“Vecchi sbagliati si diventa da bambini” è una frase che uso molto nelle mie conferenze sulla prevenzione verso una vecchiaia più sana e indipendente.
È ormai scientificamente assodato che molte delle più comuni malattie croniche degli occidentali hanno un legame con lo stile di vita e che certamente è il comportamento complessivo durante la propria esistenza ad influenzare con benefici o danni l’ultimo tratto del nostro cammino sulla terra. Sì, il cammino...
Osteoporosi, malattie degenerative muscolo-scheletriche (artrosi), diabete mellito, obesità, patologie cardio e neuro-vascolari, persino demenze, depressione, cancro e disordini immunitari vengono favoriti da un comportamento inattivo.
All’opposto, è dimostrato che esiste una stretta relazione fra attività fisica regolare, stimoli cognitivi, corretta alimentazione e miglioramento dello stato di salute, misurabile in termini di abilità funzionale motoria, cognitiva e di benessere psicologico.
Su The Lancet di luglio 2017 Gill Livingston ed altri 23 esperti internazionali avevano ufficialmente aggiunto due nuovi fattori di rischio modificabili per demenze: la sordità e l’isolamento si aggiungevano, quindi, al preesistente elenco noto dal 2011 che ne segnalava sette. Diabete mellito, ipertensione arteriosa e obesità in età adulta, fumo, depressione, bassa scolarità e sedentarietà adesso hanno altri due compagni di sventura! I nove fattori di rischio, se “modificati” prima possibile nel corso della vita, sono in grado di ridurne i casi di demenza, Alzheimer compreso, di oltre un terzo.
In due articoli su questo sito (qui e qui)mi sono soffermato prevalentemente sulla “nemica solitudine” : la solitudine “amara” (sopportata, non desiderata, subìta) è uno di questi fattori di rischio modificabili per demenze, ma tutti e nove (ed altri che “aggiungerò” e commenterò in successivi articoli) hanno un indubbio valore per la salute globale.
Cos’altro posso aggiungere e raccontare in questi tempi incerti che di allegro hanno solamente il colore sgargiante delle regioni (giallo, arancione, rosso…)?
1. Torno brevemente sull’isolamento. “Con la quarantena aumenta il rischio demenza per gli anziani”. Simona G. Di Santo e colleghi della Fondazione Santa Lucia Irccs di Roma hanno appena pubblicato (The Effects of COVID-19 and Quarantine Measures on the Lifestyles and Mental Health of People Over 60 at Increased Risk of Dementia. Front. Psychiatry, 14 October 2020) una ricerca sugli effetti della quarantena: viene ridotta la possibilità di fare attività fisiche, sociali e cognitive; modifica la dieta e aumenta la quota di tempo trascorsa passivamente; limita la possibilità di fare attività fisiche, sociali e cognitive. Tutti comportamenti, dunque, che mettono a rischio la salute degli anziani a tal punto che coloro che presentano un quadro di Mild Cognitive Impairment (lieve deterioramento cognitivo) o un Declino Cognitivo Soggettivo vedono aumentare la possibilità di sviluppare forme di demenza.
2. Devo riaffermare in maniera chiara e perentoria che buona parte dei nove fattori di rischio sono applicabili alla salute generale e quindi alla fragilità che ad un certo stadio della vita fa capolino. Questi fattori di rischio sono in qualche modo interconnessi attraverso dinamiche anche semplici da comprendere: ad esempio, chi è depresso è spesso sedentario, mangia male, non “allena” il cervello con progetti, letture ed altro e non coltiva la speranza; chi è sedentario e mangia male ingrassa; chi ingrassa va verso la sindrome metabolica che comprende alterazioni dei grassi e degli zuccheri del sangue e ipertensione; questi danneggiano il cuore ed il resto del corpo; un cuore danneggiato crea problemi al cervello (è la nobile pompa di un nobile organo!) e così via.
“Quel che va bene per il cuore va bene per il cervello”. Affermazione esatta, con uno sguardo ampio esteso al resto del corpo, da mettere in pratica se si vuole invecchiare bene a dispetto di qualche politico (ma non solo!) che ci ritiene inutili in qualità di anziani. Uno studio condotto su 1.588 pazienti (Ruixue Song et al. Associations Between Cardiovascular Risk, Structural Brain Changes, and Cognitive Decline. Journal of the American College of Cardiology Vol 75, Issue 20, May 2020) ha misurato mediante la scala di rischio di Framingham il carico di rischio cardiovascolare, evidenziando che, se aumentato, risulta associato a segni neurodegenerativi e in grado di predire nel tempo il declino cognitivo. In assenza di trattamenti efficaci per la demenza, concludono gli autori, è necessario monitorare e controllare il carico di rischio cardiovascolare come metodo per mantenere la salute cognitiva del paziente con l’invecchiamento.
Una riflessione necessaria, lontana anni luce dall’attuale “medicina della fretta”: dovremmo saper lavorare sul campo come neurologi, ma anche come geriatri, cardiologi, psicologi, infermieri, OSS… insomma, avere un’idea olistica e uno sguardo ad ampio orizzonte della salute propria e degli altri.
3. Accanto all’invecchiamento progressivo mondiale, e italiano in particolare, esiste effettivamente un processo di “giovanilizzazione” che si trova però dall’altra parte della barricata umana molto spesso, in Italia, segnata dagli anni passati in cattive condizioni di salute (Anni di Vita Sana, i cosiddetti YLDs) in situazioni complesse di multimorbilità, soprattutto nelle donne.
Da tempo si dice “aggiungere vita agli anni” ovvero vivere a lungo, sì… ma in che condizioni?
4. Stiamo assistendo paurosamente nel contempo, purtroppo, ad un critico fenomeno emergente: alcune patologie tendono addirittura a presentarsi precocemente, giustificate dall’ipotesi che le generazioni più giovani abbiano stili di vita e di consumo nonché condizioni ambientali meno salubri, oltre che minori capacità di spesa per la cura e la prevenzione (Chang AY et al. Measuring population ageing: an analysis of the Global Burden of Disease Study 2017. Lancet Public Health. 2019 Mar 1;4(3):e159-67).
5. Aumenta l’obesità nel mondo, malgrado un miliardo circa di persone che soffre la fame. Un recente lavoro americano ha coinvolto oltre 17mila individui. È emerso che al crescere del peso si riducono flusso sanguigno e attività cerebrale, specie in aree critiche associate a memoria ed apprendimento come ippocampo e lobi parietali (Daniel G. Amen et al. Patterns of Regional Cerebral Blood Flow as a Function of Obesity in Adults. Journal of Alzheimer's Disease. August 5, 2020). Si, i chili di troppo pesano sull'attività del cervello.
Detto questo. seppure in estrema sintesi, cosa possiamo fare, facilmente e a basso costo per stare meglio e arrivare con successo alla terza e quarta età?
La mia diapositiva è vecchia di 10 anni esatti ma resta attualissima pur nella sua estrema sintesi!
Desidero soffermarmi brevemente – come si sente la mancanza di cinema, teatro, musei in questo autunno… - su un dato di notevole rilevanza, che in qualche modo si trova tra i 9 fattori di rischio modificabili per fragilità e demenze: la cultura, nelle sue varie forme.
L’impegno culturale protegge la salute con diversi meccanismi. Dice Daisy Fancourt: “L’arte dovrebbe essere prescrivibile dai medici. Ha un’influenza positiva sul sistema neuroendocrino riducendo il cortisolo, ormone dello stress; su quello immunitario; sui neurotrasmettitori del benessere”.
Ricordo con rammarico che abbiamo avuto – non sono passati molti anni - un ministro esperto in economia che a suo tempo non ne comprendeva la portata affermando che con arte e cultura non si mangia.La cultura, tuttavia, sta diventando un fuori moda a scuola. Tutti promossi – anche prima del Covid – almeno in certe scuole dirette con un insano criterio manageriale: “se ci facciamo la fama di bocciatori, nessuno si iscriverà nel nostro istituto”!
E ancora: genitori irresponsabili che inveiscono contro insegnanti solidi e impegnati proteggendo figli pericolosamente proiettati verso un futuro professionale incerto, per usare un eufemismo. Lo scrivo confortato (dovrei scrivere sconfortato) dall’esperienza di amici insegnanti seri.
Fuori dalla scuola, poi, imperversa l’uso della “pancia”, dell’agire attraverso le emozioni del momento non filtrate dalla ragione e dalla conoscenza, piuttosto che un agire mediante la sana, lenta, paziente riflessione confortata da qualche lettura o dall’ascolto di chi ne sa di più.
Scolarità. Certamente, quando chiediamo ai nostri pazienti quanti anni di scuola hanno alle spalle per “conteggiare” il profilo di un esame cognitivo, dovremmo tenere nel debito conto che una persona che ha frequentato solo le elementari potrebbe aver condotto una vita ricca di interessi culturali, di prorompente curiosità. Magari diversamente da certi “studiati” che non hanno più aperto un libro o un giornale serio dopo il diploma o la laurea…
Ammainata per il momento la bandiera culturale e rimandati ad un prossimo articolo gli altri fattori di rischio modificabili emergenti, dedico il resto dell’articolo alla sedentarietà (in aumento nel mondo occidentale) e alla apparentemente strana “chimica” che collega l’attività motoria ricreativa al benessere cerebrale.
Il movimento a scopo ricreativo e gli aspetti positivi psicologici che spesso lo accompagnano, come l’impegno, la riflessione, la soddisfazione e l’allegria, producono (sinteticamente) una riduzione della glicemia e del colesterolo “cattivo” (due importanti fattori di rischio vascolare ed anche degenerativo cerebrale), del peso corporeo (a cui consegue facilmente un miglioramento della qualità del sonno, la riduzione del russamento e\o delle apnee nel sonno), dei problemi articolari a piedi e ginocchia e globalmente della personale funzionalità e autonomia motoria. Insomma: della qualità di vita.
L’attività motoria ricreativa induce “chimicamente” un aumento della serotonina (mediatore chimico cerebrale dell’umore e del benessere. Ovvero: ha una valida e comprovata azione antidepressiva, gratuita!), di un fattore di crescita neuronale, il BDNF, e dell’Insulin-like Factor (IGF-1).
Il BDNF, in laboratorio, potenzia la capacità di sopravvivenza dei neuroni, promuove la neurogenesi (la scoperta di neuroni “staminali” del nostro cervello avvenuta circa venti anni fa ha accantonato la Teoria delle 4 N: Non Nascono Nuovi Neuroni) e la crescita dei prolungamenti e delle connessioni, le sinapsi neuronali. Nell’animale l’infusione del BDNF protegge la corteccia dai danni prodotti da una ischemia cerebrale. Anche un ambiente ricco di stimoli induce un aumento di BDNF, ulteriore conferma che una vita culturalmente attiva rappresenta un fattore protettivo.
L’Insulin-like Factor (IGF-1) agisce sul metabolismo del glucosio e con un meccanismo complesso sui neuroni (la malattia di Alzheimer viene chiamata da alcuni ricercatori il “terzo tipo di diabete”). Gli effetti dell’attività motoria ricreativa fatta in modo continuativo sarebbero particolarmente evidenti a carico dell’ippocampo, una regione cerebrale che riveste un ruolo centrale nei processi di apprendimento e memoria, e che appare essere particolarmente colpita in corso della malattia di Alzheimer.
Non è finita: telomeri e telomerasi. La telomerasi, detta “l’enzima dell’immortalità”, impedisce che le estremità dei cromosomi, i telomeri, si accorcino con le divisioni e il passare degli anni. Gli studi su telomeri e telomerasi, cominciati all’inizio degli anni ’80, hanno valso il premio Nobel nel 2009 alle due ricercatrici americane Elizabeth Blackburn e Carol Greider e all’inglese Jack Szstak.
Esistono a tal proposito delle evidenze scientifiche a favore dell’utilità dell’esercizio fisico ricreativo: in un campione di sedentari sani e non fumatori i telomeri sono risultate più corti (di circa 200 nucleotidi) rispetto a quelli di un campione di sportivi professionisti, le cui cellule sono, quindi, più giovani di circa 10 anni.
Solamente due dei tantissimi lavori scientifici pubblicati su riviste autorevoli, di certo non sponsorizzati dalle lobby delle scarpe!
L’esercizio fisico allunga la vita, a qualunque età: 14.599 soggetti tra 40-80 anni sono stati seguiti per 8 anni. Il passaggio da una vita sedentaria ad un’attività fisica moderata per almeno 150 minuti a settimana appare associato a una riduzione del rischio di morte per malattie cardiovascolare del 29%, per qualunque causa del 24%, per cancro dell’11% (Mok A. et al. Physical activity trajectories and mortality: population based cohort study. BMJ 2019 Jun 26;365:l2323).
È emerso persino questo aspetto che trovo sublime: quando si cammina in compagnia la sincronizzazione dei passi diventa una forma di comunicazione non verbale. Per condurre lo studio i ricercatori hanno accoppiato uomini e donne – che indossavano registratori vocali e sensori di movimento - facendole camminare lungo un percorso tranquillo e privo di barriere. Una camminata silenziosa all’andata e conversando al ritorno; una camminata sempre silenziosa e, infine, stare seduti, in silenzio, compilando un questionario per valutare le impressioni sui partner prima e dopo ogni camminata. Le coppie che si erano dichiarate in sintonia hanno registrato una maggiore sincronizzazione nella camminata, soprattutto le coppie femminili rispetto a quelle maschili e i partecipanti più anziani (Miao Cheng et al. Walking together: personal traits and first impressions affects step synchronization. Plos One. February 21, 2020).
Come elaborare un programma motorio? L’attività motoria con gli adulti e con gli anziani non va intesa come intervento riabilitativo offerto a persone colpite da eventi invalidanti (fratture, ictus cerebrale, ecc.), né come attività agonistica destinata a sportivi che per tutta la vita hanno coltivato l’abitudine all’esercizio fisico, ma ha valore di proposta motoria di “mantenimento” finalizzata ad attivare (o riattivare) capacità motorie mortificate da decenni di vita sedentaria al fine di ottenere, compatibilmente con altri fattori sociali e sanitari, un auspicabile “invecchiamento di successo”.
A seconda dell’età, delle abitudini e dello stato di salute appare consigliabile ed opportuno procedere ad una valutazione medica preventiva generale o eventualmente specialistica, a cui far seguire un programma finalizzato e adattato all’individuo secondo requisiti di efficacia e tollerabilità, che tenga conto di alcuni rischi in particolare a carico dell’apparato muscolo-scheletrico e cardiovascolare.
È necessario rapportare l’intensità e il ritmo dell’esercizio fisico alle capacità funzionali, valorizzando anche gli aspetti relazionali, rilassanti e divertenti (ridere fa bene…). Standard internazionali consigliano almeno 150 minuti di camminata a medio-alta intensità alla settimana, ad esempio 30 minuti per 5 volte la settimana, mentre altri propongono 45 minuti per almeno tre volte la settimana. Riuscire ad organizzare gruppi di cammino rappresenta una soluzione ottimale.
Non è mai troppo tardi per cominciare, basta iniziare dicendo no all’ascensore e ai preconcetti legati al “meritato” riposo da pensionamento! Non c’è spazio per le scuse: “non ho tempo, sono stanco, non ho voglia; non sono capace; mi faccio male; non ho soldi; chi pensa alla spesa e a cucinare?”
D’altra parte, al consiglio per la salute da parte del medico “Deve passeggiare almeno mezz’ora al giorno e vedrà che starà meglio” l’anziano potrebbe rispondere, a dire il vero, con un giustificato “Passeggiare con chi, dove e come?” che deve farci riflettere.
Per superare gli ostacoli iniziali a volte serve qualcuno (lo chiamo l’angelo salvatore), un amico, un conoscente, un volontario che ci stimoli o ci metta a contatto con realtà di progetti organizzati di prevenzione e promozione della salute, che sono sempre più numerosi.
I programmi di promozione della salute dovrebbero prevedere il cammino come esercizio fondamentale con l’obiettivo di conservare l’autonomia e l’efficienza il più a lungo possibile… e di evitare almeno qualche farmaco.
L’attività fisica ricreativa in generale possiede un ruolo centrale nell’ambito della gestione del tempo libero degli anziani, e questo sostanzialmente per due motivi. Il primo è dovuto ai benefici che comporta un ottimale stato di efficienza fisica (il mese scorso ho dedicato un articolo ai piedi – e non solo - degli anziani: il secondo è determinato dalla possibilità che offre l’utilizzare il “tempo in movimento”: un atteggiamento positivo verso la vita, l’incontro con altre persone con cui condividere un interesse e la possibilità di intrecciare e consolidare relazioni sociali positive, tutti fattori protettivi.
Camminare in compagnia, fa bene, ne ho accennato prima.
Un consiglio: se siete da soli portatevi un pezzo di carta e una penna perché vi verranno certamente delle idee, a volte delle vere illuminazioni. La camminata è creativa! Nietzsche, nel Crepuscolo degli dei, asseriva convinto che “solo i pensieri che hanno camminato hanno valore”. Ernest Hemingway in Festa mobile scriveva “passeggiavo lungo i quais quando avevo finito di lavorare o quando cercavo di farmi venire qualche idea”. Camminando si medita più agevolmente e si può decidere con appropriatezza: solvitur ambulando, si risolve camminando, affermava Diogene nel IV secolo a.c.
Manipolo Dante allo scopo di regalarvi un sorriso: “Fatti non foste a viver da seduti!”.
E infine Pietro Citati (da la Repubblica di qualche anno fa) ci insegna che si può ancora passeggiare in un mondo che ha smesso di camminare: “Nella mia vita ho passeggiato molto. Per almeno quarant’anni ogni giorno alle 14 uscivo di casa… La passeggiata pomeridiana…aveva, per me, un’importanza capitale. Mi riposava, mi irrobustiva, mi dava calma e quiete. Soprattutto cancellava tutti i pensieri della mattina: la mia mente diventava vuota, si compiaceva di essere vuota; e cominciavano a nascere altri pensieri, che lentamente si formavano, costruivano un’architettura nella quale sarei vissuto il pomeriggio e la sera. La giornata diventava nuova, la mente agile, e il sonno si preparava e si annunciava da lontano. Non ero solo...c’erano i nonni, una stirpe a cui allora non appartenevo ma che mi ha sempre affascinato. Ora, tutto è cambiato. Quasi nessuno passeggia più. E i nonni, i pensionati, gli sfaccendati dove sono andati a finire? Cosa fanno? Vivono prigionieri dei loro tristi pensieri o delle mura delle proprie case. Vorrei che si ricordassero o (se non hanno ricordi) imparassero. Niente è più bello che passeggiare contemplando gli alberi o guardando lievemente, senza preoccupazioni, dentro se stessi…”.
Di quanti intellettuali di rango abbiamo bisogno in questo scenario dominato dall’aumento delle parabole sui tetti e delle porte blindate?
Camminare è indubbiamente l’attività fisica ideale in quanto non richiede attrezzature o abbigliamento particolari, può essere praticata da (quasi) tutti, si svolge all’aperto – e spesso col beneficio delle radiazioni solari sulle ossa e sull’umore, oppure respirando gli odori del bosco, condizioni climatiche permettendo, non fa perdere tempo nei preparativi, non sovraccarica la colonna vertebrale e le articolazioni degli arti inferiori (se il peso corporeo non è eccessivo…).
Su questo argomento interverrà prossimamente in questo sito Chiara Baradello, biologa, nutrizionista e guida ambientale che in modo originale abbina le sue competenze, ovvero i consigli dietetici, associandoli all’attività motoria, culturale e naturalistica. Illustrerà cosa-quanto mangiare completando il quadro del come-quanto-dove muoversi fisicamente, per stare meglio da subito e per rinviare la fragilità del futuro.
Il nordic walking permette di estendere l’esercizio al resto del corpo, in particolare agli arti superiori, peraltro con movimenti alternati e opposti di braccia e gambe che migliorano la coordinazione stimolando nel contempo i centri cerebrali frontali; nel contempo l’uso dei bastoncini alleggerisce il carico del peso, magari superiore alla norma, sulle ginocchia e le altre articolazioni sensibili.
Chi abita in qualche zona di transito, un “non luogo” (succede se si vive in certe periferie piuttosto desolate), attraverso il movimento può essere piacevolmente condotto in un più affascinante altrove.
Renzo Piano prova a immaginare un mondo dove non c’è differenza tra urbano e rurale, centro e periferia. Esiste, dice lui: “basta progettarlo. Ed è da qui che possiamo ripartire. Perché vivere distanziati è vivere di meno: ho passato una vita a costruire luoghi pubblici, scuole, biblioteche, musei, teatri. E poi strade, piazze e ponti. Luoghi dove la gente condivide gli stessi valori, le stesse emozioni, impara la tolleranza. Luoghi dove ci si confonde gli uni con gli altri, e dove si celebra il rito dell’incontro: questi luoghi sono tutti chiusi oggi, a causa del Covid, ma non ci dobbiamo arrendere (Robinson di la Repubblica del 21 novembre 2020)”.
L’attività fisica è, in conclusione, uno strumento efficace per contrastare i fattori di rischio delle malattie cardiovascolari e dismetaboliche (diabete in primis) ed alle loro conseguenze a livello cerebrale. Agisce anche nel ritardare il possibile declino cognitivo nel soggetto sano e nei soggetti con demenza in fase iniziale, migliora persino il comportamento (in senso lato) delle persone con demenza in stadio avanzato. Combatte la depressione ed accresce la motivazione a prendersi cura di sé per occuparsi del proprio benessere.
L’esercizio va considerato alla stregua di un farmaco che, opportunamente somministrato, previene le malattie croniche da inattività e ne impedisce lo sviluppo, garantendo considerevoli vantaggi sia alle singole persone, sia al Sistema Sanitario Nazionale riducendo ospedalizzazioni e uso di medicinali.
Arrivo alla fine del mio scritto con una battuta del formidabile W. Allen: “Prima di salutarvi vorrei inviarvi un messaggio positivo, ma non ne ho… Vanno bene due negativi?”
Io vi propongo un pari: un tremendo proverbio ebraico utile però a convincere qualcuno a cambiare registro alla propria vita (“Chi non trova tempo per l’attività fisica troverà tempo per le malattie”) e una conclusione allegra, un invito a ballare, un’aurora di spensieratezza!
Movimento, ritmo, gioia, compagnia…