Era ora! Il 18 gennaio 2018 sui maggiori quotidiani sono apparse notizie confortanti per chi combatte contro la solitudine, quella personale e quella degli altri.
Su Repubblica il titolo era incoraggiante: La solitudine al potere per aiutare i single.
Insomma, il governo inglese conservatore ha sposato la proposta della deputata laburista Jo Cox, assassinata da un fanatico di estrema destra quasi due anni fa, ed ha istituito un ministero della solitudine con il compito di occuparsi di questa epidemia sociale. L’articolo riporta le cifre inglesi e ci torna a ricordare che quelle italiane dell’ISTAT indicano percentuali superiori rispetto all’oltremanica: quasi il 32% delle famiglie italiane sono composte di una sola persona. Un italiano su tre, e quasi la metà di questi ha superato i fatidici 65 anni. In maggioranza sono donne. Sole, in aumento percentuale ulteriore rispetto agli uomini col passare degli anni per la nota maggior sopravvivenza.
La solitudine ha tuttavia molte facce. Pier Paolo Pasolini affermava che “La solitudine può essere una tremenda condanna o una meravigliosa conquista”. Chi non ha mai sognato di avere momenti o periodi di solitudine, per riflettere, pensare a se stessi, organizzare il futuro, leggere, scrivere, dormire, oziare, girovagare, andare al cinema tre volte al giorno? In questo caso si tratta di una solitudine che sa di libertà cercata, conquistata, “creativa” e comunque ristorativa e a connotazione positiva.
Dall’altra parte c’è la solitudine subìta, imposta, mal sopportata, accettata senza combattere o nell’impossibilità di farlo. Ma anche in questo caso, se si ha una rete di veri amici, se gli interessi sociali sono dinamici, il vivere da soli non diviene insopportabile e fonte di malessere. Altrimenti sì.
Ed esiste poi la solitudine di chi vive in compagnia di un coniuge o di altri, come ci ricordano John Cacioppo e William Patrick in Solitudine. L'essere umano e il bisogno dell'altro (Il Saggiatore).
In conclusione, si sente penosamente solo chi avverte quella esperienza soggettiva di solitudine e non chi è fisicamente da solo.
La solitudine che io chiamo amara, se è protratta, se è accompagnata dalla realtà di “non sapere a chi chiedere aiuto” (in Italia è stimata una cifra del 13%) e pertanto anche da situazioni di pericolo obiettive (per cadute, sincopi, scompensi cardiaci e altro) è un fattore di rischio di fragilità e persino di demenze.
Pochi mesi fa una commissione internazionale di esperti voluta dalla rivista Lancet ha identificato in tutto nove fattori per ridurne i casi di demenza, Alzheimer compreso, di oltre un terzo (circa 35%). Su Lancet del luglio 2017, Gill Livingston e altri 23 esperti internazionali hanno aggiunto due “nuovi” fattori di rischio per demenze, la sordità e la scarsa socializzazione, al preesistente elenco noto dal 2011 che ne segnalava sette: diabete mellito, ipertensione arteriosa in età adulta, obesità in età adulta, fumo, depressione, bassa scolarità, sedentarietà adesso hanno altri due compagni di sventura!
I due “nuovi” fattori di rischio in realtà sono noti da anni anche a chi come il sottoscritto si occupa della fragilità degli anziani: tuttavia, solo adesso hanno ottenuto la meritata ufficializzazione!
Si sapeva sin dal 2004, anche dai lavori di Laura Fratiglioni e di B. Winblad (Lancet Neur 2004) che una buona socializzazione ed integrazione potevano essere fattori protettivi per la demenza. E sui problemi di udito scrivevo su Malati per forza nel 2014... “Uno studio recentissimo (Lin et al. JAMA 2013) ha confermato che l’ipoacusia grave si associa, nello spazio di sei anni nel gruppo esaminato di 639 persone, sia a un accelerato declino cognitivo (in chi aveva già i sintomi di demenza) nell’ordine del 30-40%, sia a un aumento del 24 % del rischio di danno cognitivo. Malgrado queste cifre allarmanti, è noto che l'età media di portatori di apparecchi acustici in Italia sfiora i 74 anni contro una media europea di 60,5 anni. Questi dati, se confermati in futuro, ci potrebbero indurre sin da ora a porre una certa attenzione ai problemi di udito, un impegno che sia in qualche modo simile a quello che riserviamo alle difficoltà visive”.
I due “nuovi” fattori di rischio per demenze sono peraltro facilmente associabili poiché la sordità, un fenomeno progressivo, bilaterale e spesso silente, del quale gli individui sono a volte inconsapevoli, a differenza di quanto notano invece conviventi e conoscenti, crea difficoltà a entrare in comunicazione con gli altri e provoca di conseguenza un effetto considerevole sulla vita fisica ed emotiva, insoddisfazione e minor coinvolgimento nelle attività sociali e nei rapporti interpersonali. Tutto ciò può condurre, infine, a una maggior frequenza di depressione, una condizione che rientra nel novero dei nove fattori di rischio per demenze! Le persone con problemi di udito si vengono a trovare, dunque, nel pieno di un circolo vizioso che tinge di complessità (ma la complessità è la regola nel mondo delle malattie degli anziani!) i rapporti di associazione tra gli stessi fattori di rischio.
L’udito è un organo di senso “sociale”. Per tale motivo i problemi nella comunicazione tra persone rappresentano un aspetto cruciale nella vita, esponendo coloro che sentono poco a isolamento e a sgradevoli sensazioni di esclusione che possono portare persino a interpretazioni paranoidee della realtà oppure ad allucinazioni uditive. Esiste persino il rischio che queste persone siano considerate confuse o addirittura dementi quando, paradossalmente, non lo sono... ancora! La perdita di udito, quindi, concorre a modificare la nostra mente e la nostra cognitività sia attraverso un meccanismo indiretto, tramite l’isolamento sociale e la depressione, sia in modo diretto, mediante l’impoverimento delle informazioni che (non) raggiungono il cervello continuando ad arricchirlo, creando nuovi sentieri e definendo meglio quelli già tracciati.
Allargando ancora di più lo sguardo, da medico, perdita di udito e demenze possono essere ambedue condizioni favorite da alcuni fattori di rischio comuni come diabete mellito, ipertensione, fumo, e in questo modo ci guidano nel comprendere come la ricerca del benessere non può che essere ad ampio raggio. Prevenire e curare in modo adeguato le malattie “di contorno” a una demenza è uno dei messaggi che ci ha inviato nel 2015 l’OMS, a corto di idee e purtroppo di risorse farmacologiche per fronteggiare questa epidemia.
La perdita di udito è per fortuna (come altri, tra cui la solitudine) un fattore di rischio modificabile.
Alla lista aggiungerei altri fattori di rischio di cui si comincia a leggere qualche risultato in recentissime ricerche epidemiologiche: i deficit visivi, la cattiva qualità del sonno, l’inquinamento atmosferico, l’uso anche modesto di alcol.
In coda inserirei anche, forse per mia personale e perdonabile vezzo oppure ossessione, l’uso protratto di farmaci ad azione anticolinergica (“contro” il mediatore acetil-colina, ovvero “contro” la memoria e altri aspetti cognitivi e non). E sono tanti...