Le Nazioni Unite pochi giorni fa hanno proclamato il 2021-2030 come il Decennio dell'invecchiamento in buona salute (Decade of Healthy Ageing), con l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) alla guida delle azioni internazionali volte a migliorare la vita delle persone anziane, delle loro famiglie e delle comunità.
Mi auguro che guardino lontano, non solo a chi è già vecchio: leggete il seguito.
Mi avvio alla terza parte della “trilogia” sulla buona prevenzione per fragilità e demenze, affrontandola come clinico, come artigiano che lavora sul campo, accanto al letto della Persona malata, quindi compatibilmente con le mie conoscenze, i miei limiti, le mie esperienze di socio-politica “pratica”.
La salute non è uguale per tutti, anche se tutelata dalla nostra Costituzione e dall’OMS: vecchi sbagliati si diventa da bambini. Anzi, no: già nella pancia della mamma!
Scritto ciò, parto con una prima domanda.
1. Cosa serve per una corretta prevenzione?
In estrema sintesi, sono tre gli attori: cittadini responsabili, medici responsabili e politici responsabili, meglio ancora se statisti!
Si, bisogna essere bravi cittadini responsabili. Si parla perfino di “pazienti esperti”, non più semplici destinatari passivi del paternalismo medico ma persone sempre più coinvolte nelle scelte della salute, informati e formati, addirittura in grado di creare dei “rappresentanti esperti” dopo avere frequentato dei corsi appositi, come sta avvenendo a livello europeo con EUPATI e in Italia con EUPATI Italia, per portare la voce di chi è malato e le sue istanze nei tavoli dedicati alla salute. Da anni si discute di “patient empowerment” (1,2), da anni dico e scrivo CHI SA SI SALVA, da circa 25 secoli circola quanto scritto da Ippocrate sul paziente formato. Tuttavia, nella realtà quotidiana esistono socialmente coloro non vogliono saperne di leggere, aggiornarsi, "preoccuparsi" della salute propria e altrui (ad esempio, negazionisti Covid, no-vax, inquinatori…). In tanti magari vivacchiano di partite di calcio in tv o dell'inconsistenza del Grande Fratello. Insomma, come affermava insieme ad altri egregi pensatori Umberto Eco, esiste da tempo il paradosso di un’intelligenza collettiva sempre più indirizzata dal potere, unitamente alle proprie personali scarse velleità ad apprendere e alla (in)capacità di sacrificio, verso competenze irrilevanti, verso una serena ignoranza.
Accanto a costoro c'é chi va giustificato perché “non ha potuto sapere” ma avrebbe voluto e non é stato aiutato a conoscere a causa della miseria materiale e culturale della famiglia in cui é nato e per come é stato costretto a vivere. In ogni caso la "cultura" ci assiste, ne ho accennato alla fine dell’articolo del mese scorso e ne scriverò alla conclusione di questo.
È necessario avere medici competenti e privi dell’affanno del tempo che scorre, possibilmente generosi, empatici e comunicativi. Insomma, quasi perfetti. Riguardo ai miei colleghi, credo di avere commentato spesso alcune carenze da malasanità in questo sito, basta cercare.
Passo al terzo soggetto, la politica indubbiamente connessa alla società.
Elio Guzzanti è stato uno dei costruttori del nostro Sistema Sanitario Nazionale, ministro ed altro ancora. Era un uomo molto attento alla comunicazione e si indispettiva quando leggeva e sentiva parlare di “diritto alla salute”. Rispondeva: “Il diritto alla salute è prerogativa di nostro Signore, a noi uomini il compito di tutelarla con i mezzi disponibili”.
Oltre ai cittadini e ai medici ci vuole, quindi, una società equa. La nostra società è governata da forze politiche. Forze. Per alcuni aspetti “debolezze” politiche, che dovrebbero comunque condividere la responsabilità del maggior benessere per il Paese che amministrano. Lo fanno bene o mediocremente seguendo il filo ideologico di appartenenza ma, bisogna dirlo, soggiacciono comprensibilmente alle leggi economiche che a loro volta dipendono malauguratamente dai giochi finanziari.
“La tecnofinanza domina e ci domina, senza redistribuire ricchezza ma concentrandola sempre di più nelle mani di potenti oligarchie… Il presente ci assedia al punto da avere stravolto la stessa idea del tempo (domina una fretta che deriva dal latino fregare, e segnala l'uomo fregato) e il linguaggio, sfarinato in tante schegge di gergo individuale mentre il 47 per cento degli italiani sono classificati come analfabeti, funzionali o di ritorno”. Nel loro libro “Prigionieri del presente” Giuseppe De Rita sociologo e Antonio Galdo (3) scrivono di ignoranza e illustrano il concetto di “presentismo”.
Ignoranza: in questo campo non siamo molto lontani dalle cifre di Tullio De Mauro del 1999 e forse stiamo peggio:” Più di 2 milioni di italiani adulti sono analfabeti completi, quasi 15 milioni sono semianalfabeti, altri 15 milioni sono a rischio di ripiombare in tale condizione e comunque sono ai margini inferiori delle capacità di comprensione e di calcolo necessarie in una società complessa che voglia non solo dirsi, ma essere democratica” (4).
Una perfida parentesi: il taglio “manageriale” negli ospedali, o in certi ospedali (che, da ex ospedaliero, oggi non commento), fa coppia con quello vigente in certe scuole di scarso appeal, di dubbia reputazione, segnate dall’assenza di una tradizione e di una storia consolidata, nelle quali ha imposto un abbassamento del livello di conoscenze, un “tutti a casa promossi” ancor prima che arrivasse il coronavirus e la didattica a distanza. La preoccupazione è unica: “Chi si iscriverà mai in questo istituto se bocciamo qualcuno o, peggio, tanti? Perché poi sopportare le reazioni verbali, a volte fisiche! o legali dei genitori?”
“Se pensi all’anno prossimo, semina il granturco; se pensi ai prossimi 10 anni pianta un albero; se pensi ai prossimi 100 anni, istruisci le persone”. Sono parole di un saggio, Zygmunt Bauman.
Il politico che guarda al 2050 e fa programmi di largo respiro, utili e illuminati seppur poco appariscenti al momento, è uno statista, chi bada alle imminenti elezioni è un politico, affetto da una patologica dipendenza dal consenso immediato, da una insana miopia che gli restringe gli orizzonti. Lo statista programma il futuro, pensa ai figli e nipoti di tutti, non certo ad abbellirsi per le imminenti elezioni. Semplice, no?
Il politico avrebbe, dunque, un ruolo nel proteggere le persone più fragili, perché la salute, è necessario ripeterlo, non è uguale per tutti! Differenze sociali ed economiche influenzano il benessere delle persone favorendo o meno malattie e l’evoluzione delle stesse. Nei giorni in cui sto scrivendo questo articolo abbiamo assistito alle imprese di Trump, a quelle di Bolsonaro (negazionista nonché ennesimo fautore della deforestazione dell’Amazzonia, da cui forse è nata anche la recentissima variante brasiliana del coronavirus) e della neo assessora alla salute della Lombardia Letizia Moratti, che vorrebbe somministrare il vaccino non secondo Matteo (quello dei Vangeli!) ma secondo il PIL e la “produttività”, in questo dimostrando lo stesso pensiero “inutilitaristico” sugli anziani improduttivi del governatore della Liguria Toti.
Alcuni dati interessanti. I cittadini in svantaggio sociale tendono ad ammalarsi di più, a perdere l’autosufficienza ed a morire da 5 a 7 anni prima, ci dicono Giuseppe Costa e colleghi (5). Gli stessi autori ci informano che il tram numero 3 che attraversa Torino gode di una sorprendente popolarità anche al di fuori del capoluogo piemontese. Il suo percorso di 45 minuti è esibito ai congressi di medicina e di economia: mostra come, allontanandosi dalle ville ai piedi della collina e dirigendosi verso il quartiere industriale delle Vallette, i residenti perdano cinque mesi di vita per ogni chilometro percorso. I primi hanno un’aspettativa superiore agli 82 anni, gli altri non raggiungono i 78.
Lo sapevamo già dai lavori scientifici di Michael Marmot con gli studi Whitehall, dal nome della strada di Londra dove si trova il Ministero dell’interno, e attraverso il suo ineguagliabile testo “La salute diseguale” (6). Lo stesso, infatti, accade a Londra: se chi abita nella zona di Oxford Circus può sperare di arrivare in media fino a 96 anni di età, a ogni fermata di metropolitana più in là, andando verso le aree suburbane, questa ottimistica prospettiva diminuisce. Procedendo lungo la Jubilee line, da Westminster verso est, l’aspettativa di vita cala di un anno a ogni fermata.
L’andamento è inverso negli Stati Uniti, dove le famiglie più benestanti preferiscono vivere fuori città. Il risultato però è simile: prendendo la metropolitana dal centro di Washington fino a Montgomery County, nel Maryland, l’aspettativa di vita aumenta di circa un anno e mezzo per ogni miglio percorso.
Cos’altro è andato a scoprire Marmot?
Alla fine degli anni Settanta, si pensava che le persone con maggiore responsabilità fossero soggette a maggior stress e di conseguenza subissero più danni al cuore. Il lavoro di Marmot dimostrò il contrario, prima su 18.000 dipendenti del Ministero di sesso maschile e poi, vent’anni dopo, su oltre 10.000, un terzo dei quali erano donne. Anche questi risultati hanno lo stesso impatto visivo delle mappe del metrò: dal portiere all’ingresso, a salire ai piani alti, di promozione in promozione nei ranghi della pubblica amministrazione, l’aspettativa di vita sale, in maniera graduale e continua, soprattutto grazie al calo della mortalità per cause cardiovascolari.
I fattori di rischio tradizionali spiegavano solo un terzo circa del fenomeno: il fumo era infatti più frequente ai livelli più bassi, ma la colesterolemia, per esempio, era maggiore ai piani alti. I tassi di ipertensione e obesità cambiavano poco tra impiegati di prima fascia e alti funzionari del Ministero.
Secondo Marmot, queste differenze si spiegano soprattutto come effetto di uno stress psicosociale, determinato dalla percezione di avere minore controllo sulla propria vita rispetto a chi si trova ai livelli più alti.
Non c’è solo la povertà assoluta, ma anche quella relativa, per cui nel ricco occidente una persona, anche se ha un tetto sopra la testa, può vivere come frustrante il fatto di non potersi permettere mai di andare in vacanza o di non poter mandare all’università i figli, si logora per la precarietà del proprio lavoro o per il fatto di ritenerlo poco gratificante. Le aspettative crescono progressivamente e la competizione che permea la nostra società contribuisce ad alimentarle.
Tutto questo può riflettersi sull’aspettativa di vita in vari modi: indirettamente, perché chi è insoddisfatto magari fuma più facilmente, beve troppo o cerca conforto nel cibo; direttamente, perché nei casi estremi queste situazioni possono favorire l’insorgenza di disturbi mentali, come la depressione, a loro volta legati a una maggiore mortalità, o indurre effetti biologici che oggi stanno cominciando a diventare misurabili. Con un’espressione ad effetto si potrebbe dire che tra qualche anno il basso livello socioeconomico delle persone si potrà leggere nel sangue: nelle fasce sociali più basse si ritrovano infatti in media livelli più alti di indici infiammatori, indicatori che negli ultimi anni sono stati correlati a un aumentato di rischio di moltissime malattie (dall’ipertensione al diabete, dalla cardiopatia ischemica al cancro). Ugualmente sono più elevati i tassi di cortisolo, strettamente dipendenti dallo stress, a loro volta mediatori di fattori di rischio per molte malattie croniche.
Scendendo a un piano molecolare, tutto questo si può riflettere perfino nel DNA, perché questi contesti, soprattutto a causa degli stili di vita che portano con sé, possono condurre ad alterazioni epigenetiche che si ripercuotono sulla regolazione dei geni. La genetica, è bene saperlo, carica il fucile ma è l’ambiente (che comprende anche lo stile di vita ed altro ancora) che preme il grilletto, modificando quella che viene chiamata “espressione genica”.
Le cure intervengono comunque quando il danno è fatto. Sono importanti ma non agiscono sulle “cause delle cause”, come le chiama Marmot. Le sue intuizioni sono state confermate da altri.
Analizzando i dati derivanti da 48 studi indipendenti, i ricercatori del progetto europeo Lifepath guidati da Paolo Vineis, epidemiologo italiano dell’Imperial College di Londra, hanno seguito lo stato di salute di più di 1,7 milioni di individui, in tutta Europa per 13 anni ed hanno dimostrato che nel determinare l’aspettativa di vita, ipertensione arteriosa, obesità, abuso di alcol contano meno della posizione professionale. Alcune conclusioni: chi è più povero e non gode di una posizione sociale discreta vive meno a lungo. Essere disagiati può costare fino a due anni di vita. Un calo dell’aspettativa dell’esistenza paragonabile a quella di chi fuma, beve, fa poca attività fisica o soffre di diabete. (7)
Un recente studio australiano (8) ha rivelato, prelevando campioni provenienti da 22 stazioni di depurazione delle acque di scarico, che queste possono svelare reddito e salute attraverso ciò che trasportano, da metaboliti di psicofarmaci e cibo. Hanno isolato una quarantina di biomarcatori che si trovano normalmente nelle urine. In particolare sono state analizzate le concentrazioni di vitamina B e fibre, che sono risultate più presenti nelle zone residenziali con una popolazione ad alto reddito e che rivelano un'alimentazione diversificata e ricca di frutta e verdura. Ha riscontrato altro: gli oppioidi sono risultati equamente distribuiti, ad eccezione della morfina, più presente in aree dove vivono più anziani e del tramadolo (oppioide sintetico), maggiormente consumato nelle zone operaie, forse per alleviare i dolori cronici legati a lavori usuranti. Gli antidepressivi sono più utilizzati dalle persone economicamente svantaggiate ma, curiosamente, ogni molecola sembra avere un suo target di popolazione (e di reddito). Nei quartieri dove abitano più dirigenti, inoltre, sembra essere particolarmente trovato un anti-allergico, probabilmente per la maggiore presenza di animali domestici e giardini.
L'uso del tabacco, invece, è più diffuso nelle fasce meno abbienti, mentre il consumo di alcol, al contrario di quanto normalmente si creda, è maggiore in chi ha redditi più elevati.
A New York si dice che maggiore è la metratura dell’appartamento, minore sarà la taglia del vestito, per sottolineare come l’obesità sia molto più frequente nelle classi sociali più basse, meno attente alla cura del proprio corpo, a svolgere una regolare attività fisica e a seguire una sana alimentazione.
Insomma, dove uno nasce, che genitori ha, come avviene la sua istruzione, influenzeranno l’essere cittadino onesto o criminale, il cercare un lavoro o non riuscire a trovarlo: tutto ciò comporta conseguenze enormi per la salute. Per questo la chiave di volta è considerare la salute come una questione morale e di giustizia sociale.
La rappresentazione dei pioli della scala fatta da Marmot rende chiaro e visibile il gap della diseguaglianza sociale, una forbice che si sta purtroppo progressivamente allargando.
Questa riflessione si collega alla seconda domanda.
2. Quando cominciare la prevenzione?
Non mi soffermo sui pur basilari concetti di prevenzione primaria, secondaria e terziaria e rispondo con un semplice” prima possibile, sin da piccoli; anzi, già nella pancia della mamma!”
Si, proprio così. Il FASD (Fetal Alcohol Spectrum Disorders) può presentarsi nei bambini la cui madre ha bevuto alcol in gravidanza. La diagnosi è difficile e può arrivare anche dopo una vita di sofferenza. Meglio di noi medici (che lo conosciamo poco!) ve lo può raccontare Claudio che ha fondato www.aidefad.it.
Lo stesso principio, gli stessi disastrosi effetti valgono per l’uso di droghe durante la gravidanza, spesso abbinato a uno stile di vita scorretto, e vale per alcuni aspetti anche per alcuni farmaci: è di pochi giorni fa la notizia della battaglia legale vinta a livello europeo da una madre per fare applicare dalla francese SANOFI sulle scatole di Depakin, un antiepilettico presente sul mercato da circa 50 anni, una scritta in un ben visibile rosso: NO alle donne gravide! Il farmaco negli anni si è dimostrato teratogeno sul bambino che deve nascere.
E dopo la gestazione e la nascita?
Essere poveri da bambini e ragazzi, specie quando si combina con una bassa istruzione dei genitori, incide negativamente sulla salute e sullo sviluppo cognitivo. Le disuguaglianze di condizioni di vita e opportunità di sviluppo tra bambini e ragazzi non sono solo le più ingiuste, sono anche uno spreco di capitale umano, una sorta di disuguaglianze di destino!
Proietto questa diapositiva da almeno due anni, non sto approfittando della recente débâcle etica di un paranoico arrogante. Del povero bambino siriano spiaggiato già sappiamo. Del nipote di Trump possiamo immaginare il futuro. Che fine farà invece il bambino messicano imprigionato, separato dalla madre ai confini del Messico? Che opportunità di riscatto sociale avrà? Poche, credo. Con infinita tristezza e rabbia mi sento costretto a immaginare che potrebbe diventare un violento, uno spacciatore, un malvivente che sarà presto acchiappato e messo in prigione se non verrà prima soffocato dall’insistente peso sul collo di un solido poliziotto o ammazzato con un banale proiettile.
Un libro (e altro ancora) avrebbe potuto scardinare il muro tra USA e Messico?
Ricerche effettuate dall'Istituto Superiore di Sanità e altrove nel mondo sui bambini della scuola elementare hanno trovato che è obesa una percentuale maggiore di bambini i cui genitori hanno frequentato la sola scuola dell'obbligo a fronte di quelli con i genitori diplomati e soprattutto rispetto a quelli con i genitori laureati. Inoltre i primi mangiano meno frutta e verdura fresche ed effettuano raramente una visita pediatrica, oculistica o dentistica (9).
Libri e parole…
Un economista premio Nobel 2000, James Heckman (10), ha curato uno studio esemplare ed ha concluso che abbiamo la necessità di una prevenzione seria e precoce perché, in fondo, è redditizia! Ha seguito tre gruppi di bambini: i figli di genitori disoccupati disponevano di 500 parole, i figli di genitori con mestieri umili di 700 parole, mentre i figli dei laureati arrivavano a 1.100.
Seguendo negli anni i tre gruppi di bambini ha visto che lo scarto tra i tre campioni tendeva addirittura a crescere, per cui ha concluso che il livello culturale della famiglia è in grado di far prevedere già a 3 anni il futuro del bambino: il successo o meno nella vita, la capacità o meno di evitare errati stili di vita, il vizio del fumo e l’obesità, il livello di salute. Per tale motivo James Heckman ritiene economicamente più validi i programmi educativi rivolti alla prima infanzia, quando la permeabilità all’istruzione è massima ed il cervello è più recettivo. L’intervento del welfare classico costa di più ed è meno efficace!
Sono centinaia i lavori recenti sui meriti salutari dello studio. Ne cito solamente alcuni. Alice R. Carter e colleghi ci comunicano che “Studiare fa bene al cuore: riduce il rischio di infarti e ictus”. La ricerca suggerisce che solo la metà di questo effetto protettivo deriva dalla riduzione del peso corporeo, dei livelli di pressione arteriosa e del fumo. Si può anche ipotizzare una maggiore interazione con il medico che potrebbe agire sulla prevenzione e le diagnosi precoci (11).
Gli svantaggiati partecipano meno ad attività sportive, di volontariato, musicali, teatrali, a visite museali ecc. le quali, a parità di condizioni economiche della famiglia, migliorano le competenze cognitive.
La nuda statistica ci conferma ancora una volta il valore umano ed economico, non dimenticando quello etico, del “prendersi cura anche delle parole”. Malala alle Nazioni Unite aveva pronunciato queste: “L’istruzione è una delle benedizioni della vita. Un bambino, un maestro, una penna e un libro possono cambiare il mondo…”. È diventata famosa nel mondo semplicemente perché “voleva studiare” e desiderava che potessero farlo altre ragazzine come lei: ha rischiato di perdere la vita perché un fanatico ignorante le ha sparato giusto in testa.
Nel suo articolo sull’Espresso dell’11 febbraio 2018 Elvira Seminara esordisce così: “Scusate se inizio così, ma c’è una parola che muore mentre leggete questo pezzo…”
Il nostro Erri De Luca mi ha sconvolto con questa amara e profonda riflessione: “La scuola dava peso a chi non ne aveva, faceva eguaglianza. Non aboliva la miseria, ma tra le sue mura prometteva il pari. Il dispari cominciava fuori…”.
Dobbiamo prenderne atto. Ragionevolmente non possiamo continuare a sperare nel nostro saltuario emergente italico talento, nelle eccezioni…
In conclusione, ceto, reddito e istruzione condizionano certamente alcuni comportamenti dannosi alla salute: dipendenze da alcol, droghe, fumo, azzardo, sedentarietà, cattiva alimentazione, sovrappeso, diabete mellito, ipertensione arteriosa, malattie cardio e cerebro-vascolari, broncopatie, neoplasie, malattie legate a sesso non protetto, esposizione ad inquinamento.
Infine: “Essere poveri è come essere vecchi” recita un graffito vicino al lago Vittoria. Però ridere fa bene. Allora finisco con lui!
Bibliografia
1. Patient empowerment—who empowers whom? The Lancet 2012; 379: 1677
2. Richards T, Montori VM, Godlee F, Lapsley P, Paul D. Let the patient revolution begin. BMJ 2013;346:f2614
3. Giuseppe De Rita e Antonio Galdo. Prigionieri del presente. Einaudi 2018.
4. La cultura degli italiani. Conversazione con Tullio De Mauro curata da Francesco Erbani. Laterza 2004.
5. Giuseppe Costa et al. L'equità in salute in Italia. Secondo rapporto sulle disuguaglianze sociali in sanità. Franco Angeli. 2015
6. La salute diseguale. Michael Marmot. Pensiero Scientifico Editore 2016
7. Silvia Stringhini et al. Socioeconomic status and the 25 × 25 risk factors as determinants of premature mortality: a multicohort study and meta-analysis of 1·7 million men and women. The Lancet Vol 389, March 25, 2017
8. Phil M. Choi et al. Social, demographic, and economic correlates of food and chemical consumption measured by wastewater-based epidemiology. PNAS October 22, 2019 116 (43) 21864-21873.
9.www.epicentro-ISS.
https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwjS8ZXE3qfuAhXauaQKHROJA6oQFjADegQIBBAC&url=https%3A%2F%2Fwww.epicentro.iss.it%2Fokkioallasalute%2Findagine-2019-dati&usg=AOvVaw1n_VkunoFRw58LQCQXE554
10. James Heckman, nel seguente sito e altrove. https://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwj0g9LB4qfuAhXJC-wKHd-fAFYQFjAEegQIAxAC&url=https%3A%2F%2Fwww.avvenire.it%2Fopinioni%2Fpagine%2Fl-investimento-che-manca-all-italia&usg=AOvVaw27bDzQ2tQ1n-k84NTw9Jga
11. Alice R Carter et al. Understanding the consequences of education inequality on cardiovascular disease: mendelian randomisation study. BMJ May 2019