Confesso che questo articolo è stato redatto da un professionista della salute che non ha fatto una gran carriera, un individuo forse invidioso e rancoroso. Ecco, ho fatto outing e ora posso proseguire con alcune riflessioni che hanno come filo conduttore la “bravura” di un professionista, del medico in questo caso.
Tema enorme. Mi pare di ricordare che abbia prodotto varie inchieste da parte di riviste come Panorama dei vecchi tempi, coi suoi “i migliori specialisti d’Italia”, ed è stato affrontato negli anni, anche al limite dello spot pubblicitario, da altri settimanali che si occupano di salute e non.
La prima riflessione è vecchia di almeno venti anni, mi è nata dentro andando in pensione (per modo di dire) nel 2000 a 54 anni, poi é cresciuta in modo prepotente e progressivo fino a oggi, a quest’anno: a 75 anni sono diventato un neurologo vecchio.
In sintesi. Ascoltando giovani e vecchi colleghi presentare il loro contributo a convegni di un qualche rilievo mi sono chiesto varie volte: “Ma questo qui come lavora? Parla bene, anche se cita un po’ spesso i lavori scientifici suoi e del suo gruppo; espone quelle odiose diapositive “piene di numeretti”; sembra comunque avere le idee chiare; mi sta insegnando qualcosa. Ma – torna prepotente la domanda - come visita i suoi pazienti?”
Ho fatto delle indagini, ho chiesto notizie a medici, psicologi, fisioterapisti, logoterapisti con cui costoro lavorano, informandomi anche attraverso amici e conoscenti affidabili di città lontane. Così ho scoperto, attraverso qualche risatina commentata dei primi e la testimonianza degli altri, che alcuni dei bravi parlatori praticavano la medicina della fretta. So con certezza che almeno un neurologo pluridecorato esegue la prima visita neurologica per una Persona con malattia di Parkinson in 5-10 minuti. Certamente qualche genio del Parkinson, appunto, o della sclerosi multipla o di qualsiasi patologia neurologica è in grado di fare una diagnosi corretta in minor tempo e meglio di me, di chiedere accertamenti e magari modificare una terapia preesistente o iniziarne una nuova. E può arrivare persino a fornire le informazioni necessarie e pure scrivere una breve ma solida relazione clinica per il medico curante. Ma se una valutazione dura dieci minuti o qualcosa di più, non è in grado di applicare quei sani princìpi che ho riportato nel mio “Malati per forza”.
“Il rapporto fra professionista della salute (medico e non) e paziente è un confronto impari fra uno che sa verso uno che non sa, uno che è forte verso uno che è debole. Una modalità antica, che nello stesso tempo dobbiamo considerare innovativa, ci dice che questo rapporto deve basarsi sull’empatia (so che cosa avverti nell’animo), sulla informazione (hai il diritto di sapere), sulla comunicazione (devo essere in grado di sapertelo dire) e infine sulla professionalità (so che cosa fare a livello tecnico).”
Le doti di umanità non sono evidentemente misurabili e non possono rientrare nelle qualità utili per la valutazione scientifica al fine di un avanzamento nella carriera. Vogliamo accennare anche all’intuito professionale, quello che nasce da doti personali ed esplode se supportato da solide basi di studio, aggiornamenti, curiosità, ascolto, capacità di sintesi? E che carriera hanno quei clinici affidabili, “bravi”, che le posseggono ma pubblicano poco o nulla?
Publish or perish, pubblica o non fai carriera. Un po’ come il tenente Colombo che tenente è rimasto a vita.
Ecco allora che la durata di una visita potrebbe, il condizionale è doveroso, definirsi come l’attributo essenziale per rispondere alla prima riflessione.
E anche alla seconda: “Dottore, mi può consigliare uno che lavora come lei?”
Una domanda che mi hanno posto in tanti già prima, poi durante e dopo l’isolamento da coronavirus, quando la voglia di chiudere con l’impegno clinico era stata pronunciata in una decisione scritta sul mio stesso sito. Imbarazzato, ho cercato in qualche modo di dare una risposta utile alla gente del luogo dove vivo perché “so” come lavora(va)no alcuni miei colleghi con cui ho condiviso decenni di vita ospedaliera, ma ho fatto fatica a rispondere per i miei colleghi “nuovi” di Udine e dintorni e alle richieste che sono pervenute da luoghi più lontani: come posso “garantire” uno specialista con cui non ho mai condiviso esperienze di lavoro?
Giunge a parziale sostegno della mia idea la Carta di Firenze, redatta da alcuni dei principali esperti del settore medico-sanitario e presentata il 14 aprile 2005. Propone una serie di regole che devono stare alla base di un nuovo rapporto, non paternalistico, tra medico e paziente. Il paziente ha diritto alla piena e corretta informazione sulla diagnosi e sulle possibili terapie, ma ha anche diritto alla libertà di scelta terapeutica, scelta che deve essere vincolante per il medico. Cosa enuncia?
1 La relazione fra l'operatore sanitario e il paziente deve essere tale da garantire l'autonomia delle scelte della persona.
2 Il rapporto è paritetico; non deve, perciò, essere influenzato dalla disparità di conoscenze (comanda chi detiene il sapere medico, obbedisce chi ne è sprovvisto), ma improntato alla condivisione delle responsabilità e alla libertà di critica.
3 L'alleanza diagnostico/terapeutica si fonda sul riconoscimento delle rispettive competenze e si basa sulla lealtà reciproca, su un'informazione onesta e sul rispetto dei valori della persona.
4 La corretta informazione contribuisce a garantire la relazione, ad assicurarne la continuità ed è elemento indispensabile per l'autonomia delle scelte del paziente.
5 Il tempo dedicato all'informazione, alla comunicazione e alla relazione è tempo di cura.
6 Una corretta informazione esige un linguaggio chiaro e condiviso. Deve, inoltre, essere accessibile, comprensibile, attendibile, accurata, completa, basata sulle prove di efficacia, credibile ed utile (orientata alla decisione). Non deve essere discriminata in base all'età, al sesso, al gruppo etnico, alla religione, nel rispetto delle preferenze del paziente.
7 La chiara comprensione dei benefici e dei rischi (effetti negativi) è essenziale per le scelte del paziente, sia per la prescrizione di farmaci o di altre terapie nella pratica clinica, sia per il suo ingresso in una sperimentazione.
8 La dichiarazione su eventuali conflitti di interesse commerciali o organizzativi deve far parte dell'informazione.
9 L'informazione sulle alternative terapeutiche, sulla disuguaglianza dell'offerta dei servizi e sulle migliori opportunità diagnostiche e terapeutiche è fondamentale e favorisce, nei limiti del possibile, l'esercizio della libera scelta del paziente.
10 Il medico con umanità comunica la diagnosi e la prognosi in maniera completa, nel rispetto delle volontà, dei valori e delle preferenze del paziente.
11 Ogni scelta diagnostica o terapeutica deve essere basata sul consenso consapevole. Solo per la persona incapace la scelta viene espressa anche da chi se ne prende cura.
12 Il medico si impegna a rispettare la libera scelta dell'individuo anche quando questa sia in contrasto con la propria e anche quando ne derivi un obiettivo pregiudizio per la salute, o, perfino, per la vita del paziente. La continuità della relazione viene garantita anche in questa circostanza.
13 Le direttive anticipate che l'individuo esprime sui trattamenti ai quali potrebbe essere sottoposto qualora non fosse più capace di scelte consapevoli, sono vincolanti per il medico.
14 La comunicazione multi-disciplinare tra tutti i professionisti della Sanità è efficace quando fornisce un'informazione coerente ed univoca. I dati clinici e l'informazione relativa alla diagnosi, alla prognosi e alla fase della malattia del paziente devono circolare tra i curanti. Gli stessi criteri si applicano alla sperimentazione clinica.
15 La formazione alla comunicazione e all'informazione deve essere inserita nell'educazione di base e permanente dei professionisti della Sanità.
L’enunciato numero 5 dovrebbe essere stampato in grande in un cartellone gigante in cui si impone la riproduzione di un paziente accigliato che punta il suo minaccioso indice. Andrebbe piazzato davanti all’ufficio del c.d. manager dell’ospedale o di qualsiasi struttura sanitaria che abbia a che fare col pubblico! Risalendo nella scala delle responsabilità, dovrebbe essere esposto in parlamento come monito per i politici che da più di 20 anni hanno tagliato risorse alla sanità, e magari davanti alle sontuose case di quelli che le hanno sperperate e persino intascate (Poggiolini teneva i suoi miliardi nascosti tra le piume delle poltrone!).
Il tempo, quindi. Anche il tempo per misurare la pressione arteriosa ai due lati, almeno una volta nella vita e magari una volta l’anno agli anziani e alle Persone a rischio? Certamente! Per chi ha seguito i miei eccessi clinici è il quarto e ultimo quiz. Era stato proposto insieme agli altri a cui nel frattempo ho risposto su questo sito: https://www.perlungavita.it/argomenti/salute-e-benessere/1434-uno-nessuno-e-centomila-il-ruolo-cosi-e-anche-se-non-vi-pare.
Si riallaccia al tema della durata della visita, del tempo, e possiede un alto ruolo della prevenzione neurovascolare (e generale, direi, in quanto tutto ciò che fa bene al cervello vale anche per il cuore e per il resto del corpo!). Allora, perché misurare almeno una volta nella vita la pressione arteriosa (PA) ai due lati, nella stessa occasione? È chiedere troppo, un piccolo sforzo, se si auscultano eventuali soffi vascolari al collo?
Adesso, un po’ di sana, utile e (spero) comprensibile anatomia funzionale. Il cuore pompa sangue arterioso verso il cervello e il resto del corpo. Dall’arco aortico si dipanano diverse arterie tra cui i tronchi sopraortici (TSA, con qualche variabilità in ciascuno di noi). Nella diapositiva sono estremamente sintetizzati: mancano, ad esempio le due arterie vertebrali, che fanno parte del circolo “posteriore” a destinazione cerebrale.
Prendiamo come esempio e punto di riferimento la stellina che ho posto in quell’incrocio che va all’arto superiore destro attraverso l’arteria succlavia. Immaginiamo che quella stellina rappresenti però una placca di vario tipo all’interno e all’origine dell’arteria e che crei un ostacolo parziale al flusso sanguigno (si chiama stenosi, di vario grado e tipologia). Misurando la PA bilateralmente potremmo scoprire che questa evidente barriera meccanica (aggiungiamo che provoca una stenosi del 70%?) si può rivelare attraverso una PA più bassa a destra. Nell’esempio, potremmo evidenziare che a destra la PA corrisponde a 100\55 e a sinistra a 160\90. Volendo, potremmo già accorgerci di una differenza di “potenza” del polso radiale destro. Se si trova il tempo di cercarlo e di apprezzarlo… Il medico si é rovinato la giornata eseguendo una tantum questa misurazione? Certamente no…
Se mette in pratica questa banale prassi e se riscontra una significativa differenza, come quella dell’esempio descritto, potrebbe invece sollecitarvi ad effettuare con una certa urgenza un esame non invasivo che si chiama ECO-Doppler dei tronchi sopraortici (TSA). Poi, sulla base dell’esito, può procedere richiedendo il parere di un chirurgo vascolare per una valutazione e per altri esami (angio-TC o RM, angiografia) in vista di eventuali interventi di tempestiva disostruzione del vaso. E intanto consigliarvi una buona terapia antiaggregante per tenere più “fluido” il sangue.
Che succede se questo piccolo sacrificio, questo breve impegno, espressione di serietà lavorativa del medico, non viene messo in pratica?
Parecchi cittadini non conoscono queste banalissime applicazioni utilissime per la salute, malgrado gli annunci sontuosi dei grandi guru della medicina a livello planetario (OMS compresa) verso un mondo reale che è distante. Il cittadino andrebbe informato semplicemente perché la “stellina” (che a questo punto è diventata una stellona) può ingrandirsi fino a occludere quell’arteria del braccio destro, la succlavia, provocando un’ischemia dell’arto stesso e, per non farsi mancare nulla, invadere anche la vicina origine della carotide destra, occludendola e provocando di conseguenza anche un ictus ischemico cerebrale destro che si manifesta come emiparesi o emiplegia sinistra.
Per darvi un’idea, descrivendo quanto da me già visto nella pratica clinica: arto superiore destro ischemico, pallido, dolorante, destinato a necrosi, gangrena, chiamatela come volete! Non basta. Dall’altro lato c’è una emiparesi o emiplegia per danno ischemico all’emisfero cerebrale destro.
A quel punto, già sulla barella, misurando la PA, cosa troveremmo? A destra magari ZERO (assenza di flusso arterioso) e a sinistra 200\100… e guai a ridurre questi valori! Quel 200\100 sta lavorando per noi, come si scrive nei cantieri, a far da supplente lassù nel cervello a quel che non arriva da destra.
I cittadini vanno formati da medici premurosi e competenti, come ha scritto Ippocrate due secoli e mezzo fa, l’ho doverosamente riportato nell’incipit del mio Malati per forza. Il cittadino potrebbe obiettare, come ho già sentito, purtroppo, che devono essere i medici a praticare questo ordinario esame! Non so cosa rispondere, da solo non ho il potere di cambiare le cose. Sono solamente un tenente!