Come segnalato, non tanto tempo fa in un contributo a due mani con la Dott.ssa Annarita Pellicciari destinato a “Tornare a casa”, pubblicazione INAIL nata a Vigorso di Budrio, la società di oggi, come quella di ieri e probabilmente anche di domani, ha nel benessere il suo obiettivo, il suo mito. Situazioni di disagio derivanti da “deficit” fisico, correlate all’età, continuano ad essere palesemente discriminanti e rimane ancora difficile da far comprendere ai più, se pur politicamente e normativamente “imposta”, la scelta di evitare il più possibile lo squallore della settorializzazione ed istituzionalizzazione.
Per fortuna, soprattutto dagli anni settanta in poi, gli stimoli decisivi nella lotta contro l’emarginazione sono stati determinanti per evitare assurde selezioni in parecchi ambienti; tuttora dobbiamo lavorare insieme per raggiungere ulteriori traguardi, ognuno nell’ambito delle proprie attività, nel proprio microcosmo, deve passare dalla “separazione in vicinanza” alla “connessione per incastro”, secondo una relazione tra persona disabile e persona normodotata reciprocamente precisa, attenta e complementare.
Non è possibile, né tollerabile, (Neri S., Valgimigli C., Il gioco degli incastri, ed. Del Cerro, Pisa 1980 che si affrontino i problemi senza porre mente e mano al sistema sanitario, alla famiglia, al mondo del lavoro, e…, per entrare nello specifico, ai luoghi, agli ambiti, agli spazi in cui questi sistemi vivono e pulsano.
Una nuova realtà di vita, che nel suo lento o violento divenire, si presenta così nemica nei confronti di ogni “corpo prigione”, potrà essere sempre meglio combattuta, grazie alle armi a cui vogliamo fare riferimento, sempre più raffinate, sempre più efficaci, sempre più originali, sempre più e meglio conosciute.
Il percorso da scegliere è quello di “soggettivizzare” il tema il più possibile, mettendoci il più possibile nei panni dell’utenza ed avvalendoci dell’esperienza diretta di questa, evitando ricette miracolose e la presunzione dell’“unico vero”, lasciando aperta ogni strada a contributi inseribili in itinere, cercando di fornire il maggior numero di strumenti di conoscenza, che costituiscono per noi il corredo base per il nostro processo inclusivo quotidiano.
Questo processo deve convivere però con un ambiente costruito, stanza, casa, quartiere, città … ecc., che rappresenta quasi sempre un ostacolo da superare. Da tempo riempiamo convegni e tavole rotonde di trattati sulle normative sull’abbattimento delle barriere architettoniche e le motivazioni che le ispirano al fine di una giusta tutela della libertà di relazionarsi con gli altri che dobbiamo garantire a tutti.
Com’è già stato sostenuto in altre sedi, il quadro normativo italiano meriterebbe non solo un’attenta valutazione comparativa fra le diverse interpretazioni e metodi applicativi, ma anche un deciso riadeguamento in forma soprattutto prestazionale, che, grazie ad una seria sperimentazione pregressa, sarebbe da tempo passibile di suggerimento, critica e modifica, come si conviene ad una regolamentazione attenta, sensibile ed in continuo divenire come l’argomento richiede.
Anche le procedure burocratiche potrebbero e dovrebbero risentire di adeguamenti più vicini a modalità rivolte ad una reale e non solo formale deregolamentazione burocratica al fine di garantire, nei fatti, lo scopo principale nel nostro impegno, che rimane quello di permeare tutti di una sensibilità particolare d’approccio al problema che ce lo faccia riconoscere per contatto “epidermico”, e quindi meno “indigesto”, in quanto imposto come tuttora avviene per molti cittadini.
Sarebbe quindi oltremodo opportuna, soprattutto in ambito abitativo privato, una maggiore libertà d’intervento, dato il pericolo sempre presente, di indurre tutti i cittadini coinvolti ad un senso di rifiuto della norma, che si riflette troppo facilmente e ancora troppo spesso in un più pericoloso senso di rifiuto umano verso i cittadini più deboli e le loro esigenze.
Abbiamo tutti già sostenuto più di una volta quanto sia ingiusta una impostazione progettuale che parte da una standardizzazione dell’“uomo medio” di riferimento, normodotato, giovane ed in piena salute.
Ma dobbiamo stare molto attenti a non esagerare, soprattutto in presenza di utenti, clienti, committenti che si muovono in ambito decisamente ed esclusivamente privato.
Anche in questi casi, soprattutto in questi casi, sarebbe opportuno introdurre un giusto e qualificante coinvolgimento delle associazioni nell’ applicazione, sperimentazione e collaudo delle normative vigenti.
La nuova qualità progettuale, anche in ambito ristrutturativo e riqualificativo, che tutti auspichiamo, deve nascere per scelta originaria, non per imposizione e quindi per supina sofferente accettazione.
Credo sia giunto il momento, con il contributo di esperti nazionalmente riconosciuti, di entrare nel merito delle diverse situazioni e di casi specifici difficilmente standardizzabili, ma, comunque, tipologicamente emblematici e riconducibili a normativa comportamentale anche se non codificata in Legge o Decreto.
Lo scopo finale di questa nuova casistica composta da soluzioni pratiche ed oggettive di situazioni progettuali adottate e realizzate, e quindi verificabili per funzionalità e qualità di risposta è quello di costruire un nuovo strumento flessibile, in quanto aggiornabile, il più univoco possibile, composto di suggerimenti e proposte, eventualmente verificate dalle associazioni ed avvallate periodicamente dal parere della Commissione Permanente, costituita secondo il dettato dell’ Art.12 /DM236 /1989, e che infine assuma veste ufficiale per Collegi ed Ordini Professionali, individuabili localmente come referenti principali della attendibilità o meno delle diverse proposte interpretative della norma.
La qualità di vita, e non di sopravvivenza dell’anziano, è quindi necessariamente filtrata dal rapporto del cittadino non più giovane, o, comunque, disabile con l’ambiente che lo circonda e col quale tutti, bene o male, siamo costretti a convivere.
Ma, elevando lo sguardo anche verso il “fuori casa” ed i relativi spazi di relazione, voglio cogliere l’occasione per portare attenzione alle nostre città, ai paesi, dove l’accessibilità e fruibilità urbana, di fronte alla carenza di un quadro normativo organico, risulta tuttora scarsamente attenta alle esigenze di tutti.
Queste nuove condizioni d’emarginazione dovrebbero, invece, produrre nuove qualità progettuali, secondo nuove risposte programmatiche verso scelte ambientali e di riconversione ecologica che tengano conto del nuovo standard-uomo.
Come i percorsi per biciclette, seguendo la “moda”, possono calare sul territorio una nuova sensibilità di approccio con l’utenza a bassa velocità, creando anche nuove isole a traffico limitato e percorsi meccanizzati preferenziali, così la razionalizzazione del traffico automobilistico attraverso piani organizzativi del traffico, devono aiutarci a creare una nuova gerarchia di priorità che tuteli soprattutto il pedone, ed in particolar modo il pedone anziano e disabile.
Questa maggiore attenzione ad interventi orientati ad un abitare più fruibile e soggettivo, sarebbe, a mio avviso, anche un’occasione in più per confrontarsi da tecnici con le problematiche di un’utenza non normodotata e richiedere qualche riflessione in più anche per interventi di riproposizione distributiva e d’arredo urbano.
Come già evidenziato, sarebbe particolarmente importante fissare e far rispettare una normativa tecnica estesa a tutti gli aspetti dell’edilizia, residenziale e non, soprattutto a destinazione collettiva, che definisca requisiti minimi della qualità dell’edificio, del percorso o del connettivo di corredo, sulla base delle esigenze di un’utenza veramente generalizzata al fine di una migliore qualità di vita per tutti.
Al fine di meglio chiarire la metodologia d’approccio che abbiamo inteso adottare riporto uno stralcio, rimaneggiato per motivi di spazio, di una relazione svolta in occasione di un congresso nazionale della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, dall’architetto Piera Nobili dello studio OTHE di Ravenna, presidentessa del CERPA, Italia (Centro europeo di ricerca e promozione dell’accessibilità:
“….Sono i soggetti più deboli (donne, bambini, poveri, malati, disabili, anziani) che subiscono più di altri il cambiamento di senso dei luoghi; per loro la casa e l’istituto diventano i luoghi d’internamento del sé, di de-privazione della relazione con il pubblico, con l’altro.
La separazione e la specializzazione degli spazi e dei tempi di vita, data dalle funzioni e dai ruoli, sono a tutt’oggi le coordinate del disegno dell’abitare dell’uomo occidentale sulla terra. Questa logica ha prodotto le periferie dove dormire, le zone deputate al lavoro, la scuola, il parco per il verde, le città satellite per il divertimento, lo spazio commerciale sempre più iper-mercato e decentrato, le cittadelle per anziani, le residenze protette o sanitarie ecc.
Da questo scenario, in cui la città si mostra come città dello scambio - della produzione edilizia - più che come città d’uso, ciò che manca, che scompare è l’individuo.
Con che spirito, quindi, io pongo mano al progetto degli ambienti non per, ma degli anziani e dei disabili?
Ad aiutarmi a trovare una risposta sono stati soprattutto loro, gli anziani e i disabili; mi hanno insegnato a guardare da un’altra prospettiva: la loro. …
…Stante la nostra attuale conoscenza sul rapporto che intercorre fra lo spazio costruito e gli anziani che hanno disabilità cognitive, l’unica onesta possibilità che resta per continuare il mio discorso, è quella dell’estrapolazione, dalle molteplici caratteristiche dell’ambiente, dei minimi comuni denominatori che accomunano bisogni e desideri dei diversi soggetti a vario titolo coinvolti sul tema dell’abitare …
Inizio con l’assegnare degli aggettivi che qualifichino l’ambiente: questo deve essere accessibile, amichevole, fruibile, sicuro, adattabile in una parola ospitale...”.
Ed ecco il nostro compito, analizziamo l’ospitalità degli spazi che ci circondano immedesimandoci il più possibile nell’utenza, cogliamo nella casa i diversi aspetti che la qualificano.
Partiamo dall’aspetto connesso alla corretta localizzazione, individuata in relazione al contesto sociale e alla morfologia urbana e territoriale, al suo facile raggiungimento, sia con mezzi propri che con mezzi pubblici privi di barriere architettoniche;
procediamo nel verificare le aree esterne caratterizzate ed attrezzate, sia per il parcheggio che per una sosta nel verde, le dotazioni di segnaletica visiva, acustica, tattile, che indichi i percorsi più idonei per il raggiungimento degli ingressi diversificati per funzioni, l’assenza di barriere architettoniche, la presenza di servizi commerciali e sociali nelle immediate vicinanze.
Poi studiamo l’edificio, gli accessi, i luoghi di sosta, arredati con sedute e tavoli, le aree per attività occupazionali all’aperto, i percorsi per il 'vagabondaggio’, e finalmente i luoghi interni all’edificio destinato alle funzioni dell’abitare: una zona ingresso per accogliere, una zona giorno per relazionarci, una zona servizi per accudirci, una zona studio per isolarci, una zona notte per riposare.
Nell’abitazione privata ad ogni mansione corrisponde un’area riconoscibile, alle volte individuata da pareti, altre volte da arredi, ed è importante che questa precisa riconoscibilità alle diverse funzioni sia riproposta o mantenuta.
Oltre alla forma e alla tipologia, altre caratteristiche entrano in campo nel definire l’ospitalità di un ambiente, e queste sono: la luce, il colore, i materiali, l’odore, i suoni e tutte le suppellettili d’arredo, compresi gli oggetti e gli apparecchi che possono rendere più sicuro, fruibile ed accessibile l’ambiente domestico, che spesso sono gli ausili alle diverse disabilità, sono gli arredi e i terminali degli impianti.
La presenza del fisiatra è indispensabile per un corretto suggerimento destinato alla scelta degli ausili e degli arredi, ma voglio puntare l’attenzione anche sugli impianti, in quanto possono venirci in aiuto sia nella gestione, che nel rendere confortevole un ambiente, soprattutto se pensati con tecnologie avanzate e telematizzate ed anche per questo è tanto determinante quanto indispensabile la presenza dell’esperto in domotica per la corretta previsione di corredi destinati al servizio, alla sicurezza, al controllo a distanza degli impianti tradizionali elettrici ed idrico sanitari, come a realtà più attuali come la climatizzazione, l’antincendio, l’antintrusione, fino ad arrivare al controllo a distanza dei parametri clinici della persona che intendiamo tutelare.
A conclusione, vorrei che si fosse capito, che anche sotto il profilo dell’analisi propedeutica della residenza destinata all’anziano, i concetti d’accessibilità e fruibilità espressi si dimostrano la base di ogni intervento di riorganizzazione dell'ambiente, costruito e non, al fine della sua godibilità.
In fondo, l’abbattimento delle barriere architettoniche non è che un aspetto tangibile di un cammino ancora faticoso di riscoperta del significato di “tolleranza”, che ripropone la reciprocità del rispetto come base del rapporto umano.
L'accessibilità e la vivibilità delle abitazioni sono temi che riguardano una parte molto consistente della popolazione. Sulla base degli ultimi dati è, infatti, possibile stimare che circa il 5% della popolazione con più di sei anni è rappresentata da persone che non sono interamente autonome nello svolgere un'attività della vita quotidiana.
Considerando le singole disabilità, il 2% della popolazione con più di sei anni è in una situazione di confinamento individuale presso la propria abitazione, mentre il 3% ha limitazioni nello svolgere le attività della vita quotidiana (ad es. difficoltà nel vestirsi, nel lavarsi, nel fare il bagno, nel mangiare…); il 2,2% ha limitazioni nel movimento (ad es. difficoltà nel camminare, nel salire le scale, nel chinarsi, nel coricarsi, nel sedersi), circa l'1% ha disabilità sensoriali (ad es. difficoltà a sentire, vedere o parlare).
Circa il 75% di queste persone ha un'età superiore o uguale a 65 anni.
Nella Regione Emilia-Romagna, da qualche anno, a favore delle persone disabili e quindi, ovviamente agli anziani, sono nati i “Centri per l‘adattamento dell’ambiente domestico” (CAAD)
Affrontare il tema dell'adattamento dell'ambiente domestico significa pertanto tentare di risolvere bisogni diffusi, complessi ed eterogenei, nella consapevolezza che si tratta di un argomento che non coinvolge solo le persone in situazione di totale non autosufficienza o di handicap di particolare gravità, ma anche persone con maggiori livelli d’autonomia personale.
I CAAD provinciali si propongono come un servizio rivolto al cittadino, senza particolari limitazioni d’accesso rispetto all’età o alla tipologia di disabilità: si rivolgono non solo alle persone completamente non autosufficienti e ai disabili gravi, utenti che solitamente sono già in carico ai servizi socio-sanitari territoriali, ma a qualsiasi cittadino che, avendo delle limitazioni nello svolgere le attività della vita quotidiana, necessiti di un aiuto per riorganizzare gli spazi interni, rimuovere o superare gli ostacoli ambientali e le barriere architettoniche, studiare accorgimenti e soluzioni per facilitare le attività di ogni giorno nella propria casa.
La richiesta e il bisogno del cittadino sono quindi “il centro”, l’elemento essenziale da cui partire, a prescindere dalla “categoria” d’appartenenza. La modalità flessibile e leggera d’erogazione del servizio dovrebbe dunque facilitare l’accesso di tutte le persone con disabilità in età adulta o anziana interessate a ricevere un supporto tecnico per conoscere le diverse opportunità esistenti ai fini dell’adattamento dell’ambiente domestico.
La funzione dei Centri Provinciali è, infatti, quella di aiutare il cittadino a scegliere la soluzione tecnica più adatta e vantaggiosa, in un panorama d’opportunità e risorse di difficile lettura per i non addetti ai lavori.
Il servizio in essere informa circa i servizi presenti sul territorio, gli ausili disponibili, i contributi economici e le agevolazioni fiscali nonché i percorsi per accedere alla consulenza; il Centro s’impegna inoltre a svolgere attività informative e formative rivolte ai tecnici e agli operatori dei servizi, che potrebbero esser coinvolti dal progetto stesso.
Si fornisce consulenza per la ristrutturazione degli alloggi, per l’individuazione degli arredi, degli ausili e delle tecnologie disponibili, al fine di individuare ed indicare la soluzione più idonea per ciascuna specifica situazione compresi gli adeguamenti delle strutture, dell’impiantistica e degli arredi.
Purtroppo, nella nostra regione la gran parte delle famiglie non ha risorse reddituali e patrimoniali adeguate a sostenere gli interventi necessari. E’ tuttora possibile ricorrere ai contributi pubblici previsti dalla l. 13 /1989 per gli interventi strutturali finalizzati all’abbattimento di barriere architettoniche e/o dalla l. r. 29/1997 per l’acquisto di apparecchiature e strumenti (oltre che per l’adeguamento o l’acquisto di autoveicoli).
Le risorse messe a disposizione per il primo tipo di contributi sono però largamente insufficienti a soddisfare la domanda; i contributi sono erogati senza alcuna valutazione tecnica di merito, assicurano una copertura parziale; sono erogati certamente molti mesi, se non anni, dopo la presentazione della domanda; ma, soprattutto l’entità di questi contributi è correlata al valore della spesa e non alla situazione economica del richiedente.
Rimane purtroppo tuttora un sogno l’individuazione di strumenti finanziari di credito adeguati alle esigenze di chi è in grado di sostenere i costi degli interventi d’adeguamento necessari, a condizione però di potere distribuire il carico negli anni, e di risorse finanziarie per la costituzione di uno specifico fondo, da richiedere fondamentalmente alle Fondazioni Bancarie, sia per erogare contributi nei casi di carenza assoluta di disponibilità economiche da parte delle famiglie interessate, sia per fornire le necessarie garanzie fidejussorie ai prestiti prima citati.
Che fare ?
Innanzitutto è opportuno sapere che:
- tutti gli edifici privati, progettati, costruiti o ristrutturati dopo l' 11/8 /1989 devono rispondere ai requisiti d’accessibilità, visitabilità, adattabilità (legge 13 /1989 e D.M. Lavori Pubblici 236 /1989).
Per maggiore chiarezza è importante sapere che per accessibilità s’intende la possibilità, anche per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale, di raggiungere le singole unità immobiliari e ambientali d’ogni edificio, di entrarvi agevolmente e di fruirne spazi e attrezzature in condizioni d’adeguata sicurezza e autonomia.
Per visitabilità, obbligatoria all’interno degli appartamenti, s’intende la possibilità di accedere agli spazi di relazione (Soggiorno - pranzo) e ad almeno un servizio igienico d’ogni unità immobiliare.
Per adattabilità s’intende la possibilità nel tempo di modificare a costi limitati lo spazio costruito, per renderlo completamente ed agevolmente fruibile anche da parte di persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale. Ed è proprio il requisito d’adattabilità che in caso d’adeguamento ci può guidare anche nel progetto ad una più rapida soluzione dei nostri problemi ristrutturativi.
In caso di modifiche interne la pratica da sottoporre al Comune d’appartenenza è abbastanza semplice, bisogna comunque fare riferimento ad un tecnico abilitato (Ingegnere, Architetto, Geometra, Perito Edile), che possa redarre e presentare all’amministrazione competente il progetto d’adeguamento dell’appartamento, secondo le modalità previste dalla normativa vigente (Purtroppo anche tali norme, puramente burocratiche, sono soggette a continue modifiche. E’ pertanto è opportuno fare riferimento a professionisti adeguatamente aggiornati).
Il professionista stesso, poi, o un tecnico d’impresa, può esserci utile per definire un attendibile preventivo del costo delle opere, poiché, al di là dell’effettivo stanziamento nazionale, sempre insufficiente, è in ogni modo opportuno presentare domanda di finanziamento come prevedono la l. 13 /1989 e la relativa circolare esplicativa.
Grazie a questa legge, esattamente dall’11 Agosto 1989, tutti i progetti, anche ai sensi del decreto applicativo (Decreto Ministro Lavori Pubblici N°236 /1989 vedi pag. 7.28) devono essere redatti in osservanza a prescrizioni tecniche atte a garantire, secondo i casi, accessibilità, visitabilità ed adattabilità degli edifici in ogni loro porzione d’uso pubblico e anche soltanto d’uso condominiale.
Novità qualificante e serio impegno, anche penale, è l’obbligo per il progettista di dichiarare la conformità degli elaborati alla normativa vigente.
Minore tranquillità deriva, invece, dal potere delegato ai consigli condominiali, a causa di alcuni palesi richiami ad articoli del Codice Civile, che tutelano a discapito dei disabili, caratteristiche troppo opinabili e poco misurabili come "decoro architettonico" e "godimento anche di un solo condomino" (Codice Civile, art. 1120).
Forse una maggiore attenzione avrebbe potuto proporre una rilettura anche di queste norme, semplificando il compito di chi tuttora è chiamato a dirimere il vasto contenzioso condominiale che n’è derivato.
Se poi la nostra casa non è recente, come avviene per esempio nei centri storici di molte città, se siamo costretti, nei nostri spostamenti, a servirci di bastoni d’appoggio o sedia a ruote, se non ci siamo ancora abituati alla nostra protesi, ogni ambiente diventa un groviglio di ostacoli, ogni funzione, anche la più semplice diventa difficile se non addirittura impossibile da compiere.
E’ importante perciò, che tutte le associazioni interessate al problema si organizzino per mantenere una vivace sensibilizzazione pubblica sull’argomento, al fine di poter ottenere, anche in futuro, il massimo rifinanziamento di questa legge, data la lunga lista d’attesa e, soprattutto, l’incidenza sociale di questi interventi d’adeguamento al fine di un vero reinserimento.
L’attività principale dei consulenti tecnici è stata e rimane quella di fornire a disabili ed anziani consulenza diretta ed informativa pertinente tutte le agevolazioni possibili ad una permanenza nell’ambiente domestico di persone altrimenti destinate a ricoveri in struttura.
Il fine d’ogni intervento rimane quello di affrontare e risolvere positivamente le necessità di persone che per anzianità o disabilità abbiano perso la capacità di gestire autonomamente la propria vita nell’ambiente domestico e desiderino continuare a vivere nella propria abitazione.
Dall’attività svolta fino ad oggi, sono emersi i primi “desiderata” degli anziani, dei loro famigliari e dei loro referenti, che sono riconducibili per larga parte all’esigenza di una facilitazione di trasferimento di piano per uscire di casa, attraverso la realizzazione di ascensori o servoscala o godere con maggiore autonomia della propria residenza attraverso la ristrutturazione degli ambienti. I bagni prima di tutto, che richiedono modifiche particolari o dotazione di ausili speciali.
Al fine di poter disporre di competenze tecniche utili alla soluzione dei diversi casi, ci si è fatti carico di organizzare incontri con i responsabili di Ordini e Collegi Professionali con l’obiettivo di riuscire a costituire elenchi ufficiali di riferimento e con le categorie dei commercianti e degli artigiani operanti nei settori interessati per sollecitare anche un esigenziale processo acculturativo che coinvolga tutte le forze in campo.
Colgo l’occasione per segnalare che, malgrado l’esigenza di particolari conoscenze improntate a dare risposte ad esigenze sempre più presenti nella cittadinanza e sulle quali tutti, da tempo e soprattutto oggi, disquisiscono, non esistono a nessun livello scolastico corsi educativi o tecnici orientati alle esigenze di vita degli anziani e dei disabili.
Per il futuro, si propone di individuare nuove modalità di sostegno economico (nuove risorse finanziarie e linee di credito agevolato) per le famiglie che non abbiano adeguate risorse proprie per sostenere i costi degli interventi.
In particolare, mi piace evidenziare che i benefici economici ad oggi attivabili per le ristrutturazioni che riguardano gli edifici, fanno riferimento alla legge 9 gennaio1989, n. 13, che prevede l’erogazione di contributi per l’eliminazione delle barriere architettoniche e che dà risposte proporzionate all’intervento da realizzare, ma non alle capacità economiche delle famiglie e facendo così ingiustamente “parti uguali fra disuguali”, citando Ermanno Gorrieri e Don Milani.