L’avevo scelto per due motivi: era una persona gioviale e aveva lavorato sempre in Austria, paese che per noi italiani (e per chi come me è profondamente meridionale siracusano) è garanzia di serietà professionale. Mauro, papà di Rita, una mia amica dell’ufficio amministrativo dell’ospedale in cui ambedue abbiamo lavorato a lungo, era definitivamente tornato al paesino di origine dopo i tantissimi anni di attività nell’Austria Felix vicino di frontiera del Friuli e dopo aver piastrellato mezza Salisburgo. In patria aveva continuato a metter su piastrelle a Udine e nei piccoli centri attorno.
Nell’ottica del risparmio decoroso ma necessario per ristrutturare la mia casa lui poteva andare benissimo, pensai. E così in un maggio di circa dieci anni fa accettò di piastrellare il nuovo bagno. Le piastrelle erano piccole, di un efebico rosa pallido, appiccicate a una solida carta quadrata che le tratteneva insieme come in una grossa piastrellona unica che andava a sua volta incollata sui muri e per terra. Me le ero trasportate al piano di sopra io stesso scaricandole dalla macchina e regalando l’ennesima violenza ai miei scivolosi dischi lombari.
Alle otto del mattino in punto Mauro era ad aspettarmi col suo largo sorriso davanti al cantiere che sarebbe tornato presto a essere casa mia. Consegnatagli la chiave prima di andare al lavoro, ero di buon umore e ben convinto dell'ottimo risultato finale che con l’avanzamento degli altri lavori mi avrebbero consentito qualche mese dopo di viverci finalmente dentro. Mi sentivo in una botte di ferro nel lasciare le sorti del mio bagno a un serio professionista “austriaco”. Avevo ancora vivo il ricordo del lavoro disastroso che un mese prima aveva malfatto un elettricista a prima vista bravo, gentile e poco oneroso, sì, ma adatto a piccoli lavori e non certo a costruire ex novo un impianto intero e a norma di una casetta di due piani!
Con l’animo leggero, malgrado la tensione e la stanchezza del turno di guardia in neurologia, appena uscito dall’ospedale ero tornato alla casa-cantiere. Alle otto di sera sarei riuscito di sicuro a vedere anche con poca luce quella porzione del lavoro fatto!
E lì mi è apparso il dramma in tutta la sua parete sinistra, e il caos di materiali sparsi confusamente per terra! Un’onda da ubriacarsi, un cavallone marino di minuscole piastrelle rosa pallido non allineate da far venire i capogiri, ben visibile attraverso la luce residua del giorno che arrivava dalla grossa finestra della parete di fronte, fatta ingrandire apposta perché un bagno luminoso è scelta di vita!
Quella sera il grande spazio di luce stava illuminando il maroso costruito sapientemente dal singolare talento di questo arzillo piastrellista quasi settantenne!
Telefonata veloce alla figlia, crudele fantasia nel creare una giustificazione al necessario fermo immediato dei lavori: “in effetti, sulla rivista l’effetto delle piastrelle era diverso... questo rosa pallido stanca... ci penso su, ma cambiando sicuramente scelta di piastrelle... e poi richiamo tuo padre, mi spiace per il contrattempo, spero che non abbia perso altri lavori per questo nostro impegno... e comunque intanto gli pago la giornata.“
Costo: 150 euro, rigorosamente in nero, cui aggiungere una cifra simile sborsata per riacquistare le piastrelle dell’onda anomala demolite da picconate di rabbia.
Nell’allegra e ridanciana famiglia di Mauro, dove non tutto veniva preso sul serio (la moglie era morta di cancro alla mammella malgrado il vistoso e sottovalutato nodulo comparso anni prima), un anno dopo la piastrellata ondivaga e selvaggia del mio bagno, accadde che l’uomo fosse lasciato solo poiché la figlia, che col marito coabitava nella grande casa, era andata in ferie. Secondo le malevole voci dei vicini, arrivate poi a destinazione a frittata fatta, Mauro aveva cominciato da qualche mese ad avere difficoltà nel gestire la raccolta differenziata dei rifiuti e a parcheggiare bene la macchina nel cortile comune, a bagnare le piante del giardino e quelle in vaso, fare la spesa, spegnere le luci non necessarie la notte, persino vestirsi in modo corretto.
Quando Rita tornò a casa una settimana dopo dal mare della Croazia, le si presentò l’amara scoperta di una cucina sottosopra, panni sporchi nella lavapiatti, piatti, bicchieri e cibo ovunque, water sudicio, padre vestito con pantaloni di flanella... con quel caldo! Ma sempre ridanciano e contento del ritorno dei familiari.
Lo visitai pochi giorno dopo: non aveva perso il buonumore, la mia amica invece sì! La parte iniziale del test Mini Mental (MMSE) andò benissimo riscaldando un po’ il cuore di Rita ed anche il mio. Persino al richiamo delle tre parole (pane, casa e gatto) ne aveva ricordate due; ma quando arrivammo alla copia dei due pentagoni fu incapace di copiarli. O, meglio, li copiò perfettamente ma dentro il modello da me disegnato:
Se il paziente è incapace di copiare i due pentagoni accanto al modello ma li copia “dentro” il disegno originale evidenzia non solo difficoltà visuo-percettive (l’occhio serve a vedere ma è il cervello a capire ciò che l’occhio gli trasmette) ma anche problemi “organizzativi” diversi: si chiama fenomeno del closing in e secondo me “vale” non un solo punto, come prassi usuale e regola codificata da coloro che inventarono questo test cognitivo breve, ma molti di più in quanto è il testimone, la spia, di una netta ricaduta negativa sul piano funzionale, sulle abilità, sul saper fare e di conseguenza sullo stress del caregiver.
Il Mini Mental mente, a volte, lo racconto da anni: c’è punto perso e punto perso!
Mauro completò l’opera con un disegno dell’orologio che mi riportò definitivamente alla memoria le sue piastrelle ondeggianti incollate a casa mia un anno prima!
Alla fine delle due brevi prove cognitive (MMSE e Orologio) il più turbato ero io! Mauro era soddisfatto delle sue prestazioni, Rita pure e non capiva perché avessi quella faccia: solo per quel grumo di ore disegnato malamente su un quadrante vuoto di orologio?
Dissi che tutto andava benino, c’era qualche problema legato all’età, una faccenda normale, e che comunque era corretto eseguire qualche esame del sangue e magari una TC dell’encefalo per escludere sorprese, poi dei test “di memoria” un po’ più accurati. Ma la sera chiamai Rita per manifestarle tutte le mie perplessità e rinnegando in modo lapidario quanto di consolatorio le avevo detto poche ore prima per non turbare il buonumore del padre e il suo.
Preoccupata, riuscì a fargli fare gli esami pattuiti in poco più di una settimana: in breve, la TC dell’encefalo non evidenziava grandi “sorprese” (ematomi, tumori, ischemie...) ma la valutazione cognitiva estensiva testimoniò il disastro visto nella vita reale anche in quei giorni e proprio nelle prove cosiddette di prassia costruttiva (in realtà alcuni test dimostrano anche difficoltà di pianificazione e visuo-spaziali).
Era un caso di probabile demenza di Alzheimer variante “posteriore”, in cui la degenerazione andava a colpire quasi selettivamente la parte posteriore del cervello dove risiedono i sistemi neuronali preposti alle nostre capacità di analisi e comprensione “visiva” dello spazio del nostro corpo e di quello circostante.
Si chiama Atrofia Corticale Posteriore (PCA) ed è una forma un po’ più precoce rispetto alla demenza di Alzheimer “classica” ed evolve piuttosto velocemente.
Come accadde.
Il lavoro di piastrellamento del bagno?
Fu messo in opera da un altro artigiano, con la precondizione di aiutarlo materialmente! Un perfezionista! Ma... con una specie di delirio mistico. Per due giorni non smise mai di parlare di Dio e Gesù, della sua vita spesa per la fede, dell’amoralità dei non fedeli.
Io, profondamente laico, non battevo ciglio, a parte qualche cenno di vigliacco consenso: quell’artigiano e il suo lavoro erano troppo preziosi per rischiare di perderli in battibecchi infiniti sull’Inquisizione, sulle Crociate, su Galileo e Giordano Bruno, sui preti pedofili (c’erano anche allora) mai messi al bando dalla Chiesa!
Terminò il lavoro in maniera perfetta, lasciò il campo persino pulito da rimasugli vari. Si fece pagare in nero anche lui: il nero non era contemplato tra i reati da punire nella “nostra” religione!
Aspetto che mi chiami in ambulatorio: chissà se il suo delirio mistico evolverà in qualche forma di demenza...