Questo mese vorrei introdurvi al Rapporto globale sull’ageismo, pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel mese di marzo di quest’anno.
Il termine "ageismo", anche se non di uso comune, è ormai noto a molti di coloro che si occupano dei problemi che ogni giorno affrontano le persone con più di 65 anni così come ad una certa fascia di ricercatori e decisori politici.
Ma perché doverci scrivere sopra un intero rapporto di addirittura 202 pagine?
Un breve salto indietro: in seguito all’evidente e generale processo di invecchiamento della popolazione, nel 2016 fu pubblicato uno scritto dal titolo Global strategy and action plan on ageing and health (2) il cui obiettivo è di portare all’attenzione dei Governi nazionali il tema dell’invecchiamento della popolazione e le sue ricadute in termini sanitari ed economici. Nello specifico si sottolinea che, considerata la tendenza demografica ormai radicata e partendo dall’assunto che la possibilità di invecchiare concessa agli uomini è una conquista – anche se a volte presenta delle sfide importanti – le risposte delle comunità nazionali ed internazionali all’invecchiamento non si possono permettere di ignorare queste nuove sfide ma, al contrario, ci si deve impegnare nel trovare e garantire modalità di recupero, modelli di adattamento e sviluppo e garanzie di conservazione della dignità e, aggiungo io, protezione dei diritti.
Prerequisto essenziale allo sviluppo di efficaci politiche e per la promozione dell’invecchiamento sano (healthy ageing) è la lotta all’ageismo, principale ostacolo alla riduzione delle ingiustizie, alla corretta angolatura da cui guardare alle persone che invecchiano e alla promozione di una comunità di scambio intergenerazionale.
Stesse conclusioni si ritrovano all’interno del piano d’azione The Decade of Healthy Ageing (3) che identifica nella lotta alla discriminazione sulla base dell’età una delle quattro aree d’azione prioritarie (4).
L’argomento è quindi importante e non può essere sottovalutato se non si vuole rischiare di compromettere le azioni future – in termini di sviluppo delle politiche nazionali, ma anche di progetti a livello locale – a favore delle popolazioni anziane, ma anche delle generazioni più giovani.
Per questo motivo l’OMS ha ritenuto importante dedicarvi uno studio approfondito che circoscriva in modo accurato la natura, la dimensione, i motivi del suo manifestarsi, l’impatto e le strategie più efficaci per combattere l’ageismo.
“Ageism” definisce il modo in cui pensiamo (stereotipo), percepiamo (pregiudizio) e agiamo (discriminazione) nei confronti delle persone o di un gruppo eterogeneo definito in base all’età. Mentre il termine è stato usato per la prima volta nel 1969 da un gerontologo di nome Robert Butler, la sua definizione è variata nel corso degli anni al fine di renderla universalmente omogenea anche laddove non esista un termine definito nelle diverse lingue nazionali (ad esempio il termine tedesco Atersdiskriminierung riferisce solo all’aspetto discriminatorio) (5). Anche nella lingua italiana non ritrovo un termine che possa comprendere l’attitudine generale verso un gruppo caratterizzato per età e, per il momento, ci si accontenta di italianizzare il termine anglosassone.
In ogni caso “ageism” non identifica necessariamente un’attitudine negativa, né il gruppo eterogeneo delle persone di età superiore ai 65 anni, riscontrandosi parecchi esempi anche nelle generazioni più giovani.
L’ageismo quindi si caratterizza per dimensione, contesto e forma di manifestazione.
1. 3 le dimensioni di manifestazione. Stereotipo, pregiudizio e discriminazione sono espressioni delle dimensioni psicologiche: pensiero, sentimento e azione o comportamento.
2. 3 i contesti. Fenomeni di ageismo si ritrovano nelle istituzioni, nei rapporti interpersonali e come forma di auto-denigrazione.
3. 2 le forme di manifestazione. L’attitudine ageista può essere esplicita (il comportamento discriminatorio nei confronti delle persone definite per età è consapevole) o implicita (l’attitudine ageista è inconscia).
Le 3 dimensioni
STEREOTIPO, PREGIUDIZIO e DISCRIMINAZIONE sono espressione di diverse facoltà psicologiche dell’uomo.
Gli stereotipi vengono definiti come strutture cognitive dove vengono immagazzinate una serie di credenze o aspettative riguardo le caratteristiche che definiscono le persone appartenenti ad un medesimo gruppo identificato, in questo caso, in base all’età. Gli stereotipi sono in grado di influenzare i nostri comportamenti e governare le informazioni che intendiamo ottenere o che ricordiamo. Nel caso specifico possono guidare le conclusioni che elaboriamo rispetto alle capacità cognitive e fisiche, allo stato di salute, ecc. e possono farlo in modo positivo o negativo.
Il contesto culturale, le caratteristiche sociali, la collocazione geografica e l’età del soggetto ageista a loro volta influenzano la formazione di particolari stereotipi rispetto ad altri che si generano in altri contesti.
Il pregiudizio è una risposta emotiva, positiva o negativa, diretta verso una persona che noi percepiamo come appartenente ad un determinato gruppo. I sentimenti di compassione o empatia sono forme comuni di pregiudizio nei confronti delle persone anziane allo stesso modo in cui paura o avversione possono essere sentimenti diretti nei confronti di persone giovani sulla base dell’assunto che i giovani sono tutti delinquenti e fannulloni.
La discriminazione consiste nelle azioni o nei comportamenti che noi teniamo quando interagiamo con le persone sulla base della loro percepita appartenenza ad un gruppo socialmente definito e che si concretizza in uno svantaggio (discriminazione negativa) o un vantaggio (discriminazione positiva) rispetto al resto della comunità.
Nel caso dell’ageismo la discriminazione si concreta in comportamenti – incluse azioni, consuetudini e politiche – diretti verso persone appartenenti alla medesima classe di età: datori di lavoro che impediscono ad un lavoratore giovane di condurre un progetto solo perché lo ritengono troppo giovane e inesperto o che negano un corso di formazione / aggiornamento ad un lavoratore più anziano solo perché lo ritengono troppo vecchio per beneficiarne, sono esempi di ageismo, così come il pensionamento obbligatorio o il rifiuto di prestare determinate cure sanitarie.
I 3 contesti
ISTITUZIONI, RAPPORTI INTERPERSONALI e AUTO-COSCIENZA sono i tre contesti principali che il rapporto dell’OMS identifica per spiegare le diverse manifestazioni di comportamenti ageisti.
Per istituzione si intende il contesto sociale in cui tutti ci troviamo a vivere: sono le leggi, le regole e le norme sociali, le politiche e le pratiche adottate dalla comunità (uffici pubblici e privati) che di fatto si possono trovare nella posizione di operare restrizioni ingiuste che si traducono in situazioni di svantaggio in cui si vengono a trovare le persone appartenenti ad una determinata classe di età. Si riferisce anche alla promozione di specifiche ideologie o narrazioni che alcune istituzioni adottano intenzionalmente per giustificare il proprio ageismo. E’ particolarmente subdolo: annidandosi all’interno di norme comportamentali e pratiche consolidate spesso non viene nemmeno riconosciuto. E poiché il comportamento discriminatorio non sempre risiede in una specifica volontà, per determinare una forma di ageismo istituzionale non consideriamo un comportamento quanto piuttosto il risultato che questo comportamento ha prodotto. Un caso classico in letteratura è quello dell’ageismo sanitario che si verifica quando un trattamento, la disponibilità di particolare attrezzatura o la possibilità di eseguire esami preventivi viene negata unicamente sulla base dell’età del paziente. In questo senso il CoViD19 ha spalancato il sipario su pratiche ormai consolidate sia nelle strutture sanitarie, ma – ancor peggio – nelle strutture residenziali, luoghi per vocazione deputati alla protezione delle persone più fragili.
L’ageismo interpersonale si manifesta invece all’interno delle relazioni tra due o più persone appartenenti a due diverse classi di età. Il vocabolario semplificato o un tono di voce infantile molto spesso sono un segnale della considerazione e delle aspettative verso una persona anziana, così come un tono condiscendente o il mancato rispetto dei diversi punti di vista di una persona più giovane o più anziana.
L’ageismo auto-inflitto invece è sintomo di internalizzazione e accettazione di pregiudizi che permeano la comunità che ci circonda: nel lungo periodo, la ripetuta mancanza di rispetto o di considerazione inducono sentimenti di inadeguatezza e insicurezza sulle proprie capacità e sul proprio posto all’interno della società.
Le 2 forme
I nostri comportamenti e le nostre azioni possono essere volontari o inconsci. La stessa cosa accade con l’ageismo. Una persona può essere consapevole di attivare delle dinamiche ageiste nei propri rapporti con il prossimo, in modo da procurare vantaggio o svantaggio nei confronti di altre persone appartenenti ad una classe di età diversa.
Altre volte invece le persone attivano questi modelli comportamentali in modo inconscio. Questo succede per due motivi principali:
1. Il “perpetratore” non ha a disposizione sufficienti strumenti per riconoscere la propria attitudine (ad esempio nel caso del personale delle case di riposo non adeguatamente formato o in numero insufficiente rispetto alle necessità o con poco tempo a disposizione per svolgere le proprie mansioni)
2. La persona ageista è calata in un contesto culturale dove i comportamenti discriminatori sono diventati uso comune e vengono routinariamente reiterati dalle istituzioni, internalizza questo modello e lo ripropone in modo inconsapevole.
Questa definizione di agesimo propone una visione in cui le varie componenti sono in grado di interagire le une con le altre rinforzandosi in modo tale da rendere difficile nel tempo la sua eradicazione. L’ageismo fa parte di noi. In modo conscio o inconscio, nei nostri comportamenti verso l’altro o all’interno delle nostre istituzioni. Riconoscere questo fatto ci aiuta a circoscrivere in modo consapevole il fenomeno e a rompere quel circolo vizioso che impedisce di vedere la persona (giovane o vecchia che sia) per quello che è, valorizzandone le capacità e integrandola in modo efficace nella comunità.
(continua…)
Note:
(1) La versione integrale del rapporto può essere scaricata gratuitamente dal sito della World Health Organisation https://www.bing.com/search?q=global+report+on+ageism&form=QBLH&sp=-1&pq=global+report+on+ageism&sc=1-23&qs=n&sk=&cvid=00446A7BA3104836AA87A0B41E80758A
(2) Global strategy and action plan on ageing and health. Geneva, World Health Organization, 2017, 17240_Multisectoral action for a life course approach to healthy ageing-draft global strategy and plan of action on ageing and health For Web (who.int)
(3) La World Health Organization, in collaborazione con le Nazioni Unite ha attivato una piattaforma dedicata alla Decade of Healthy Ageing aperta a tutti: UN Decade of Healthy Ageing - The Platform
(4) Le quattro aree di azione prioritarie identificate dal programma The Decade of Healthy ageing sono: 1. Lo sviluppo di comunità che favoriscano le abilità delle persone anziane; 2. Lo sviluppo di programmi di assistenza integrati che mettono al centro la persona nella sua complessità e di un programma di assistenza di base che risponda alle necessità delle persone anziane; 3. Garantire alle persone che ne hanno necessità l’accesso all’assistenza di lungo termine; 4. La lotta all’ageismo, che risulta essere principio informatore nel raggiungimento degli altri tre obiettivi
(5) The Global Report on Ageism, Geneva, World Health Organization, 2021: Introduction, Box 0.1, pag. XIX