziare lo stretto rapporto parentale che c'è fra noi; con gli altri ha sempre preteso che si parlasse in italiano, ma in famiglia potevamo parlare in dialetto, me lo ripete affettuosamente ma con decisione di nuovo, più seriamente stavolta e in italiano, come faceva quando voleva essere obbedita.
“Non devi rassegnarti, devi pensare ad Adolfo!”
Adolfo è mio marito, siamo sposati da quarantacinque anni e da dieci anni conviviamo con l'Alzheimer, che si è impossessato di lui cancellando pian piano l'uomo che era stato, togliendogli i ricordi di una vita e lasciandolo vivere in un limbo dolente in cui non mi è dato di entrare se non in qualche raro, rarissimo momento. Ma questa è un'altra storia.
“Mamma per la malattia di Adolfo non ci sono vie d'uscita” le rispondo.
“Riccarda, mi riferivo a te, non alla malattia di Adolfo, non rassegnarti alla vecchiaia, combattila, guarda- dice indicando il salone- guardati intorno, qui, si sono arrese tutte, tu combatti... fallo anche per lui”.
Mi stringe la mano, mi sorride e parliamo d'altro.
La mia mamma centenaria è lapidaria nei suoi consigli, li butta lì e poi parla d'altro, indubbiamente è una gran donna.
Tornando a Como in treno, e guardando il mare dal finestrino, accompagnata dalla sottile malinconia, che in questi ultimi anni sempre mi avvolge quando penso al rientro a casa e alla mia vita sdoppiata, chissà perché mi tornano alla mente le parole di mia madre: “Non rassegnarti alla vecchiaia!”, che voleva dire, con quelle parole?
In questa nostra epoca dove l'apparire conta più dell'essere, dove le donne si sottopongono a continui interventi estetici per sembrare sempre giovani, dove nessuno si rassegna all'età che avanza, che senso ha quello che mi ha detto?
Certamente non si riferiva all'aspetto fisico, lei che non si è mai preoccupata delle rughe, lei che ha sempre avuto i capelli bianchi da quando noi figli eravamo piccoli, la vedevamo sempre uguale, immutabile, come se per lei il tempo non passasse mai; ancora adesso è così, l'esteriorità della vecchiaia, che si manifesta attraverso l'aspetto fisico, non l'ha mai preoccupata e in questo, io sono come lei, e allora?
Penso alla sua vita e a noi figli: due femmine e un maschio, vite che ruotava e ruotano ancora intorno alla sua, ci siamo sempre appoggiate a lei con naturalezza e leggerezza, senza sentire mai il peso di una presenza opprimente, lei è stata il perno intorno al quale le nostre vite si ancoravano anche quando ci siamo allontanati per percorrere le nostre strade.
Abbiamo assorbito da lei e da papà, quasi per osmosi, senza troppe parole, il valore che ha l'esempio di vita. Hanno saputo accettare i cambiamenti e hanno condiviso il fermento della mia generazione, lasciandomi libera di vivere la mia vita, anche perché a casa mia la dignità della persona, uomo o donna che fosse, era sempre stata naturalmente rispettata e considerata pari.
Quando papà è stato male sia prima che dopo l'intervento per il tumore alla prostata, mamma ci è stata di esempio, non ha mollato mai, lo ha assistito con amore e abnegazione, e ha sopportato i suoi sbalzi d'umore senza cedere alle depressioni, ci accoglieva col sorriso e Adolfo ed io, durante le agguerritissime partite a scala quaranta, fatte soprattutto per distrarre papà dalla sua malattia e per far riposare un po' lei, la vedevamo sempre sorridente... si è mai lamentata.
Queste riflessioni accompagnano il mio rientro a Como, e mi sento davvero una vecchia signora che fa i consuntivi, che riflette sul passato, che si fa prendere dalle malinconie del presente, e allora capisco cosa mi voleva dire mia madre.
Rassegnarsi alla vecchiaia vuol dire adagiarsi in una vita vuota e priva di speranza, vuol dire cedere le armi, questo è stato il suo messaggio: che bisogna saper godere soprattutto delle piccole cose, quando non si possono più fare cose eclatanti. Bisogna credere che ogni giorno ci riserva qualcosa di bello per cui vale vivere la vita: un sorriso, un tramonto, una risata, un ricordo felice, un' amica con cui parlare, un figlio o un nipotino che vengono a trovarti, un libro che riempie la tua sera... non serve nessuna alchimia, nessuna formula magica, serve solo saper accettare quello che la vita ci regala nel bene e nel male e saperla affrontare nel miglior modo di cui siamo capaci, senza lasciarci sopraffare dalle sconfitte inevitabili e dalle amarezze che sempre ci saranno.
Ed io ne so qualcosa!
"Vivere al meglio la vita momento per momento" è questo l'insegnamento che mi porto in cuore oggi.