La musicoterapia con persone affette da demenza si inserisce nei percorsi di cura che coinvolgono i pazienti colpiti nella memoria e nella loro identità.
Uno degli obiettivi dell’intervento di musicoterapia è la socializzazione. Gli incontri hanno una struttura regolare prefissata: un inizio con un canto o una strumentalizzazione di insieme, uno svolgimento con proposte di ascolto, di strumentalizzazione e sonorizzazione sulla musica ascoltata, di verbalizzazione, e infine un canto di arrivederci.
Le attività che si possono proporre sono molteplici, e dipendono dalle abilità degli utenti che sono coinvolti in un progetto di musicoterapia. La musicoterapia recettiva utilizza preferenzialmente l’ascolto di materiale sonoro-musicale preregistrato, seguito da una fase di verbalizzazione; la musicoterapia attiva utilizza invece tutto lo spettro di possibilità della produzione musicale, con particolare riguardo all'improvvisazione e all'uso della voce.
I gruppi vengono formati rispettando la parità di genere, quando possibile, dal momento che spesso vengono colpite da demenza soprattutto le donne.
In musicoterapia si utilizzano tutti gli oggetti che catturano l’attenzione delle persone e che sono utili al raggiungimento degli obiettivi prefissati. Pertanto, oltre agli strumenti musicali tradizionali (pianoforte, chitarra, ...) e didattici (strumentario Orff: tamburo, maracas, cembali, legnetti ecc..) si utilizza anche il corpo (mani, cosce, petto, gambe, voce..), nonché tutti gli oggetti che sono presenti nella stanza (tavolo, chiavi, penne, rotoli di carta, libri, tappi, barattoli, scatole, scatoloni, tubi, fogli da stropicciare, ondulare, scuotere, far volare, accartocciare a forma di palla,...ecc.) o che vengono portati dalle persone o, ancora, che vengono costruiti durante una seduta di musicoterapia.
Nel corso degli incontri si utilizzano semplici giochi ritmici e canti dando a ogni membro del gruppo un foglio con la canzone scritta anche quando le persone non sono più capaci di leggere, per dare valore alla dignità di ognuno. Per garantire a ciascuno la possibilità di partecipare attivamente, le proposte sono continuamente rinnovate nei contenuti, nella grafica e nella notazione musicale.
L’ascolto di romanze di opere liriche e di brani musicali in genere rievoca ricordi che sembravano persi stimolando la verbalizzazione, in particolare il racconto di momenti vissuti, storie inventate, balli.
Quando il gruppo verbalizza ciò che la musica ha suscitato, ognuno esprime i propri sentimenti, i propri ricordi, una propria interpretazione della realtà e tutti ascoltano chi parla indipendentemente dal genere, con un atteggiamento non giudicante. La musica inoltre permette di esprimersi senza dover usare parole specifiche, potendo comunicare anche con semplici gesti-suono e utilizzando strumenti ritmici. È capitato che persone con una malattia già avanzata portassero il proprio strumento (armonica, fisarmonica, tamburo) e fossero ancora in grado di suonarlo, accompagnando così il gruppo nella produzione sonoro-musicale.
Relativamente alle differenze di genere, nell’esperienza di chi scrive è capitato che, a fronte di proposte musicali della musicoterapista, gli uomini ricordassero di aver suonato uno strumento mentre le donne intonassero le loro canzoni preferite.
Spesso le persone con demenza diventano più disinibite nei comportamenti; arretrando in un mondo tutto loro dimenticano le diversità che la società ci impone, non fanno più distinzione di genere ma si sentono tutte uguali.
La maggior attitudine alla immedesimazione empatica, alla relazione affettiva, alla comunicazione non verbale a tonalità emotiva in questi gruppi diventa caratteristica anche degli uomini.
I nomi della nostra società definiscono un’identità femminile o maschile. Le proposte musicali fatte sono rivolte a ridurre le differenze coinvolgendo il gruppo con giochi sui nomi e sulle parole che da femminile possono trasformarsi in maschile e viceversa.
Ai partecipanti vengono proposti giochi musicali sul proprio nome, sui nomi dei propri genitori e successive verbalizzazioni.
A partire dall’ascolto di musiche popolari del passato vengono verbalizzati vissuti, come insieme di fatti sociali, culturali e biologici che si legano all’appartenenza dei due generi: le donne lavoravano in campagna o in risaia, gli uomini perlopiù in aziende con funzioni semplici. Man mano che sono passati gli anni c’è stata una maggiore parità tra uomini e donne anche nel contesto lavorativo, entrambi impegnati con mansioni esecutive in azienda; solo in tempi recenti si conoscono persone con maggiore scolarizzazione e con mansioni lavorative di concetto.
Anche oggi nella società e nella lingua italiana ci sono marcate differenze di genere. Con la musica queste differenze si attenuano; la musica non è solo un fatto maschile o femminile ma sia gli uomini che le donne hanno vissuto e vivono con sottofondi musicali che marcano momenti importanti della loro vita, aiutandoli a ricordare.
La musica agisce sull’individuo indipendentemente dalla sua volontà; il ritmo, la melodia, l’armonia sono uno stimolo che a seconda delle caratteristiche culturali, biologiche e ambientali della persona può essere variamente argomentato. Il linguaggio musicale facilita la comunicazione, il contatto e la partecipazione. Inoltre, permette all’operatore di conoscere meglio il gruppo, utilizzando la creatività.
Nonostante il progressivo deterioramento delle facoltà cognitive, in moltissimi casi le persone affette da demenza restano comunque capaci di ricordare melodie e spesso anche alcune parole delle musiche che hanno conosciuto in precedenza e si è verificato che riescono ad apprendere anche nuove melodie; la musica coinvolge l’individuo non solo sul piano emozionale ma facilita anche il riemergere di informazioni riguardanti la storia personale.
Come per ogni intervento terapeutico, anche nella musicoterapia occorre che il professionista operi all’interno di una rete di professionisti, in un’ottica di formazione, condivisione e confronto.
Gli incontri di musicoterapia, a cadenza settimanale, permettono alle persone affette da demenza di trovarsi e ritrovarsi in una attività domiciliare che permette loro di uscire dal proprio isolamento casalingo e nello stesso tempo solleva per un po’ il care-giver, che incontra altre persone con gli stessi problemi di assistenza e ne condivide le criticità, in un viaggio comune.
Di seguito racconterò la storia di due persone, una donna e un uomo, che ho conosciuto nella mia esperienza di musicoterapista.
La prima parlerà di F., una signora che ha partecipato diversi anni ai gruppi di musicoterapia, dal momento in cui le hanno diagnosticato la malattia di Alzheimer fino al progressivo aggravamento, la seconda di A, un uomo che ha sempre suonato la fisarmonica fino a quando è comparsa la malattia. Solo durante gli incontri di musicoterapia ha ritrovato la capacità di suonarla.
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F. era tra le prime persone inviate agli incontri di musicoterapia quando l'attività è partita. Il primo giorno erano presenti cinque persone, tra cui F.
Senz'altro da giovane doveva essere stata molto bella, perché alle soglie degli ottanta anni di età era alta, slanciata, ben curata per merito del marito che l'accompagnava. F. è sempre venuta agli incontri, non è mai mancata una volta.
Mentre era in corso l'attività, il marito si fermava in un'altra stanza con i parenti delle altre persone del gruppo e si confrontava, si raccontava, sostenendosi a vicenda.
F. era la leader del gruppo, la persona che parlava di più, che faceva battute, che suscitava simpatie e antipatie.
La chiamavo il nostro juke box, perché non c'era canzone che non conoscesse e che non cantasse.
Raccontava di aver cantato nel coro parrocchiale, che nella sua famiglia cantavano tutti.
Quando cantavamo Reginella Campagnola, alla fine della canzone e ogni volta, diceva in dialetto emiliano “è troppo alta!”
Parlava spesso del marito, che era bello, bravo.
Quando proponevo gli indovinelli musicali, cioè suono il ritornello di una canzone popolare e molto conosciuta con il pianoforte e chiedo di indovinare, F. rispondeva sempre per prima e riconosceva la canzone, intonandola.
Nel corso degli incontri ho visto la malattia aggredire piano piano F. Ha iniziato a nascondere i fogli delle canzoni in ogni posto, dentro una manica, nel reggiseno, sotto la gonna; ad utilizzare sempre di più il fazzoletto come un punto di riferimento sicuro, da tenere sempre in mano. Ha cominciato ad alzarsi durante l'attività, ad attirare ogni volta di più l'attenzione su sé stessa, a sentire improvvisamente caldo, ad agitarsi per l'ansia che sale contemporaneamente al progredire della malattia, ad esternare in modo eccessivo, dicendo spesso parolacce e alzandosi il vestito, a parlare di sessualità in modo sempre più disinibito.
Alla ripresa dell'attività dopo la pausa estiva, non l'ho vista. Lei, che era sempre presente, di colpo è scomparsa. L'assenza improvvisa della leader del gruppo ci ha lasciato di colpo orfani di una persona importante, a cui volevamo bene.
Alla fine degli incontri il marito di F. è venuto a salutarmi, dicendo piangendo che aveva dovuto inserirla in struttura perché, anche lui anziano, non riusciva più a gestirla. Ho cercato di consolarlo (ma cosa dici in questi casi che non sia banale?). L'ho abbracciato stretto mentre lui piangeva, aggrappandosi a me. Abbiamo vissuto insieme una parte importante di vita di F., dall'esordio della malattia all'aggressione definitiva, frequentandoci ogni settimana, nello stesso giorno e alla stessa ora.
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A. quando era giovane suonava la fisarmonica; l'ha raccontato lui stesso durante una seduta di musicoterapia. Ho chiesto allora ai suoi parenti se lo aiutavano a portarla agli incontri di musicoterapia, così è stato fatto dalla settimana successiva. Inizialmente la suonava in modo confuso ma la sua performance è migliorata nel corso delle settimane.
rrivava alle sedute trainando un piccolo carrello su cui sistemava la fisarmonica; era un modo per trasportarla meglio visto la pesantezza dello strumento. Prima di iniziare le sedute di musicoterapia apriva la custodia, toglieva il fazzolettone che copriva la fisarmonica, lo ripiegava e con dolcezza prendeva la fisarmonica. Lo stesso rituale si svolgeva alla fine degli incontri. Negli ultimi cinque minuti della seduta, prima di cantare la canzone finale, leggevo i titoli delle canzoni che avevamo cantato perché al gruppo piaceva contarle ed era per me un metodo per sollecitare la memoria; contemporaneamente chiedevo ad A. di riporre la fisarmonica. Anche in questo caso lo faceva in silenzio, cosa per lui difficile visto che parlava in continuazione, e con tanto rispetto nei confronti dello strumento.
A. accompagnava con la fisarmonica tutte le canzoni che cantavamo. Nelle pause in cui ritiravo i fogli delle canzoni e ne davo altri, improvvisava sullo strumento o suonava nuove canzoni che proponeva al gruppo.
A. spesso chiedeva a D. di accompagnarlo con i bongos e insieme suonavano diverse musiche mentre il resto del gruppo accompagnava battendo le mani e cantando. Alla fine, i due musicisti ricevevano l'applauso di tutto il gruppo.
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