Dal 1° luglio al 31 dicembre 2021 la Presidenza del Consiglio dell’Unione Europea (1) è stata affidata alla vicina Slovenia, insieme a Germania e Portogallo. Solitamente il Paese che ricopre tale carica, oltre a gestire e coordinare le attività del Consiglio dell’Unione, si fa anche promotore di iniziative ed eventi di particolare interesse. Tra questi rientra la conferenza internazionale “Human Rights for All Ages: Promoting a Life Course Perspective and Intergenerational Cooperation to Combat Ageism” che si è svolta lo scorso 18 novembre.
L’evento è stato organizzato in collaborazione con la Federazione delle Associazioni dei pensionati sloveni e con AGE Platform Europe(2).
Si parla ancora di invecchiamento e di ageismo perché questi sono temi centrali nelle politiche europee, considerato il fortissimo impatto che il cambiamento demografico ha in tutti i settori: dal lavoro alla salute, dalla formazione ai sistemi pensionistici e di sostegno sociale.
Il tema della conferenza prende lo spunto dalla riflessione che una maggiore longevità porta con sé un ventaglio di nuove possibilità, ma anche di sfide, e parte da una domanda:
CHE TIPO DI VITA MI ASPETTO PER IL FUTURO?
Semplicissima la risposta: mi aspetto una vita buona. Magari migliore dei giorni che viviamo attualmente. Una vita fatta di viaggi, impegno nelle cose che ci interessano, di contatti con il mondo esterno e di sicurezza che, nel momento in cui si dovesse presentare la necessità, la società in cui vivo sarà in grado di sostenere le mie scelte e i miei bisogni. Insomma mi aspetto una vita di QUALITA’.
Però se nell’oggi, a questo punto della nostra vita, gli ostacoli che incontriamo sulla strada sono facilmente superabili in virtù delle nostre energie, ma soprattutto del nostro essere parte integrante della società, ciò non significa che lo saranno anche domani. L’ingrigire dei capelli, le nuove rughe sul nostro volto cambiano poco per noi, per il nostro modo di vederci e pensarci nel mondo. Cambiano molto invece per chi ci sta attorno, che ci guarda con occhi nuovi e non sempre benevoli.
A me, che di anni ne ho 58, già capita di notare che le persone che incontro assumono un atteggiamento diverso rispetto a qualche anno fa. Ora, può essere deferenza e forse rispetto. Ma a volte avverto una sorta di condiscendenza che so diventerà la normalità fra 10 anni.
Questo atteggiamento si chiama ageismo ed io ho deciso di affrontarlo e, per quanto possibile, modificarlo.
Ed è esattamente quanto si sono proposti gli organizzatori dell’evento. Gli stereotipi che modificano i nostri comportamenti nei confronti delle persone sulla base dell’età, se diventano la norma, portano inevitabilmente a considerare gli anziani come diversi, alieni.
Ci battiamo tanto per costruire una cultura dell’uguaglianza. Uguaglianza nel senso di aspettativa di pari rispetto, trattamento e opportunità. Tra generi diversi, tra differenti etnie e religioni.
Ma spesso dimentichiamo le diverse fasce di età.
Già si è detto delle forme, dei motivi e della diffusione della discriminazione sulla base dell’età, così come si è detto – e durante la conferenza è stato ribadito – della cronica mancanza di dati necessari a dare una dimensione precisa del fenomeno.
Tra i motivi identificati per spiegare l’ageismo, un fattore rilevante riguarda la separazione tra le generazioni. I tempi attuali sono caratterizzati da uno scarso scambio intergenerazionale, imputabile soprattutto alla diversa conformazione dei nuclei familiari e a un’accelerazione del progresso tecnologico. Ne deriva una sostanziale rigidità dei rapporti, ad esempio, tra genitori e figli. Le cose poi si fanno più difficili se parliamo di nonni e nipoti o, più in generale, di contatti tra giovani e anziani. Tranne qualche fortunato caso in cui i bambini e poi gli adolescenti si trovano a frequentare assiduamente i propri nonni (e viceversa) e a trarne uno scambio proficuo, in generale questi due gruppi poco si conoscono e poco imparano l’uno dall’altro. Con la conseguenza che, quando si incontrano, non sanno più come comunicare.
Triste a dirsi, ma tant’è, ora ci si trova nella situazione di dover pensare a delle nuove politiche e allo sviluppo di strumenti che ci insegnino di nuovo a stare insieme.
Come?
Durante la conferenza si è parlato soprattutto della necessità di modificare il concetto stesso del termine “invecchiamento” attraverso la familiarizzazione con un approccio life-cycle. In sostanza “invecchiamento” non riguarda più soltanto una precisa fascia di età. Si comincia piuttosto ad invecchiare nel momento stesso in cui si viene al mondo. L’invecchiamento cioè diventa un cammino, il percorso continuo della vita e riguarda tutti noi.
Ci si aspetta che questa modificazione concettuale porti a due risultati considerati molto importanti, soprattutto nei confronti delle nuove generazioni. Da un lato i vecchi di domani vengono responsabilizzati verso comportamenti e stili di vita virtuosi, poiché se è vero che la società in cui viviamo ha un ruolo fondamentale nella costruzione di comunità inclusive, è altrettanto vero che noi siamo gli artefici del nostro destino anche per quanto riguarda la scelta del modo in cui invecchiare (patrimonio genetico a parte).
D’altro canto, riconducendo le diverse fasi in cui è frammentata la nostra esistenza, (3) dal punto di vista socio-economico, ad un unicum legato a momenti di transizione fluidi, si trasmette l’idea che l’individuo rimane sempre la stessa persona per tutta la vita, cambiando solo le proprie abilità e necessità, peraltro entrambe sempre presenti.
Ma provocare un cambiamento nel modo di pensare spesso non è sufficiente e i motivi dell’isolamento sociale in cui spesso gli anziani si trovano confinati non dipende solo da colpe riconducibili ai “giovani”. Durante l’incontro si è anche parlato della divisione tecnologica che allontana gli adolescenti – e in parte gli adulti – dagli anziani e viceversa. L’analfabetismo digitale è un problema che riguarda un po’ tutte le generazioni (4) ma assume dimensioni importanti con l’avanzare dell’età. Quante volte abbiamo sentito dire “ah, io il computer non lo voglio usare”, “io voglio solo telefonini vecchia maniera, mica quelle trappole con l’internet, che poi non sai mai cosa succede…”? Bene, questo atteggiamento nei confronti delle nuove tecnologie nel lungo periodo provoca isolamento sociale – e il COVID lo ha abbondantemente dimostrato a quanti, non sapendo usare il computer o rifiutando gli smart-phones, non erano in grado di guardare i propri parenti nemmeno attraverso uno schermo – e allarga ulteriormente il divario con le generazioni più giovani che, a ragione, vengono definiti come generazione digitale.
È ovvio a questo punto che se le occasioni di incontro si diradano e gli argomenti in comune sono pressoché azzerati, giovani e anziani non hanno modo di entrare in un contatto proficuo. E dalla mancata conoscenza nasce la diffidenza. E dalla diffidenza la generalizzazione e la discriminazione chiamata ageismo. Diciamo che il processo è forse un po’ banalizzato ma rende l’idea di come il fenomeno funzioni in ambo le direzioni.
Interessante in proposito è stato il contributo di Lucija Karnelutti, UN Youth Delegate, che dopo aver ribadito come l’ageismo sia un problema che riguarda anche gli adolescenti e i giovani adulti, ha anche sottolineato la consapevolezza, tra i suoi coetanei, che la mancanza di interazione con le generazioni precedenti lascia un vuoto importante nella loro formazione e crescita umana e culturale.
Credo che questo sia il secondo evento internazionale, tra i tanti a cui ho partecipato in questi ultimi due anni, in cui, tra i tanti rappresentanti di organizzazioni di persone anziane era prevista anche la presenza di un membro di un’associazione giovanile. È un primo ma importante passo verso l’apertura di un dialogo dove trovano spazio le esigenze degli uni e degli altri, con un punto di contatto importante: la lotta alla discriminazione sulla base dell’età. In questo tanto i giovani quanto i vecchi perseguono il medesimo obiettivo e possono mettere in campo sforzi diversi – tecnologici ed esperienziali – che porteranno ad un identico risultato: una società inclusiva dove tutti siamo uguali (nel godimento dei diritti umani) e diversi (nelle caratteristiche individuali) allo stesso tempo.
La parte conclusiva della conferenza è stata dedicata alle esperienze pratiche di scambio intergenerazionale: studenti universitari che trovano alloggio in centri di cura dove non pagano l’affitto ma dedicano 30 ore settimanali allo scambio con gli altri residenti anziani; enti locali che promuovono la coabitazione tra persone anziane che vivono nella propria casa e possono ospitare giovani studenti; il piccolo gruppo di meditazione che dà vita ad comunità intergenerazionale dove si vive seguendo i 4 principi di sostenibilità, tranquillità, riflessione a mutua assistenza. Gli esempi sono molti ed è sufficiente fare una ricerca nel web per trovare esempi e proposte.
Anche il dibattito nella stanza della “chat” tra tutti quanti erano collegati all’evento è stato piuttosto vivace e ha dimostrato quanto ancora ci sia da fare anche solo per quanto riguarda la ricerca di una definizione univoca e globale del termine ageismo nelle diverse lingue europee.
In generale direi che ciò che mi rimane da questa giornata è una sensazione già provata e che mi porta a pensare che nella vita pratica di tutti i giorni, così come nelle stanze delle grandi organizzazioni politiche, il tema dell’inclusione e dello scambio intergenerazionale sia già ben masticato e digerito. Basti vedere tutta la mole di documenti internazionali(5) e tutti i micro progetti locali.
Manca invece un coinvolgimento a livello intermedio.
I governi centrali dei singoli Stati Europei – e ancor più i governi locali – fanno ancora fatica a tradurre le raccomandazioni che giungono dall’alto e i segnali che arrivano dal basso in programmi politici definiti e trasversali che tengano finalmente nella dovuta considerazione il cambiamento demografico ormai travolgente e la necessità di rendere nuovamente omogenea la comunità in cui viviamo.
Note
(1) Per una panoramica sui compiti e le attività del Consiglio dell’Unione Europe si veda Il Consiglio dell'Unione europea - Consilium (europa.eu).
(2) AGE Platform Europe è un’associazione di derivazione dell’Unione Europea e raccoglie le organizzazioni di e per gli anziani. È attiva su tutti i settori della vita degli anziani e collabora con tutte le Direzioni UE per la promozione dei diritti degli anziani. About AGE | AGE Platform (age-platform.eu)
(3) Tipicamente: formazione / infanzia, lavoro / età adulta, pensionamento / vecchiaia
(4) Secondo il Green Paper on Ageing adottato dall’Unione Europea nel gennaio 2021, in Europa un adolescente su 5 è privo delle conoscenze digitali di base. green_paper_ageing_2021_en.pdf (europa.eu) pag. 5
(5) Oltre ai documenti citati nelle note al presente articolo e a quelli relativi agli articoli sul Rapporto Globale sull’Ageismo, volentieri riporto il documento di Kai Leichsenring, Direttore Esecutivo dello European Centre for Social Weklfare Policy and Research, sull’approccio life-course all’invecchiamento https://www.researchgate.net/profile/Kai-Leichsenring/publication/328225820_Ageing_40_-_Towards_an_Integrated_Life-Course_Approach_to_Population_Ageing/links/5bbf7832a6fdcc2c91f6a3e7/Ageing-40-Towards-an-Integrated-Life-Course-Approach-to-Population-Ageing.pdf