Prima di raccontarvi di Michele, mio amico, colto ed educato sessantenne di Siracusa, voglio accennarvi ad un altro Michele che, a dire il vero, non conoscevo.
I due Michele condividono una storia recente di malasanità in buona parte “neurologica” e di pronto soccorso.
Michele Merlo era un artista emiliano, un cantante di 28 anni, in arte Mike Bird. Era stato dimesso dall’ospedale di Vergato, sull'appennino bolognese, dove si era presentato da solo con dei sintomi che, secondo la famiglia, dovevano essere presi in considerazione in maniera più approfondita. "È andato al pronto soccorso di Vergato in piena autonomia", aveva detto il papà di Michele, Domenico, fuori dal reparto di rianimazione di Bologna. "Lamentava dei sintomi che un medico accorto avrebbe colto. Aveva una forte emicrania da giorni, dolori al collo e placche in gola… se l'avessero visitato avrebbero visto che aveva degli ematomi. Non abbiamo un referto medico ma un braccialetto col codice a barre che io ho a casa. E un audio che mio figlio ha mandato alla morosa: "Sono incazzato, mi hanno detto che intaso il pronto soccorso per due placche in gola". Invece lui era stanco. Michele aveva due braccia così. Faceva sport, non beveva, non ha mai usato droghe, gli piaceva la bella vita, mangiare bene, le cose belle, ha girato l'Italia in lungo e in largo".
Il giorno dopo il giovane è stato operato per un'emorragia cerebrale provocata, favorita da una leucemia fulminante, ed è deceduto.
“A Vergato gli avevano dato degli antibiotici da prendere: quando l'hanno mandato a casa aveva 38,5-39 di febbre. Ma non fidandosi, il giorno dopo ha chiamato il suo medico di famiglia a Bassano, che invece gli ha consigliato un altro antibiotico. Senza vederlo, però!”
Antibiotici a gogò (Resistenza batterica agli antibiotici? Batti un colpo!) e “visite” per telefono.
Nella mia lunga militanza ospedaliera (l’ospedale è quel luogo dove, se vuoi, ti trovi nella condizione di confermare ciò che sai e di metterlo in pratica, ma puoi anche imparare – tanto - dagli errori degli altri e soprattutto dai tuoi) non ho mai invidiato i colleghi dell’area di emergenza, il pronto soccorso: facevano (fanno) un lavoro in prima linea altamente stressante, di elevata responsabilità, a volte ingrato e per molti aspetti pericoloso sotto il profilo legale e persino “manuale” (fatti recenti ci dicono che con una certa frequenza sono i più facili da picchiare da pessimi familiari scontenti!).
Ho sempre compreso le loro difficoltà perché, in fondo, anche noi del reparto di neurologia eravamo tormentati dalle urgenze che provenivano da loro oppure direttamente con la richiesta “rosa” del medico curante. Tra queste c’erano le urgenze reali, spesso ben relazionate dai colleghi, e quelle improprie, con poche laconiche righe: “Sindrome vertiginosa”, “Cefalea”. Visita neurologica urgente.
Io e qualche altro collega, i più fetenti, sostanzialmente coetanei, dopo qualche anno abbiamo cominciato a sperimentare un breve itinerario che consisteva:
1. In una perentoria domanda, magari ripetuta due o tre volte, in considerazione di una certa reticenza, modalità che non risparmiava neanche i cittadini friulani davanti alla realtà di un camice bianco, in questo caso quello del medico curante, a cui la loro salute era stata affidata. La domanda era questa: “Il suo medico l’ha visitata prima di redigere questa richiesta?”
2. Se la risposta era no (ce lo aspettavamo: non c’era traccia di una bozza di storia clinica, di una misurazione della pressione arteriosa, di un lontano sospetto diagnostico), eseguivamo scrupolosamente la valutazione clinica e, se non era necessario ricoverare il\la paziente, iniziavamo polemicamente il referto di dimissione scrivendo: “Il\la paziente afferma di non essere stata visitata dal medico curante che ha redatto la richiesta urgente.”
Lascio alla immaginazione del lettore le reazioni o le mancate ipocrite reazioni del medico redarguito. Mi chiedo ancora oggi se qualcosa sarebbe cambiato in meglio in qualche anfratto del nostro SSN qualora già in quei lontani anni fosse esistita una commissione gestita dall’ordine dei medici o da responsabili del SSN stesso, utile almeno per riflettere su questi episodi quotidiani di malasanità e cercare di porvi rimedio.
Sempre nelle settimane scorse, ha ricevuto forse maggiore attenzione mediatica la intricata vicenda della diciottenne morta, anche lei per emorragia cerebrale, dopo la vaccinazione. Un’altra complicazione neurologica.
E ora vi racconto dell’altro Michele che vive nella mia città natale, Siracusa.
Michele è molto amico di mia cugina che ne ha sempre descritto le doti di signorilità, di intelligenza, di curiosità intellettuale. Insieme a lui, in una soleggiata e ventilata tarda primavera ho visto l’Aiace di Sofocle al teatro greco: ricordo i suoi commenti e i collegamenti storici, veramente piacevoli, e poi le grandi risate davanti a un piattone di arancini!
Anche lui vaccinato con Astra Zeneca, la mattina dopo, domenica, era apparso “confuso” a un suo caro amico che lo aveva chiamato al telefono e poi ai familiari allertati. Passavano le ore e lo stato “confusionale” destava una comprensibile apprensione. Da qui la decisione di condurre Michele al pronto soccorso della città.
Dopo qualche ora in pronto soccorso il tam tam amici-famiglia è arrivato a me con una richiesta di un parere “da lontano”. Odio dare pareri neurologici “da lontano”, senza poter visitare, fare le domande opportune, osservare. Ne ho scritto i motivi sull’Avviso Importante nel mio sito. Ma stavolta non potevo sottrarmi. Ho raccolto qualche elemento della storia - un tempo si chiamava “scrupolosa anamnesi” ma pare che non sia molto di moda, oramai - e ho cominciato a capire che si trattava di una manifestazione clinica di afasia (in questo caso con una alta componente di difficoltà nella comprensione del linguaggio e, di conseguenza, problemi di espressione verbale) legata ad una reazione al vaccino su base immunitaria o vascolare (o di ambedue, come stiamo cominciando ad apprendere in questi mesi strada facendo!) a livello temporale sinistro.
A quel punto la sorella mi ha messo in contatto telefonico col collega del pronto soccorso a cui ho manifestato il mio sospetto diagnostico, dicendogli che sospettavo un’afasia di Wernicke.
“Ma nooo! È molto nervoso, agitato, confuso, ho chiamato lo psichiatra e gli abbiamo fatto una fiala di Valium endovena!”
“Guarda che Michele è uno che non ha reazioni immotivate, esagerate, è uno saggio e responsabile. E, se è agitato, lo è perché non comunica bene con gli altri, con voi, a causa del problema del linguaggio.”
“Tranquillo, ora è tranquillo. Lo teniamo qualche ora e lo mandiamo a casa.”
Santo Vuazzap! Un’ora dopo ho visto Michele attraverso il cellulare della sorella.
“Ciao Michele, come stai?”
“Bene”, ha risposto un impassibile Michele, appoggiato ai cuscini dello schienale del letto del reparto di emergenza, con le braccia conserte.
“Puoi mettere le braccia avanti, parallele?”
“Bene” ed è rimasto a braccia conserte, immune alle sollecitazioni della sorella per fargli eseguire l’ordine (è il test di Mingazzini)
“Michele, chi è lì accanto a te?”
“Bene”
“Secondo te, in che stagione siamo?”
“Bene”, la solita impassibile risposta.
Qualche altra domanda, solita apatica e stereotipata risposta. Non poteva essere il Valium ad averlo ridotto così e di afasici di vario tipo ne ho visti tanti!
“Anna, dimettetelo, andate velocemente a Catania, magari alla Neurologia del Cannizzaro. Ho conosciuto in passato i colleghi, bravi e dai modi umani. Ti scrivo due righe sempre sul tuo cellulare segnalando questa evoluzione verso quella che considero oramai, seppur “da lontano”, una afasia globale. Mostra lo scritto ai colleghi increduli di qua, compreso quello “del nervoso”, e ai colleghi neurologi di Catania. Fate presto, però!”
Michele è stato ricoverato in quel reparto e ci è rimasto per quasi un mese, sottoposto a due rachicentesi (punture lombari), risonanze magnetiche e vari altri accertamenti. Senza tediarvi, la prima RM encefalica ha evidenziato un “gonfiore” del lobo temporale sinistro, provocato da un verosimile edema infiammatorio (autoimmunitario o meno). Guarda caso è l’area interessata alla comprensione del linguaggio, l’area di Wenicke, in connessione con il “centro” di Broca frontale e con regioni vicine. A sinistra: vale per tutti i destrimani e nei due terzi dei mancini.
Con antivirali e cortisonici Michele ha ripreso a parlare e comprendere qualcosa già nelle ore successive migliorando progressivamente fino alla dimissione di poche settimane fa. Sta recuperando ma è ancora in una condizione simile alla “nebbia mentale”, come viene chiamata una certa sequela cognitiva post-infezione da Covid-19.
In un racconto pubblicato qui- ma che non riesco a individuare e a segnalarvi- ho raccontato della mamma di mia cognata la quale è stata accolta da sonore risate da parte di una collega dello stesso pronto soccorso quando le aveva chiesto, su mio suggerimento, se avevano pensato che il malessere della mamma fosse magari conseguenza del fatto che la pressione arteriosa si riduceva di molto quando l’anziana donna si metteva in piedi. Solamente quando è tornata a casa, mia cognata ha proceduto alla misurazione ed ha confermato quanto sospettato ed ha ridotto le dosi di ipotensivo…
In triste conclusione, la neurologia resta scienza orfana. Penso con ammirata nostalgia ai “nostri” infermieri e persino a quelli\e che si chiamavano inservienti del reparto: sarebbero stati capaci di capire che si trattava di un’afasia. Molti di loro, senza leggere lo scritto del medico inviante, emettevano sospetti diagnostici dopo un semplice sguardo alla persona in carrozzina per una visita urgente. “Dottore, c’è una richiesta urgente di là che l’aspetta. Vada con calma: il signore ha una paresi facciale destra, ma è periferica.”
“Come ha fatto a capire che è periferica e non centrale?”
“Non riesce a chiudere bene con le palpebre l’occhio destro.”
Nella mia città natale, la neurologia e la neurochirurgia sono arrivate qualche decennio dopo la mia emigrazione “al nord” nel 1970, a Udine, dove c’era “tutto”, in una città con un numero di abitanti sostanzialmente uguale. Le due specialità sono state avviate a Siracusa dopo, ma non all’interno dell’ospedale, bensì in una struttura che sta da un’altra parte della città. Non sono un tecnico di programmazione sanitaria né un architetto che costruisce ospedali ma ritengo, attraverso le mie esperienze vissute sul campo, che i neurologi devono lavorare accanto ai rianimatori, agli internisti, ai reumatologi-immunologi, ai cardiologi, a tutti gli altri.
La mancanza di cultura neurologica, malgrado il peso delle “nostre” patologie nella società e nella sanità, persiste. E io faccio fatica a capire perché.