Il libro a cui mi riferisco nel titolo nasce da un corso tra donne sul tema della vecchiaia. E il corso nasce da un mio libro pubblicato nel 2012 L’età in più. Narrazione in fogli sparsi, Da qui è nato il progetto di tenere alla Libera Università delle Donne una serie di incontri sul tema della vecchiaia. Agli incontri – che si sono svolti in due cicli, per due anni dal novembre 2013 al maggio 2015 - hanno partecipato circa venti donne, dai 60 ai 78 anni con una presenza costante e intensa.
Il libro è la trascrizione “riveduta” (con la collaborazione di Clara Mantica) di questi incontri, con l’aggiunta di scritti in prima persona di alcune di noi e di brani suggeriti di autori e una bibliografia.
Naturalmente il gruppo era consapevole di un rischio: quello di perdere l’immediatezza, la chiarezza, persino la profondità, la tenerezza e l’emozione con cui ciascuna si è espressa. Abbiamo voluto correre questo rischio perché ci è parso che ci sia sete di pensieri e parole sulla vecchiaia. Non emerge da questo resoconto nessuna visione precostituita, nessuna ideologia giovanilistica o al contrario vittimistica, nessuna lamentazione fine a stessa, ma voglia di capire, oserei dire persino curiosità.
Ecco, potrei dire: ci siamo messe in ascolto, in ascolto non solo con le orecchie ma con l’anima, sperimentando una modalità che potrei chiamare di com-passione, e cioè di condividere la passione.
In fondo, un’indagine per capire quali possano essere gli strumenti per affrontare l’inquietudine che si prova quando ci si inoltra in un territorio sconosciuto, inabitato e all’apparenza inabitabile perché spesso ci viene rimandato dall’esterno come un tabù (la vecchiaia come negazione della giovinezza, come “negativo”). All’interno di uno scenario basato sull’idea che l’esistenza alla fine sia caratterizzata da un’incessante metamorfosi e che per gestire questa incessante metamorfosi non ci siano modelli. In un certo senso la nostra generazione è caratterizzata dall’essere senza modelli, senza modelli nella nostra vita adulta, senza modelli anche ora. E quindi ci sembrava necessario porsi delle domande su come sia possibile affrontare in modo nuovo questa fase della vita, sulla base delle reali esperienze di vita e delle trasformazioni del processo di invecchiamento. Insomma come il cambiamento sociale complessivo possa dar adito a un ripensamento delle forme della vecchiaia, aldilà di vecchi e nuovi stereotipi.
E’ importante dire che noi abbiamo parlato della nostra esperienza e quindi dell’esperienza di donne che stanno avvicinandosi alla vecchiaia. Non è dunque la grande vecchiaia, è quella che sociologicamente si chiama giovane vecchiaia.
E’ importante sottolinearlo perché è abbastanza comune trattare la fase della vecchiaia come un blocco unico, omogeneo, cancellandone le differenze. Invece questa fase di incontro con la vecchiaia è una fase particolare di transizione: tra un assetto ancora legato a una reale - o immaginata- padronanza di sé e il delinearsi di una minaccia di caduta nell’impotenza, anche questa a volte reale a volte immaginata.
Una fase particolarmente contradditoria e inquieta, appunto di passaggio, inteso come riorganizzazione delle priorità e quindi anche come esperienza di instabilità e di conflitto, un periodo di esposizione a forti esperienze di disorganizzazione e riorganizzazione psichica, continuamente sottoposta a revisioni e trasformazioni: non esistono condizioni fisse, ma mix di risorse che interagiscono tra loro, combinandosi in quadri positivi e negativi, segnati da equilibri instabili che richiedono continue ridefinizioni. Condizioni apparentemente garantite possono, per il movimento di uno dei pezzi del puzzle di risorse (un lutto, uno sfratto, una malattia prolungata, una caduta, il venire meno di un pezzo portante della rete di sostegno ecc.), improvvisamente franare in situazioni a rischio.
Una fase dunque in cui il presente è fatto di sguardo rivolto al passato e di sguardo rivolto al futuro in una compresenza complessa, che rischia di dividersi tra l’attrazione per un passato che può diventare solo rimpianto e il terrore di un futuro a termine. E questa percezione della centralità del presente non genera pace, saggezza, tranquillità, genera piuttosto inquietudine.
Ma anche un acuirsi dello sguardo.
E con questo sguardo abbiamo cercato di capire i diversi aspetti del pianeta vecchiaia.
Le perdite innanzitutto: quella che potremmo chiamare la perdita dell’innocenza rispetto al futuro. Il futuro, al di là di ogni constatazione realistica (a settant’anni si può vivere ancora per vent’anni e più), appare corto, Perdita dell’innocenza rispetto al futuro che significa anche la perdita delle illusioni rispetto a un possibile cambiamento, la perdita di progettualità, la sensazione che si è già visto tutto, il venir meno dell’eccitazione dell’interesse.
E poi le perdite legate al deperimento del corpo, non tanto o non solo della sua estetica – che è una percezione più colta nel passaggio dei cinquant’anni – quanto proprio nella sua funzionalità: perdita di prontezza e di capacità di reazione, affievolirsi dell’udito, perdita dell’equilibrio fisico, complessiva mancanza di energia, decadimento della memoria, fatica, percezione di afasia….E questa sensazione complessiva porta direttamente al restringimento dei possibili: fino a ieri andavo allegramente in bicicletta e adesso mi fa paura…ho sempre amato fare lunghe passeggiate, ho sempre camminato a piedi per l’impazienza di aspettare l’autobus…ho fatto migliorie in casa, ma avrò tempo sufficiente per godermele?
E poi la perdita delle persone che hanno fatto parte della tua vita, con cui si sono avuti interessi comuni. La sensazione di essere sopravvissute.
E ancora la perdita di ruolo, sia sociale che in famiglia (non sei più tu quella che comandi, che controlli, che definisci…)
Tutto questo sembra definire un quadro a tinte fosche, una sorta di raggelamento della linfa vitale, ma si può rovesciare il tappeto e vederne la trama che appare più nascosta. La mancanza di energia e la lentezza che ne deriva può essere anche rovesciata nell’elogio della lentezza; la perdita delle illusioni può anche indurre una maggiore consapevolezza e un’analisi più lucida delle sciocchezze che abbiamo fatto affidandoci alle nostre illusioni, ecc. ecc. Insomma il minore affidamento al futuro può anche aprire la disponibilità al presente, a viverlo, ad assaporarlo momento per momento. Non solo le perdite, dunque, anche i guadagni (il senso di liberazione che si può percepire dal mettere una distanza tra sé e le cose, il tempo ritrovato della lentezza, il senso di benessere che viene anche dalle piccole cose – il sale della vita-).
L’importanza delle piccole cose, dei piccoli piaceri. Forse nella vecchiaia sono più precisi, più riconoscibili. Mentre nella giovinezza e nell’età adulta ci sono gioie e piaceri grandissimi che catturano tutta l’attenzione (un amore, un figlio, un nuovo lavoro ecc.), nella vecchiaia c’è la scoperta di quanti piaceri possono esserci nella vita quotidiana, solo se si è attenti a inseguirli e accoglierli. E alla base di questo sentimento, la percezione del piacere che può venire dal fare il vuoto, dallo spogliarsi di cose passate, anche di vestiti, di quadri, di mobili, di oggetti, di vecchie lettere, amare la casa luminosa e vuota….Ma, in contrapposizione, anche il piacere del “pieno” che evoca ricordi, che restituisce il passato (il lessico famigliare, la “petite phrase”, la tazzina della madre, un anello ecc.)
Anche qui, un andirivieni tra pieno e vuoto. In fondo, ciascuna di noi va e viene dal passato al futuro. Una lettera, ritrovata, riletta, può anche suscitare un ricordo di quel po’ di bene che ci ha dato la vita. Ricordo del bene, non solo nostalgia. Vivere qui e ora, staccarsi dal passato ma senza rimuoverlo.
E poi abbiamo cercato di indagare gli aspetti della vita materiale che cambiano, nella situazione economica, nella situazione abitativa, nel lavoro). E poi il tema dell’importanza del desiderio, delle relazioni – famigliari, amicali – e il tema della sessualità. E ancora , nel secondo ciclo, il tema della malattia e della morte, la morte di chi ci è vicino e la nostra, il tema della solitudine, la capacità di ricevere e di dare, la progettualità, il senso “politico” dell’invecchiare: il posto dei vecchi nella nostra società, il posto che ciascuna di noi sente di avere, di non avere, di poter avere, di voler avere, la curiosità e le sfide, l’apertura al nuovo, lo stare con sé e lo stare con altri.
Ecco, questa è la trama del libro: che cosa possa significare inoltrarsi in quel territorio della vita che è la vecchiaia, abbandonando vecchi e nuovi stereotipi, è quello che abbiamo cercato di fare in questo lungo percorso di ricerca comune. Dando parole alle nostre soggettività, spesso inquiete e contradditorie, mettendo a confronto i nostri – anche diversi – punti di vista e le nostre emozioni, i nostri guadagni e le nostre perdite. Mi sembra che questa apertura sia stato l’elemento caratterizzante di questo lungo percorso comune perché ci ha permesso di vedere “altri aspetti” dei temi che abbiamo affrontato, angolature che non avevamo preso in considerazione dello stesso tema.
Imparando le une dalle altre, adottando il metodo dei “pensieri condivisi” e delle “letture condivise”, approfondendo ogni spunto che viene da noi o da altri/e, sviscerandolo, facendone un patrimonio comune.
.E in questa disponibilità e apertura al presente si può scoprire anche una nuova modalità di imparare: imparare ad aspettare, imparare la pazienza, adottare uno spazio mentale disposto ad accogliere l’incertezza e tutto ciò che è ignoto. Imparare a convivere con l’incertezza diviene una capacità che insegna a disimparare ciò e chi si è state, almeno in parte, ad accettare nuove condizioni di vita, nella loro temporaneità e mutabilità.
E soprattutto aprendoci alla possibilità di tenere in mano la nostra vita e alla capacità di offrirsi a ciò che ti porge la vita anche in questo difficile passaggio. Farsi forza della stessa debolezza.
E anche un altro pensiero è stato importante sia all’inizio dei nostri incontri sia – sulla base delle somiglianze ma anche delle differenze tra noi – anche delle nostre riflessioni conclusive: che è proprio l’individualizzazione dei percorsi di vita il segno dominante delle nuove vecchiaie e che questi percorsi non assurgono a modelli ma si confrontano, si avvicinano, si contrappongono anche in una varietà infinita che è la varietà della vita.
Come scrive Hillman, “il fine di invecchiare non è quello di morire, ma di svelare il nostro carattere che ha bisogno di una lunga gestazione per apparire, a noi prima che agli altri, in tutta la sua peculiarità”. E vi assicuro che questo svelamento può portare delle sorprese, a volte positive, a volte negative. Su questa capacità di sorprendersi abbiamo indagato.